In una società in cui i primi rapporti si consumano a 15 anni, la castità non è una rinuncia all'amore, ma il rispetto del proprio corpo che insegna ad amare di più
di Vittorio CHIARI
Redazione Diocesi
Vent’anni fa scrivevo un articolo sul settimanale cattolico di Reggio Emilia, dove tessevo un elogio alla castità. La presentavo come una sfida e proposta radicale per i giovani di allora. Non mi sembrava di essere fuori dal tempo.
Alcuni giorni fa, sono andato a rileggere sul tema quanto il beato don Gnocchi aveva scritto nel suo libro “Educazione del cuore” ed anche lui non mi sembrava fuori dal tempo: i santi non lo sono mai, anche se il linguaggio sa di antico come quello di don Bosco o di Alfonso Maria de’ Liguori.
Ma questo benedetto tempo è cambiato rapidamente: i giovani sono immersi in una cultura della sessualità che li porta lontani da don Gnocchi e da don Bosco, dalla pastorale educativa dei preti dell’oratorio, dei vari gruppi e movimenti ecclesiali.
Un quotidiano nazionale, di dieci giorni fa, pubblicava i risultati di una inchiesta, che denunciava l’elevato numero di ragazzine e ragazzini, che avevano avuto i primi rapporti sessuali già sui 14/15 anni. Stento a crederci, vorrei non crederci, ma non sono poche le ragazzine che si rivolgono alle strutture del territorio perché temono di essere incinte, e magari lo sono, richiedendo un intervento d’urgenza, all’insaputa dei genitori, che sono forse i primi a suggerirlo, quando ne vengono a conoscenza.
Il cardinal Martini, in “Conversazioni a Gerusalemme”, nel capitolo dedicato a “imparare l’amore”, invita la Chiesa a lavorare per una nuova cultura della sessualità e delle relazioni: “Deve farlo anche per contribuire a risolvere un problema fondamentale: nei paesi occidentali un matrimonio su due o tre termina con il divorzio�”.
Il matrimonio va quindi preparato alla lontana, educando i ragazzini alla responsabilità, al rispetto dell’altro, alla preziosità del dono del proprio corpo! Non può essere banalizzato o vissuto con superficialità, al di fuori di un cammino di conoscenza reciproca, di relazioni personali, che abbiano il respiro del “per sempre”.
E qui Don Gnocchi, i santi educatori non sono al di fuori del tempo. Don Gnocchi, già nel 1937, scriveva che molti sono arrivati al matrimonio, “senza aver mai sentito parlare saggiamente dell’amore, senza aver mai contemplato, nella sua vera luce,l a portentosa missione divina e umana della paternità [e della maternità], senza aver appreso le arti difficili e varie che confluiscono in quell’arte delle arti che è il governo delle anime”. Se i genitori non sono educati all’amore, se non lo testimoniano, non saranno quel centro di riferimento, di cui hanno bisogno i figli: crescendo, trovano altri maestri, altri educatori. I genitori, la famiglia, sono sempre un riferimento importante per loro.
Infatti, quando ho chiesto ad un gruppo di ragazzini e ragazzine di terza media – ma guai a chiamarli così, si offendono, incominciamo allora a sentirsi grandi! – chi ritenevano fossero loro maestri nell’arte dell’amare, hanno risposto coralmente: “I miei genitori”; qualcuno ha accennato timidamente alla prof.; uno solo, con aria interrogativa, ha osato dire: “Forse Gesù Cristo?”.
Nessuno ha risposto: il prete o la Chiesa. Ero in una cittadina, dove la frequenza alla Chiesa si aggirava sul 5%, ma anche altrove non sono tanti i ragazzi e ragazze, i giovani, che si ritrovano negli orientamenti della Chiesa.
La formazione all’amore è una formazione alla castità, di cui oggi si parla davvero poco, se non per deridere chi tenta di viverla. “La castità, se la conosci, non ti uccide!”. La battuta scherzosa di un giovane prete d’oratorio può strappare il sorriso, l’ironia, ma va presa sul serio dagli adulti perché è il modo per salvare la sessualità da chi la usa ma non la conosce, non la stima.
La castità non è una rinuncia all’amore, ma è imparare ad amare di più per amare meglio. E’ un fatto di libertà, un saper scegliere le esperienze giuste, indipendentemente dal fatto che “fan tutti così”. E’ l’arte di amare nella logica del dare. E’ costruire legami d’amore, che non si trovano già confezionati, ma esigono un cammino di maturazione, che inizia nell’infanzia, si prolunga nel tempo, si diversifica in base all’età e al riferimento che si è scelto: il progetto di Dio oppure altri di un etica più o meno laica.
Evitando il lamento per tante visioni riduttive della sessualità, dobbiamo ritrovare il coraggio di riproporre ai giovani l’ideale cristiano dell’amore nella sua integralità, senza temere di metterli di fronte al radicalismo della proposta evangelica, agli insegnamenti della Chiesa, avvallati dall’esperienza dei Santi.
Educare alla castità è compito “irrinunciabile” che aiuta i giovani a rispettare il proprio corpo, orientando l’istinto sessuale al servizio dell’amore, integrandolo nello sviluppo della personalità. I giovani sono disponibili di fronte alle proposte forti! La castità è una di queste. Non facile, ma non impossibile! Vent’anni fa scrivevo un articolo sul settimanale cattolico di Reggio Emilia, dove tessevo un elogio alla castità. La presentavo come una sfida e proposta radicale per i giovani di allora. Non mi sembrava di essere fuori dal tempo.Alcuni giorni fa, sono andato a rileggere sul tema quanto il beato don Gnocchi aveva scritto nel suo libro “Educazione del cuore” ed anche lui non mi sembrava fuori dal tempo: i santi non lo sono mai, anche se il linguaggio sa di antico come quello di don Bosco o di Alfonso Maria de’ Liguori. Ma questo benedetto tempo è cambiato rapidamente: i giovani sono immersi in una cultura della sessualità che li porta lontani da don Gnocchi e da don Bosco, dalla pastorale educativa dei preti dell’oratorio, dei vari gruppi e movimenti ecclesiali. Un quotidiano nazionale, di dieci giorni fa, pubblicava i risultati di una inchiesta, che denunciava l’elevato numero di ragazzine e ragazzini, che avevano avuto i primi rapporti sessuali già sui 14/15 anni. Stento a crederci, vorrei non crederci, ma non sono poche le ragazzine che si rivolgono alle strutture del territorio perché temono di essere incinte, e magari lo sono, richiedendo un intervento d’urgenza, all’insaputa dei genitori, che sono forse i primi a suggerirlo, quando ne vengono a conoscenza.Il cardinal Martini, in “Conversazioni a Gerusalemme”, nel capitolo dedicato a “imparare l’amore”, invita la Chiesa a lavorare per una nuova cultura della sessualità e delle relazioni: “Deve farlo anche per contribuire a risolvere un problema fondamentale: nei paesi occidentali un matrimonio su due o tre termina con il divorzio�”. Il matrimonio va quindi preparato alla lontana, educando i ragazzini alla responsabilità, al rispetto dell’altro, alla preziosità del dono del proprio corpo! Non può essere banalizzato o vissuto con superficialità, al di fuori di un cammino di conoscenza reciproca, di relazioni personali, che abbiano il respiro del “per sempre”.E qui Don Gnocchi, i santi educatori non sono al di fuori del tempo. Don Gnocchi, già nel 1937, scriveva che molti sono arrivati al matrimonio, “senza aver mai sentito parlare saggiamente dell’amore, senza aver mai contemplato, nella sua vera luce,l a portentosa missione divina e umana della paternità [e della maternità], senza aver appreso le arti difficili e varie che confluiscono in quell’arte delle arti che è il governo delle anime”. Se i genitori non sono educati all’amore, se non lo testimoniano, non saranno quel centro di riferimento, di cui hanno bisogno i figli: crescendo, trovano altri maestri, altri educatori. I genitori, la famiglia, sono sempre un riferimento importante per loro.Infatti, quando ho chiesto ad un gruppo di ragazzini e ragazzine di terza media – ma guai a chiamarli così, si offendono, incominciamo allora a sentirsi grandi! – chi ritenevano fossero loro maestri nell’arte dell’amare, hanno risposto coralmente: “I miei genitori”; qualcuno ha accennato timidamente alla prof.; uno solo, con aria interrogativa, ha osato dire: “Forse Gesù Cristo?”. Nessuno ha risposto: il prete o la Chiesa. Ero in una cittadina, dove la frequenza alla Chiesa si aggirava sul 5%, ma anche altrove non sono tanti i ragazzi e ragazze, i giovani, che si ritrovano negli orientamenti della Chiesa.La formazione all’amore è una formazione alla castità, di cui oggi si parla davvero poco, se non per deridere chi tenta di viverla. “La castità, se la conosci, non ti uccide!”. La battuta scherzosa di un giovane prete d’oratorio può strappare il sorriso, l’ironia, ma va presa sul serio dagli adulti perché è il modo per salvare la sessualità da chi la usa ma non la conosce, non la stima. La castità non è una rinuncia all’amore, ma è imparare ad amare di più per amare meglio. E’ un fatto di libertà, un saper scegliere le esperienze giuste, indipendentemente dal fatto che “fan tutti così”. E’ l’arte di amare nella logica del dare. E’ costruire legami d’amore, che non si trovano già confezionati, ma esigono un cammino di maturazione, che inizia nell’infanzia, si prolunga nel tempo, si diversifica in base all’età e al riferimento che si è scelto: il progetto di Dio oppure altri di un etica più o meno laica.Evitando il lamento per tante visioni riduttive della sessualità, dobbiamo ritrovare il coraggio di riproporre ai giovani l’ideale cristiano dell’amore nella sua integralità, senza temere di metterli di fronte al radicalismo della proposta evangelica, agli insegnamenti della Chiesa, avvallati dall’esperienza dei Santi. Educare alla castità è compito “irrinunciabile” che aiuta i giovani a rispettare il proprio corpo, orientando l’istinto sessuale al servizio dell’amore, integrandolo nello sviluppo della personalità. I giovani sono disponibili di fronte alle proposte forti! La castità è una di queste. Non facile, ma non impossibile!