Dare un senso� al diluvio�di informazioni

Giorgio ACQUAVIVA Presidente Ucsi Lombardia
Redazione

Su Internet piovono “pacchetti elettronici” e in questa maniera arrivano all’attenzione di un pubblico più vasto fatti o episodi, pubblici o più spesso privati, iscrivibili nella serie «c’ero anch’io». Un incidente stradale, un vip a spasso a fare shopping, ma anche manifestazioni di piazza oppure ancora immagini rubate con lo stile delle Iene. E queste “intrusioni” sono spesso così efficaci da dare avvio a dibattiti o veri e propri tormentoni su giornali e radio. Pensate all’eco avuta dalle immagini-pirata registrate in alcune scuole e finite su You Tube. Bene. Ma è giornalismo, questo? O non piuttosto l’estremo sviluppo – grazie alla tecnologia – della libertà di comunicazione? E che differenza c’è oggi, con l’attuale grado di sviluppo tecnologico diffuso, fra comunicazione e giornalismo? Il fruitore, cosa ne pensa?
Lo sappiamo. Il rischio per il giornalista cresciuto nelle redazioni tradizionali è di fare la parte del nostalgico, mentre il mondo galoppa. Certamente le fonti dalle quali le notizie arrivano si sono moltiplicate e in questo senso il giornalismo è cambiato. Certamente in Rete si reperiscono fatti e pareri e ricostruzioni che il vecchio cronista avrebbe impiegato giorni a recuperare. Ma – ripetiamo la domanda – è giornalismo? La credibilità della categoria è bassa. Scontiamo anni di professione giornalistica vuota o insulsa, con frequenti commistioni con interessi pubblicitari, finte inchieste e intervistatori compiacenti. E abbiamo dovuto attendere trasmissioni e “strisce” varie per far scoppiare bubboni nazionali, dai rifiuti alle scuole pericolanti, alla sanità che non funziona. È stata logica quindi la reazione del pubblico. Ho un telefonino. Posso riprendere quello che vedo. Lo mando on line e faccio informazione-verità. Su Internet piovono “pacchetti elettronici” e in questa maniera arrivano all’attenzione di un pubblico più vasto fatti o episodi, pubblici o più spesso privati, iscrivibili nella serie «c’ero anch’io». Un incidente stradale, un vip a spasso a fare shopping, ma anche manifestazioni di piazza oppure ancora immagini rubate con lo stile delle Iene. E queste “intrusioni” sono spesso così efficaci da dare avvio a dibattiti o veri e propri tormentoni su giornali e radio. Pensate all’eco avuta dalle immagini-pirata registrate in alcune scuole e finite su You Tube. Bene. Ma è giornalismo, questo? O non piuttosto l’estremo sviluppo – grazie alla tecnologia – della libertà di comunicazione? E che differenza c’è oggi, con l’attuale grado di sviluppo tecnologico diffuso, fra comunicazione e giornalismo? Il fruitore, cosa ne pensa?Lo sappiamo. Il rischio per il giornalista cresciuto nelle redazioni tradizionali è di fare la parte del nostalgico, mentre il mondo galoppa. Certamente le fonti dalle quali le notizie arrivano si sono moltiplicate e in questo senso il giornalismo è cambiato. Certamente in Rete si reperiscono fatti e pareri e ricostruzioni che il vecchio cronista avrebbe impiegato giorni a recuperare. Ma – ripetiamo la domanda – è giornalismo? La credibilità della categoria è bassa. Scontiamo anni di professione giornalistica vuota o insulsa, con frequenti commistioni con interessi pubblicitari, finte inchieste e intervistatori compiacenti. E abbiamo dovuto attendere trasmissioni e “strisce” varie per far scoppiare bubboni nazionali, dai rifiuti alle scuole pericolanti, alla sanità che non funziona. È stata logica quindi la reazione del pubblico. Ho un telefonino. Posso riprendere quello che vedo. Lo mando on line e faccio informazione-verità. Il tempo del “Citizen Journalism” Questo porterà alla scomparsa dei media tradizionali? Non lo crediamo, anche se certo – come si suol dire – niente sarà più come prima. È già successo con la televisione, che fu presa in contropiede dalla diretta sull’agonia di Alfredino da Vermicino. Il mondo della comunicazione sta cambiando a ritmo forsennato. Ora è il tempo del Citizen Journalism, che consegna a ciascuno di noi, a portata di personal computer, fatti vicini o lontani. Così come avvengono, senza mediazione, nella loro “verità”.C’è da dire che una alluvione di informazioni non fa certo aumentare la conoscenza. Ed ecco dove, secondo noi, ritorna in campo il giornalista-mediatore. Necessario per “dare un senso” a quanto viene raccontato dai video “di base”, per spiegarne il perché, il quando e il dove. A maggior ragione se si tratta di fatti complicati – un filmato da Gaza, per esempio – sarà comunque utile, anzi indispensabile, aggiungere un contesto. Ma il lettore o il telespettatore o l’internauta lo sanno? E condividono questa preoccupazione? Non si sta forse sviluppando una pigrizia di fondo per cui leggere un titolo viene assimilato a sapere l’intera notizia? C’è ancora qualcuno che abbia voglia e tempo di risalire alle fonti, di leggere il testo originale di un discorso o di un documento? Qui si apre uno spazio enorme per la formazione all’uso critico dei media. I giornalisti ne sono consci. Non per niente la bozza di riforma dell’Ordine prevede per il futuro solo l’accesso universitario alla professione. Il mondo ormai è troppo complesso e il vecchio giornalista tuttologo non regge più.

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