Parla il nuovo presidente dell’Acec (Associazione cattolica esercenti cinema), don Adriano Bianchi: «Recuperare continuamente spazi ed esperienze di bellezza»

di Riccardo BENOTTI

Sala della comunità

«La Chiesa italiana, attraverso la nota pastorale dei vescovi del 1999, affida all’associazione il compito di offrire “un servizio volto a creare le premesse di mentalità, di costume, di linguaggio, di strumenti, di modelli di ricerca per una efficace azione pastorale”. È la priorità fondamentale che ci affida la Chiesa e che noi volentieri oggi ameremmo declinare aiutando tutti a prendere coscienza dell’alto valore educativo di ogni agire culturale e pastorale». Lo afferma don Adriano Bianchi, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della Diocesi di Brescia e del settimanale diocesano La Voce del Popolo, eletto presidente dell’Acec (Associazione cattolica esercenti cinema) durante l’Assemblea generale nell’Abbazia di Maguzzano.

Che ruolo hanno oggi le Sale della comunità?

«Essere Sala della comunità nella Chiesa e nella società significa recuperare continuamente spazi ed esperienze di bellezza per le persone che incrociamo. Da tempo in Sala hanno casa tutti i linguaggi dell’arte: non solo il cinema, ma il teatro che cresce continuamente (i “Teatri del Sacro” ne sono il frutto più autentico), la musica e l’attenzione al dibattito pubblico con incontri, dialoghi e iniziative di ogni genere. Insomma, è anche della Sala della comunità assumere in pieno la missione di Cristo di andare incontro a un uomo sperduto e senza riferimenti, e, nella bellezza e nella gioia, farlo camminare, attraverso l’arte e una cultura illuminata dalla fede, verso una sempre più piena umanizzazione».

Le Sale possono anche essere uno strumento valido per raggiungere le periferie?

«Da sempre la Sala della comunità compie il suo percorso culturale, sociale e pastorale nelle periferie. Ci sono sale nei centri storici e nei grandi centri urbani, ma la maggioranza delle 1.000 sale della comunità attive in Italia è dislocata in comuni sotto i 10mila abitanti. Ovunque, quando una Sala vive, si crea un movimento culturale comunitario che mette in rete l’intero territorio in una feconda collaborazione tra parrocchie, comuni, associazioni. Insomma, la Sala diviene un progetto dentro cui la comunità, in senso ampio, cresce e “celebra” il suo percorso comune».

Qual è la diffusione nelle regioni italiane?

«La concentrazione maggiore è in Lombardia, nel Triveneto, in Piemonte e Liguria. Buona la presenza di sale in Emilia Romagna, Marche e Toscana. Il Lazio è rappresentato, ma manca il coordinamento che spesso nelle altre Regioni è garantito anche dai Sas (Servizi di assistenza sale) regionali o diocesani che danno il supporto alla programmazione cinematografica e teatrale, servizi fiscali e gestionali e sempre più elaborano i percorsi culturali, pastorali e formativi come recentemente accaduto in Lombardia grazie al contributo di Fondazione Cariplo. Alcune sale molto significative operano anche in Puglia, in Sicilia e Sardegna».

Si riuscirà a raggiungere l’obiettivo di una Sala in ogni Diocesi?

«Il tema non è solo quello della consistenza numerica o della concentrazione, ma che un numero sufficiente di Sale ben distribuite su tutto il territorio nazionale – e, perché no, una almeno in ogni Diocesi – operino con competenza, professionalità e passione».

Che priorità ha l’Acec per il futuro?

«Ci stiamo impegnando molto nell’attività formativa degli animatori della comunicazione e della cultura che operano nelle Sale. Lo ha detto recentemente don Ivan Maffeis, vicedirettore dell’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali, ricordando che la Sala della comunità “può contribuire a quell’alleanza tra i diversi soggetti che l’impresa educativa richiede, aiutando le famiglie a interagire con i media in modo costruttivo e i giovani a vivere la bellezza delle relazioni umane”. Una sfida che sentiamo profondamente nostra e che vogliamo riassumere sia sul piano dell’esercizio commerciale e culturale laico, sia su quello ecclesiale nello spettro diversificato e vario del mondo delle comunicazioni sociali dove si muovono molte altre associazioni (Fisc, Ucsi, Corallo, Aiart, Copercom, WeCa, …)».

Anche le Sale della comunità, però, devono confrontarsi con una società che cambia…

«Non possiamo nascondere che il passaggio ai sistemi di proiezione digitale sta determinando la chiusura di alcune delle nostre Sale, ma per molte rappresenta anche una grande ridefinizione progettuale. È importante non smettere di accompagnare questa transizione con tutti i mezzi di sostegno possibili. Molte regioni ed enti locali si sono attivati per aiutare le parrocchie a reperire i fondi necessari alla trasformazione, altre potrebbero farlo, come pure siamo in attesa di un bando del Ministero dei Beni culturali. Se è vero che le Sale oggi non sono solo il cinema, perdere questa possibilità sarebbe una diminuzione. Non siamo in concorrenza con multisale o altri esercizi ma, senza complessi d’inferiorità, siamo determinati a fare bene quello che facciamo».

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