Nella città spagnola domenica si è conclusa l'Esposizione Internazionale: molte infrastrutture che rimarranno utili anche per il futuro, un numero di visitatori inferiore al previsto, un fruttuoso coinvolgimento della Chiesa locale. E un monito per Milano: non perdere tempo in vista dell'appuntamento del 2015


Redazione

15/09/2008

di Massimo PAVANELLO
Responsabile dell’Ufficio diocesano per la Pastorale del turismo

Cosa resta a Saragozza – sia in generale, sia dal punto di vista “milanese” – in ordine al coinvolgimento della Chiesa locale, dopo l’Expo Internazionale conclusasi domenica 14 settembre al termine di tre mesi di attività? È la domanda che attraversa la curiosità di tutti dopo la manifestazione – tema, l’acqua – che ha coinvolto più di cento Paesi, 15 mila volontari e milioni di visitatori e che già mostra alcuni frutti.

La prima risposta l’abbiamo raccolta da José Luis Bartibas, noto imprenditore aragonese, con interessi che spaziano dall’ambito alberghiero a quello edilizio: «Il maggior guadagno per la città sono le infrastrutture che ci serviranno per i prossimi decenni. Tutto quanto è stato costruito per questa occasione è stato fatto in previsione di un suo recupero. I grandi padiglioni espositivi lasceranno spazio a uffici, centri commerciali, teatri, piscine, poli di ricerca, ecc. Senza questo input sarebbe stato difficile promuovere un rinnovamento di così grande portata per l’intera città».

Tuttavia la manifestazione in sé, nonostante la ripresa di settembre, non ha raggiunto quegli obiettivi che si era prefissata, soprattutto per quanto riguarda il numero dei visitatori, ben al di sotto delle stime. Il caldo umido dell’estate ha senz’altro frenato qualche turista e le agenzie di viaggio avevano forse venduto la pelle dell’orso prima di averlo catturato.

Il nostro imprenditore, però, suggerisce anche una spiegazione diversa per questa ridotta affluenza, che non si ferma agli aspetti marginali. Quasi avvertendo chi dovrà organizzare qualcosa di simile negli anni a venire, egli sostiene che «la maggior parte degli stands non ha avuto nulla a che fare con il tema proposto per la manifestazione. Ciascuno ha venduto il suo prodotto – cibi, fotografie, vacanze, macchinari… – indipendentemente dalla cornice comune. E questo la gente lo ha capito. Tra i pochi a stare al tema è stato invece il padiglione della Santa Sede, dove il messaggio ha prevalso su tutto».

Per parlare di questo spazio, gestito insieme dalla diocesi di Saragozza e dal Vaticano, entriamo subito nel dettaglio con il direttore del padiglione, José Maria Gorgojo, che dopo 21 anni passati a Roma è tornato da qualche tempo a lavorare nel suo Paese.

Architettura, pittura, riflessione e spiritualità: quale messaggio unisce questi elementi che si vedono nel padiglione? «Le coppie di parole che scorrono lungo il corridoio di ingresso del padiglione stesso sono la migliore spiegazione: Dio-acqua, Cristo-primavera, Chiesa-sorgente, ci dice. Dio, infatti, trae la creazione dal dono dell’acqua e la pone a nostro servizio. Le opere che abbiamo messo in mostra riprendono tutti questi motivi: dagli episodi della Genesi ai sacramenti di Gesù, dagli elementi della trazione alla liturgia. Sempre l’acqua è stato un elemento che ha richiamato il sacro e quindi la spiritualità. E l’arte ha convogliato questo messaggio più di altre discipline».

Quanto avete voluto dire è stato recepito dal pubblico? «Penso proprio di sì. I visitatori del padiglione sono stati mezzo milione. Quasi tutte le delegazioni Vip lo hanno visitato. Le televisioni hanno riservato notevoli spazi. Le e-mail inviateci sono tutte di gratitudine. Aggiungerei però un’altra annotazione. La caratteristica di questa esperienza è che il messaggio tipicamente spirituale è stato proposto interamente da laici. E ciò ha sorpreso non pochi, anche tra gli organizzatori dell’Expo stesso, con i quali abbiamo intrapreso ottimi rapporti. In tutto questo la diocesi di Saragozza è stata un punto di riferimento importante e imprescindibile».

La conferma di queste parole viene dal segretario particolare dell’arcivescovo, don Gonzalo Ruipérez Aranda, vero animatore di tutta l’organizzazione gravitante attorno allo stand pontificio: «Abbiamo cercato di coinvolgere quanta più gente possibile, con un’elevata preparazione, trovando le professionalità soprattutto all’interno dell’Università Cattolica locale, quella di San Jorge. Il buon rapporto con l’Amministrazione della città è stato poi indispensabile. La nostra attività, infatti, non è avvenuta solo all’interno dello stand, ma anche in città con convegni, concerti e dibattiti. Questo lavoro in sinergia, affidato particolarmente ai giovani, è anche, in realtà, il vero lascito dell’Expo alla Chiesa locale: un gruppo di laici motivati che ha messo la propria professionalità a servizio della Chiesa per annunciare il Vangelo con mezzi moderni. Uno stile certamente da mantenere anche a padiglioni chiusi».

Cosa consiglia infine a Milano – intesa anche come Arcidiocesi – che si sta preparando a ospitare un evento simile a quello di Saragozza? «Di non perdere tempo, soprattutto. Sei anni possono sembrare molti, per la preparazione, ma credo siano invece appena sufficienti».

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