Riflessioni, dubbi e speranze dei detenuti di Monza in una lettera inviata all'Arcivescovo in vista della sua visita di sabato 24 maggio
Redazione
23/05/2008
«Caro Cardinale, siamo un gruppo di detenuti che partecipa ogni settimana alla catechesi in una saletta del carcere di Monza. Preparandoci per l’incontro con Lei, tanto atteso, insieme abbiamo riflettuto sulle tre virtù del cristiano: fede, speranza e carità. È stato un momento molto bello e profondo, dove con molta libertà e sincerità abbiamo aperto il nostro cuore agli altri e abbiamo anche capito l’importanza di accostarci alla Parola di Dio qui in carcere e di riflettere sui valori veri della vita. Ora con piacere vogliamo condividere con Lei le nostre riflessioni.
– Per me è più facile credere in Dio quando si soffre, perché si cercano dei punti di riferimento ed è più facile trovare Dio pronto a perdonarci e a guidarci.
– In queste prove bisogna essere forti. Anche Gesù Cristo nel momento della Passione si è domandato «Padre dove sei» e poi è andato avanti: questo ci deve dare la forza e la fede… Chi dice che avere fede è facile?
– Riconosci Dio nel momento in cui senti che quello che hai fatto è sbagliato…
– Dio ha fiducia in noi, nella nostra vita: ha fiducia che possiamo cambiarla.
– Ringrazio Dio per la mia famiglia: ogni volta che vado a dormire do un bacio alla mia famiglia e sento che sono vicini a me! E mi danno la forza di andare avanti. In questo tempo passato in carcere, finalmente ho capito che più importante di tutto è la mia famiglia.
– Ci sono dei segni che ci sostengono nei momenti difficili: una lettera che arriva proprio in questi momenti duri, una notizia buona… ogni cosa positiva, anche piccola, come giocare al pallone. A me è arrivato il permesso di andare a trovare il mio papà in ospedale.
– Ci sono anche delle semplici parole, dette dai compagni di detenzione, magari piccole bugie dette a fin di bene, tipo: «Stai tranquillo che andrai a casa, presto lascerai il carcere»…
– Anche stare vicino all’altro come offrire qualcosa, dividere quello che si ha in cella dà la forza di andare avanti.
– Anche nel negativo c’è sempre qualcosa seppur piccolo di positivo e bisogna tirarlo fuori.
– Ci sono segni che mi aiutano: la fede in Dio, che però imploro solo adesso che soffro, la solidarietà dei detenuti e soprattutto la foto dei miei bambini che mi sostengono a spada tratta.
– Sono cristiano e sono orgoglioso di esserlo e qua mi sono ritrovato con la Chiesa che mi ha fatto capire quanto devo ringraziare Dio. Dentro tanta sofferenza ho trovato una famiglia che mi ha saputo accogliere senza pregiudizi.
– Ho sempre presente il popolo ebraico che ha camminato 40 anni nel deserto, nella speranza di trovare la terra promessa. Spero che quando sarò fuori troverò un lavoro e potrò farmi una famiglia.
– Anche se sembra contraddittorio, in questo luogo dove mi trovo adesso sono venuto a trovare un po’ di sollievo, qui ho potuto ricordare che sapore ha il rispetto, qui sono venuto a ricordare il profumo della dignità umana, ho visto in faccia la carità, la solidarietà, l’amicizia.
– Spesso ci lasciamo travolgere dallo sconforto e ci pare che non ci sia via d’uscita alla nostra pena. Ci sostiene la fede in Dio perché sappiamo che non ci abbandona mai. Tuttavia è difficile capire che Egli ci ama sempre anche quando siamo nella difficoltà più nera.
Ecco, caro Cardinale, le nostre riflessioni… ecco i nostri dubbi, le nostre speranze Le chiediamo di portarle nel Suo cuore e nel cuore grande di Dio, che aiuti le nostre famiglie e noi in questo cammino difficile. Grazie».