Il San Giovanni di Dio è impegnato in diversi progetti di studio nel campo della demenza. Coniuga ricerca e umanità


Redazione

14/03/2008

Il Centro San Giovanni di Dio di Brescia è all’avanguardia della ricerca medica. È uno dei 34 istituti italiani nominati dal Governo “Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs)” ed è impegnato in diversi progetti di studio nel campo della demenza. Uno dei principali, su cui i responsabili nutrono grandi attese, vede il Centro addirittura come coordinatore e capofila di una rete costituita da altri cinque istituti d’eccellenza situati nei cinque diversi continenti.

Lo sguardo al futuro e lo spirito di miglioramento delle tecniche mediche, d’altronde, sono caratteristici dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio, ispirato dal santo portoghese vissuto nel 1500, che ha dato ai suoi seguaci un’indicazione di lavoro precisa: «Il massimo della scienza insieme al massimo della carità». Ancora oggi i due elementi corrono di pari passo, spiega fra’ Marco Fabello, direttore generale: «Uniamo la ricerca all’umanità, come auspicava anche Papa Pio XII quando chiedeva una “carità antica con mezzi modernissimi”. Ciò si traduce in un impegno nello studio delle demenze accompagnato dall’umanità della relazione interpersonale tra gli operatori e i pazienti».

In un tempo in cui cresce sempre più il distacco tra il medico e il malato, in cui i ritmi serrati e i tempi stretti limitano i rapporti, spiega fra’ Fabello, «ai nostri medici e infermieri chiediamo di trovare i momenti e gli spazi per accompagnare la persona che hanno in cura, condividendo con lui il percorso della malattia». A questo si aggiunge una prassi che impone di rivolgersi sempre al paziente per ottenere il consenso all’utilizzo di campioni del suo sangue o della saliva per sviluppare studi diversificati.

Il Centro, che conta oggi 70 ricercatori e 252 posti-letto, è nato nel 1882 come ospedale psichiatrico per poi trasformarsi in istituto di ricerca nel 1978 a seguito della legge 180, che decretò la chiusura delle strutture residenziali per malati mentali. Il cambiamento non ha mutato lo spirito originario della struttura, spiega fra’ Fabello: «Abbiamo compreso che la ricerca non è altro che l’anello più moderno dell’ospitalità».

«I nostri studi – prosegue il religioso – presentano precise caratteristiche. Innanzitutto l’applicabilità: cioè deve essere possibile attuarli rapidamente. In secondo luogo la condivisione: collaboriamo con università, centri italiani e stranieri all’eccellenza nel loro campo per usufruire reciprocamente delle altrui esperienze, velocizzare le procedure e non disperdere preziose risorse economiche».

Quest’ultimo aspetto, il tema dei fondi destinati alla ricerca, è infatti di stretta attualità. I contributi al Centro bresciano sono erogati dal Ministero della Salute in rapporto alla produttività scientifica, spiega fra’ Fabello, affinché siano sviluppate nuove conoscenze da condividere con il Servizio sanitario nazionale. «Le risorse sono sempre limitate. I ricercatori, come è noto, scappano dall’Italia a causa degli scarsi investimenti. Nonostante questo riusciamo a ottenere ottimi risultati nello studio sulle demenze, in particolare il morbo di Alzheimer. Di recente alcune nostre analisi a livello di Dna hanno permesso di aggiungere nuovi elementi di conoscenza della malattia: i nuovi farmaci non sono ancora vicini all’essere prodotti, ma la strada da percorrere è stata individuata». (f.m.)

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