Ogni tentativo di amare è destinato a fallire se non si cerca di sviluppare più attivamente la propria personalità; la soddisfazione, nell'amore individuale, non può essere raggiunta senza la capacità di amare il prossimo con umiltà, fede, coraggio
di Vittorio CHIARI
Redazione Diocesi
Appartengo alla schiera di coloro che, con “lieve altezzosità” sono stati definiti dall’intellighentia laica “moralisti” che “sostenevano, quando la discussa pillola (del giorno dopo) fu introdotta, che da rimedio per le emergenze si sarebbe trasformata in abituale, semplificato e perverso sistema anticoncezionale” per le tante ragazzine, che, stando a quanto riportato dal “Corrierone”, al lunedì mattina affollano la Mangiagalli e gli altri “Pronto Soccorso” milanesi per avere il farmaco antigravidanza.
Il consiglio che viene dato dalle pagine del giornale alle under 18, tra le quali molte quattordicenni, è di istruirsi, di informarsi bene perché la contraccezione si fa prima dell’atto sessuale e non dopo: “Avrebbero sacrosanto diritto le sventate adolescenti della Mangiagalli, esattamente come i loro altrettanto sventati compagni di avventure, a essere educate anche in questa non facile materia”.
Le colpe? Dei “moralisti” che si oppongono a che si facciano corsi di educazione sessuale nelle scuole, anche perché i genitori distratti, disattenti, indaffarati o impreparati, non se ne fanno carico. Chiaro? Tutto risolto! La ginecologa suggeriva in altra parte del giornale che in famiglia se ne dovrebbe parlare di più. Se poi la ragazzina, dicono altri medici, è di età inferiore ai 14 anni, prima di somministrare la pillola conviene avere il permesso dei genitori.
Rileggendo, non ho visto nessun accenno all’educazione del cuore, di cui ha scritto don Carlo Gnocchi, in anni lontani, o, in anni più vicini, restando in ambito laico, Erich Fromm, in un libro, Arte di amare, che è stato riferimento per molti giovani, scritto “per convincere il lettore che ogni tentativo di amare è destinato a fallire se non si cerca di sviluppare più attivamente la propria personalità; che la soddisfazione, nell’amore individuale, non può essere raggiunta senza la capacità di amare il prossimo con umiltà, fede, coraggio.
Senza di queste virtù è impossibile amare veramente”. L’educazione sessuale – preferisco chiamarla l’educazione all’amore – non è una tecnica da insegnare, una forma di ginnastica per ragazzine e ragazzini “sventati” che vogliono provare forti emozioni, vivendo semplicemente un’avventura, magari dopo lo sballo in discoteca o una festicciola al pub o in tavernetta degli amici. Mal che vada, è questione di giorni, c’è la pillola aggiustatutto! Non si parla più di età, di stagioni di maturazione, di responsabilità, di tempo dell’attesa, di cui parla lo scienziato Konrad Lorenz lamentando che sia stato distrutto!
Per anni, in scuole statali, ho collaborato come educatore a corsi di educazione sessuale. Parlavo da educatore, non da prete, dopo essere stato sottoposto ad una forma di esame da parte degli insegnanti e del consiglio d’istituto: sui contenuti, sui termini, sui consigli da dare. Non dovevo usare il termine “famiglia” ma genitori, vietato esprimere giudizi morali�
Poi, visto l’interesse dei ragazzi, il loro gradimento, mi hanno lasciato libero di narrare quello che anch’io ho appreso in famiglia, scusate, dai miei genitori, dai miei “barabitt”, da tanti incontri con coppie giovani, studi e letture di libri scritti da giovani, dal confronto con altri esperti, credenti o no. Non ho mai avuto alcun problema disciplinare, quando parlavo e valorizzavo il periodo delle “non memorie”, i primi anni di vita; quando tracciavo una forma di itinerario dell’amore, partendo da una affermazione di un mio ragazzo, finito in carcere, il quale scriveva in una sua lettera: “L’amore non so cos’è: è come una scala della quale non ho mai salito il primo gradino. L’ho sempre cercato in una famiglia ma non l’ho mai trovato”.
Spiegavo quindi l’importanza di essere amati, di condividere l’amore ricevuto con altri, con chi, nel tempo, sarebbe stato chiamato a vivere l’amicizia in un rapporto di unicità, che vince ogni forma di solitudine e dona gioia alla comune esistenza. Parlavo anche del linguaggio del corpo, che è il nostro modo di essere presenti agli altri, di esprimere amore e, purtroppo, anche odio, accoglienza o rifiuto, tenerezza o violenza�
Dopo tanti anni, mi si conferma sempre più la tesi, che sostenevo con gli insegnanti e gli stessi giovani: i primi educatori, in questo campo, così delicato ed affascinante, sono i genitori ma qui lo posso dire, non sono a scuola, è la famiglia. In un mondo così complesso, così disorientato eticamente, la delega ad altri può essere a rischio. Il discorso sulla sessualità e sull’educazione all’amore non è mai neutro! Avviene in un contesto culturale, che dà risposte, orientamenti diversi, in base ai maestri che si incontrano: alcuni, permissivi e� “lascivi”, diceva una mamma, nel senso che lasciano fare tutto, che tutto è lecito; altri esigenti e autorevoli, con alcuni paletti che favoriscono un rapporto equilibrato, senza riferimento ad una morale religiose; altri ancora indicano un cammino secondo l’insegnamento della Chiesa, tenendo presenti i valori proposti dall’antropologia cristiana.
Non è certo un problema di pillola, “prima e dopo”!
Ci vuole ben altro! Appartengo alla schiera di coloro che, con “lieve altezzosità” sono stati definiti dall’intellighentia laica “moralisti” che “sostenevano, quando la discussa pillola (del giorno dopo) fu introdotta, che da rimedio per le emergenze si sarebbe trasformata in abituale, semplificato e perverso sistema anticoncezionale” per le tante ragazzine, che, stando a quanto riportato dal “Corrierone”, al lunedì mattina affollano la Mangiagalli e gli altri “Pronto Soccorso” milanesi per avere il farmaco antigravidanza.Il consiglio che viene dato dalle pagine del giornale alle under 18, tra le quali molte quattordicenni, è di istruirsi, di informarsi bene perché la contraccezione si fa prima dell’atto sessuale e non dopo: “Avrebbero sacrosanto diritto le sventate adolescenti della Mangiagalli, esattamente come i loro altrettanto sventati compagni di avventure, a essere educate anche in questa non facile materia”. Le colpe? Dei “moralisti” che si oppongono a che si facciano corsi di educazione sessuale nelle scuole, anche perché i genitori distratti, disattenti, indaffarati o impreparati, non se ne fanno carico. Chiaro? Tutto risolto! La ginecologa suggeriva in altra parte del giornale che in famiglia se ne dovrebbe parlare di più. Se poi la ragazzina, dicono altri medici, è di età inferiore ai 14 anni, prima di somministrare la pillola conviene avere il permesso dei genitori.Rileggendo, non ho visto nessun accenno all’educazione del cuore, di cui ha scritto don Carlo Gnocchi, in anni lontani, o, in anni più vicini, restando in ambito laico, Erich Fromm, in un libro, Arte di amare, che è stato riferimento per molti giovani, scritto “per convincere il lettore che ogni tentativo di amare è destinato a fallire se non si cerca di sviluppare più attivamente la propria personalità; che la soddisfazione, nell’amore individuale, non può essere raggiunta senza la capacità di amare il prossimo con umiltà, fede, coraggio. Senza di queste virtù è impossibile amare veramente”. L’educazione sessuale – preferisco chiamarla l’educazione all’amore – non è una tecnica da insegnare, una forma di ginnastica per ragazzine e ragazzini “sventati” che vogliono provare forti emozioni, vivendo semplicemente un’avventura, magari dopo lo sballo in discoteca o una festicciola al pub o in tavernetta degli amici. Mal che vada, è questione di giorni, c’è la pillola aggiustatutto! Non si parla più di età, di stagioni di maturazione, di responsabilità, di tempo dell’attesa, di cui parla lo scienziato Konrad Lorenz lamentando che sia stato distrutto!Per anni, in scuole statali, ho collaborato come educatore a corsi di educazione sessuale. Parlavo da educatore, non da prete, dopo essere stato sottoposto ad una forma di esame da parte degli insegnanti e del consiglio d’istituto: sui contenuti, sui termini, sui consigli da dare. Non dovevo usare il termine “famiglia” ma genitori, vietato esprimere giudizi morali�Poi, visto l’interesse dei ragazzi, il loro gradimento, mi hanno lasciato libero di narrare quello che anch’io ho appreso in famiglia, scusate, dai miei genitori, dai miei “barabitt”, da tanti incontri con coppie giovani, studi e letture di libri scritti da giovani, dal confronto con altri esperti, credenti o no. Non ho mai avuto alcun problema disciplinare, quando parlavo e valorizzavo il periodo delle “non memorie”, i primi anni di vita; quando tracciavo una forma di itinerario dell’amore, partendo da una affermazione di un mio ragazzo, finito in carcere, il quale scriveva in una sua lettera: “L’amore non so cos’è: è come una scala della quale non ho mai salito il primo gradino. L’ho sempre cercato in una famiglia ma non l’ho mai trovato”. Spiegavo quindi l’importanza di essere amati, di condividere l’amore ricevuto con altri, con chi, nel tempo, sarebbe stato chiamato a vivere l’amicizia in un rapporto di unicità, che vince ogni forma di solitudine e dona gioia alla comune esistenza. Parlavo anche del linguaggio del corpo, che è il nostro modo di essere presenti agli altri, di esprimere amore e, purtroppo, anche odio, accoglienza o rifiuto, tenerezza o violenza�Dopo tanti anni, mi si conferma sempre più la tesi, che sostenevo con gli insegnanti e gli stessi giovani: i primi educatori, in questo campo, così delicato ed affascinante, sono i genitori ma qui lo posso dire, non sono a scuola, è la famiglia. In un mondo così complesso, così disorientato eticamente, la delega ad altri può essere a rischio. Il discorso sulla sessualità e sull’educazione all’amore non è mai neutro! Avviene in un contesto culturale, che dà risposte, orientamenti diversi, in base ai maestri che si incontrano: alcuni, permissivi e� “lascivi”, diceva una mamma, nel senso che lasciano fare tutto, che tutto è lecito; altri esigenti e autorevoli, con alcuni paletti che favoriscono un rapporto equilibrato, senza riferimento ad una morale religiose; altri ancora indicano un cammino secondo l’insegnamento della Chiesa, tenendo presenti i valori proposti dall’antropologia cristiana. Non è certo un problema di pillola, “prima e dopo”! Ci vuole ben altro!