Redazione
Dal cardinale Tettamanzi un appello alla responsabilità personale prima di intraprendere
qualsiasi azione: «Occorre prendersi a cuore la libertà dell’altro, operare perché sia davvero libero
e responsabile nella vita, nelle scelte, nelle azioni e negli interessi». La saggezza è la virtù da coltivare
per mettersi seriamente «in ascolto dei bisogni delle persone». Parole accorate per l’intolleranza
della Sapienza nei confronti del Papa: «Stupisce che un rifiuto di questo tipo sia arrivato proprio
da un’università, dove la razionalità dovrebbe essere il fiore all’occhiello»
18/01/2008
di Maria Teresa ANTOGNAZZA
Il buon amministratore coltiva l’uomo interiore e va alla ricerca della sapienza del cuore. Ha usato la citazione di grandi maestri, come Thomas Merton, Romano Guardini e Giorgio La Pira, l’Arcivescovo di Milano, che giovedì 17 gennaio, all’Istituto De Filippi di Varese, ha incontrato politici e amministratori del territorio.
Si tratta del sesto appuntamento che il cardinale Dionigi Tettamanzi dedica al dialogo diretto con chi gestisce in prima persona la “cosa pubblica”, suggerendo importanti riflessioni etiche e analisi accurate sulle virtù del buon amministratore. Prima della serie, la serata varesina sarà seguita il 18 gennaio dall’appuntamento di Monza, mentre il 25 gennaio l’Arcivescovo sarà a Lecco e l’1 febbraio a Milano.
E’ sempre il Vangelo a gettare la prima luce sulle parole rivolte da Tettamanzi al suo folto uditorio: questa volta il prelato ha scelto il passo di Luca 14, 28-35, sollecitando ciascuno a «sedersi a riflettere bene, prima di intraprendere qualsiasi azione». Un appello esplicito al senso di responsabilità personale, che deve abitare costantemente dentro l’animo e il cuore di un sindaco, di un assessore, di un consigliere, e di cui invece – ha detto sempre il Cardinale – oggi si sente tanto la mancanza.
Ma prima ancora di addentrarsi nell’analisi dettagliata degli atteggiamenti interiori, che devono ispirare e accompagnare l’agire concreto del buon amministratore, Tettamanzi ha rivolto a tutti parole accorate in riferimento all’«intolleranza dimostrata alla Sapienza nei confronti del pontefice Benedetto XVI». «È stata una sofferenza – ha aggiunto l’Arcivescovo – assistere alla vicenda dell’università di Roma. Un vero segno di intolleranza. E quello che stupisce di più è che un rifiuto di questo tipo sia arrivato proprio da un’università come quella, dove la razionalità dovrebbe essere il fiore all’occhiello. L’università dovrebbe essere il luogo di incontro e di discernimento, non di intolleranza. Trovo significativo – ha concluso – che il Papa abbia mandato comunque il suo discorso, tutto incentrato sul rapporto con la fede, dalla quale dobbiamo lasciarci illuminare, proponendo una ragione che va guarita e purificata».
Tornando poi ai suoi diretti ascoltatori, il Cardinale ha preso spunto dai testi di Merton e di Guardini per indicare la direzione da intraprendere per dare senso compiuto alla democrazia. «La tentazione del potere – ha detto – è quella di possedere gli altri, di usarli, di servirsene a proprio vantaggio. Invece occorre prendersi a cuore la libertà dell’altro, operare perché sia davvero libero e responsabile nella vita, nelle scelte, nelle azioni e negli interessi».
L’appello alla «saggezza» dell’uomo politico e dell’amministratore locale èstato il leit-motiv dell’intervento. Una virtù coltivata attraverso «il silenzio, la contemplazione, l’interiorità, la profondità dell’essere, il dominio di sé, il possedersi»; tutti atteggiamenti non estranei alla gestione delle cose concrete, con cui sindaci e assessori hanno a che fare, ma che, al contrario, possono alimentare la loro capacità di mettersi seriamente «in ascolto dei bisogni delle persone».