Sul fronte dell'emergenza abitativa, l'appello dell'Arcivescovo nel Percorso pastorale, rivolto in primo luogo alle comunità cristiane, ma esteso anche alle istituzioni e all'opinione pubblica
Redazione
16/10/2008
«Per alcune persone oggi la casa è diventata un lusso quasi eccessivo, una ostentazione esasperata di benessere e di ricchezza; per molte altre invece è un serio problema anche in vista dell’impostazione della loro vita e dei loro progetti. Assistiamo sempre di più a una rilevante emergenza abitativa, che pone in drammatiche condizioni specialmente le famiglie povere, immigrate, per qualsiasi ragione disagiate. Provocati da molte situazioni che incontriamo, ci chiediamo quando ogni famiglia potrà accedere, in condizioni accettabili, ad una abitazione dignitosa. Aumentano situazioni di impoverimento e cresce il numero delle giovani coppie che non riescono a sostenere un mutuo o non dispongono delle garanzie per ottenerlo. Aumentano anche i casi di anziani con redditi molto bassi, insufficienti anche solo per pagare le spese condominiali».
Lo aveva promesso mesi fa ed è stato di parola. Il cardinale Tettamanzi affronta nel Percorso pastorale di quest’anno il tema casa. E lo propone all’attenzione dell’opinione pubblica, delle istituzioni e delle comunità cristiane. «Nello spirito di questo Percorso pastorale – sottolinea il Cardinale – oso rivolgermi anzitutto alle comunità parrocchiali, agli istituti religiosi, alle realtà del mondo cattolico e alle famiglie che possiedono diverse unità abitative disponibili, perché si offrano a condividere almeno parte delle rispettive proprietà, dandole in locazione a prezzi accessibili».
«Sappiamo che la casa è sempre più considerata dal mercato come una delle tante forme di investimento, e non un bene primario fondamentale per la famiglia – continua l’Arcivescovo -. Come cristiani e come parrocchie dobbiamo interrogarci: non abbiamo qui l’opportunità di offrire una forte testimonianza? Una casa tenuta vuota non è una dimora sottratta a una famiglia che ne ha bisogno? Non è forse una tentazione quella di tenere un alloggio sfitto in attesa che si rivaluti, che un giorno lontano il figlio si sposi, che chissà quale necessità si presenti in parrocchia…? Certo, chiedendo le dovute garanzie e il giusto riconoscimento economico, non possiamo sentirci chiamati ad agire controcorrente?».
Se sono chiamati all’impegno i singoli fedeli e le comunità, non possono essere latitanti le amministrazioni pubbliche. «Mi permetto di fare appello anche alle istituzioni locali perché investano adeguatamente in edilizia popolare e incentivino l’apporto cooperativistico, magari offrendo a buone condizioni la disponibilità di terreni comunali da edificare – prosegue -. Potrebbero inoltre favorire, con appositi interventi di natura sia normativa sia economica, l’incontro tra chi può rendere disponibile un’abitazione e chi non riesce a sostenere il costo completo di un affitto alle attuali condizioni di mercato».
E il mercato? Anch’esso ha responsabilità sociali da assolvere. «Da ultimo, vorrei fare appello a chi investe in patrimoni immobiliari, a chi li gestisce o comunque ne trae frutto, perché sia consapevole delle gravi responsabilità che si assume di fronte a Dio e ai fratelli qualora ricercasse soltanto il massimo profitto possibile, nella dimenticanza delle necessità altrui! – ammonisce Tettamanzi -. Una corretta gestione dei propri beni non deve tendere al massimo, ma al giusto profitto, come del resto insegna la dottrina sociale della Chiesa (cfr Centesimus annus, n. 35). E ciò non ha nulla a che vedere con logiche edificatorie o di investimento in immobili improntate a pura speculazione!».
Perché «la casa è il simbolo della vita di una famiglia, il luogo della sua unità e delle sue confidenze – prosegue -, in essa si coltivano la condivisione e l’amore delle cose più intime e più umane. Abitare una casa significa ritrovarsi dopo la inevitabile dispersione del lavoro, esprime il consolidarsi di abitudini buone, favorisce conoscenze e relazioni, dà sicurezza per il futuro. Avere una casa permette di sposarsi, di avere dei figli, di consolidare la propria presenza in un luogo; una casa dà stabilità all’esistenza». (p.n.)