Monsignor Domenico Pompili, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale delle comunicazioni sociali sulla 49a Giornata Mondiale: «La famiglia non deve essere oggetto di partite ideologiche, ma il soggetto della comunicazione». Volendo usare un gergo pubblicitario: la famiglia, più che essere un target della comunicazione, è invece il core business della stessa comunicazione proprio per la sua forza narrativa»
di Vincenzo CORRADO
Una famiglia sorridente, in primo piano; sullo sfondo, la basilica di San Pietro, quasi a ricordare l’appuntamento del Sinodo sulla famiglia che si svolgerà dal 4 al 25 ottobre 2015. È l’immagine scelta dalla Chiesa italiana per animare la 49ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che viene celebrata domenica 17 maggio sul tema “Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell’incontro nella gratuità dell’amore” scelto da papa Francesco, che lo illustra nel suo messaggio per questo appuntamento. Ne parliamo con monsignor Domenico Pompili, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale delle comunicazioni sociali.
Monsignor Pompili, qual è il cuore del messaggio del Papa?
Il cuore del messaggio è “un nuovo punto di vista” sulla comunicazione e, reciprocamente, sulla famiglia, che facilita uno sguardo più concreto sui nuovi media che sembrano mettere a dura prova la coesione e il dialogo familiare. La scelta di Papa Francesco di lasciarsi ispirare dalla visita di Maria a Elisabetta (Lc 1, 39-56) si rivela un’interpretazione realistica e convincente per capire quel ‘miracolo’ che è ogni volta la comunicazione. Parlare di comunicazione a partire dalla gestazione di un bambino in grembo può sembrare poetico e poco scientifico. Invece, tornare a quel momento originario aiuta a entrare dentro il linguaggio del corpo che è fatto di ascolto e di contatto fisico. Il cuore del messaggio del Papa è proprio questo momento originario della comunicazione.
Anche la famiglia rappresenta un momento originario della comunicazione. «È l’ambiente – scrive il Papa nel messaggio – in cui s’impara a comunicare…»
Ciò che fa della famiglia “il grembo” della comunicazione è legato a tre evidenze difficilmente contestabili, anche in una stagione culturalmente omologata come la nostra. Innanzitutto, la famiglia – come osserva il Santo Padre – «è fatta di persone diverse in relazione», il che non compromette ma facilita il dialogo che sboccia sempre tra persone intime ma differenti. In secondo luogo, la famiglia è la scuola dove si sperimentano limiti e carenze, ma pure risorse ed energie per affrontare insieme la fatica di ogni giorno che sicuramente rappresenta un cammino di crescita. Infine, la famiglia più che la vittima può essere il contro-ambiente che limita le ambiguità e potenzia le possibilità dei nuovi linguaggi.
Ma in che modo comunicare la famiglia?
La famiglia non deve essere oggetto di partite ideologiche, ma il soggetto della comunicazione. Volendo usare un gergo pubblicitario: la famiglia, più che essere un target della comunicazione, è invece il core business della stessa comunicazione proprio per la sua forza narrativa.
«L’informazione è importante, ma non basta – osserva Papa Francesco – perché troppo spesso semplifica, contrappone le differenze e le visioni diverse…». Al riguardo, quale impegno concreto per giornalisti e operatori della comunicazione?
Il primo compito – e forse il più importante – è promuovere una comunicazione che informa e, allo stesso tempo, forma coscienze libere e capaci di valutare quanto accade. L’informazione non può essere una descrizione o elencazione asettica di notizie verso cui viene sviluppato anche un certo senso di nausea. Per questo è importante offrire sempre un quadro interpretativo che possa aiutare a capire quanto accade. Informare e formare: questo è il compito! Possibilmente con uno sguardo che sia aderente alla realtà e senza precomprensioni.
Sono passati cinque anni dal convegno “Testimoni digitali” che ha segnato un punto di svolta nella presenza della Chiesa italiana nello spazio digitale. Pensa sia arrivato il momento di un altro grande evento, magari dopo Firenze2015?
Cinque anni possono sembrare tanti, soprattutto considerando le nuove tecnologie, ma vista la svolta generata sono, a conti fatti, ancora pochi. Dopo “Testimoni digitali” è cresciuta sempre più la consapevolezza dell’importanza e della centralità delle Reti sociali. Le singole diocesi hanno colto nel web la possibilità di costruire ponti tra la Chiesa e la società, accorciando, quindi, possibili distanze. E questo, nonostante l’opinione di tanti detrattori che parlavano di cedimento alla moda del momento. La Chiesa italiana non si è adeguata a una moda, ma ha scelto di vivere con il suo popolo e accanto al suo popolo in questa stagione segnata anche dalle nuove tecnologie. C’è un verbo programmatico che sintetizza tutto ciò: abitare. La cosa migliore per conoscere un fenomeno è viverlo, contribuendo a dargli forma. E non è un caso che abitare – insieme a uscire, annunciare, educare e trasfigurare – sia una delle “cinque vie verso l’umanità nuova”, indicate nella Traccia per il cammino verso il Convegno ecclesiale di Firenze.
Come proseguirà l’impegno nel settore delle comunicazioni dopo la Giornata?
Il 28 maggio ci sarà a Roma l’incontro con tutti i direttori degli Uffici diocesani e regionali per le comunicazioni sociali. L’impegno, poi, proseguirà secondo tre obiettivi fondamentali: accompagnare la vita ordinaria della Chiesa locale nella sua comunicazione all’esterno e all’interno della vita ecclesiale; coltivare rapporti di quotidiana attenzione verso gli operatori della comunicazione; far crescere il numero e la qualità degli animatori della comunicazione e della cultura.