Viaggio tra le pievi di Valsassina, Valvarrone e Val Muggiasca per raccogliere testimonianze di parroci "in alta quota". Il loro spirito di servizio è ricambiato da riconoscenza, stima e affetto da parte dei fedeli


Redazione

11/11/2008

di Marcello VILLANI

Essere sacerdoti in montagna. Evangelizzare ad alta quota, in realtà piccole, a volte chiuse e difficili da penetrare. In teoria, una missione difficile. In realtà, nel Lecchese, una missione vissuta con passione e soddisfazione da moltissimi sacerdoti. Il nostro viaggio tra le pievi di Valsassina, Valvarrone, Val Muggiasca è testimonianza di uno spirito di servizio che è stato benedetto da riconoscenza, stima e affetto, da parte dei fedeli “montanari”.

Don Agostino Butturini è parroco a Morterone, paese di montagna a 1070 metri di altezza ed ex Comune più piccolo d’Italia, da ben 25 anni. Un amore per questo paesino ampiamente ricambiato: «Morterone, che ha finalmente perso il primato di Comune più piccolo d’Italia che ci dava un poco fastidio, è un paese vivace anche culturalmente – spiega don Agostino -. Mi reco in parrocchia la domenica, a ogni festività e d’estate ad agosto, quando con i turisti e i villeggianti Morterone arriva fino a 300 persone. Dal punto di vista religioso i miei fedeli sono molto interessati e attivi. Non è una solitudine accentuata, comunque: sotto certi aspetti la gente preferisce fare un salto su a Morterone anche da altri paesi e da Lecco o Milano e godersi il panorama prima di presenziare alla Messa».

Fondatore del gruppo di scalatori dei Condor nel 1975, don Agostino è a proprio agio in questa realtà: «Ho scritto anche un libro che si intitola La storia dei Condor di Lecco. La montagna mi ha aiutato a portare tanti ragazzi in vetta quando era tabù portarli in montagna. Ora li portano tutti, però facendo pagare. Anche Morterone mi è congeniale, tutto sommato non è una fatica essere preti qui. Certo, sono insegnante di religione e responsabile della scuola media al Collegio Volta di Lecco, ma quando vengo a Morterone sono felice: i fedeli sono tutti uguali, di montagna o di città che siano. Forse in montagna c’è gente più dura, riservata, ma anche più ricca interiormente, più sincera e schietta. Mi piace tutto questo». Il canto d’amore per la montagna non finisce qui.

Don Eugenio Vergottini, classe di ferro 1929, nativo di Bellano, è parroco a Vendrogno (in val Muggiasca, dai 720 ai 1.799 metri di altitudine) da vent’anni. «Ormai sono più di dieci le chiese di cui mi devo occupare (Noceno, Mornico, Sanico, Nesio, Bruga, La Madonnina, la parrocchiale di San Lorenzo Martire, San Grato, Ca’ Maggiore, Sant’Antonio, Comasira), e bisogna raggiungerle tutte. Prima il pastore diceva “venite”, mentre ora sono le pecorelle a chiamare il pastore. Il lavoro è duro, soprattutto d’estate, ma c’è sempre una buona partecipazione alle messe. Con la mia Panda 4X4, vado dappertutto».

Un solo rimpianto, i giovani: «Oramai vanno a scuola lontano, a Lecco, e non si vedono quasi più in paese. Io vengo dal capoluogo, dove sono stato coadiutore nella parrocchia di San Giovanni insieme a don Angelo Casati: dei fedeli vengono ancora a trovarmi. Ma lì i giovani erano più facilitati a seguire la loro chiesa. Qui, vivendo praticamente lontano tutta la settimana, specie se universitari, diventa difficile. Ma non cambierei la montagna con la città: qui il panorama della Creazione ti aiuta sempre a guardare in alto».

Il decano della Valsassina don Mauro Malighetti èun altro innamorato della sua vocazione e dei luoghi in cui può esercitarla: «Essere preti in montagna è difficile solamente se non sei disponibile all’obbedienza. Se hai sbagliato mestiere, insomma… Inoltre di vere difficoltà non ce ne sono: certo, devi tenere insieme tanti campanili diversi. La mia comunità pastorale “Madonna della Neve” riunisce Introbio, Primaluna, Cortenova, Taceno e Parlasco. Sono circa 6.800 abitanti sparsi tra i picchi, ma io che sono nato come sacerdote nella parrocchia di San’Andrea a Milano, a due fermate di metro dal Duomo, non sento la mancanza della città».

Don Mauro spiega il perché: «Qui la fede è più genuina, le tradizioni ancora vive, si sente meno l’incedere del relativismo. E la gente ha il cuore in mano. Bisogna solo avere la pazienza di entrare nella mentalità, saper respirare l’aria e la cultura di montagna…».

C’è chi, poi, vive tra montagna e lago, come il nuovo parroco (è entrato il 9 settembre) don Silvio Andrian, prima a Saronno, che guida la comunità Pastorale “San Carlo Borromeo in alto Lario” che oltre a Dervio, Corenno Plinio, Dorio (tutti Comuni sul Lario), si occupa anche di “montanari” come gli abitanti di Montintrozzo (Vestreno, Sueglio, e Introzzo) e Tremenico (con la frazione di Avano).

«La difficoltà è negli spostamenti e nella mentalità – commenta il neo parroco -, ma la gente di montagna è accogliente, molto buona. Il mio bilancio di questi mesi è molto positivo. Sono stato accolto, stimato e sostenuto. C’è quel rapporto umano che in città si perde, qui tutte le relazione sono molto più umane. L’unica vera difficoltà sta nell’essere sempre in viaggio e poi nel proporre un cammino comune visto che ci sono molto più tradizioni e ogni campanile ha la sua. Inoltre c’è da tenere presente che ogni chiesa prima aveva il proprio parroco e i comuni dei quali mi occupo sono sei. Per fortuna ho come spalla il mio coadiutore don Andrea Piccotti pastorale giovanile e vicario del decanato dell’Alto Lario».

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