Compito dell'educatore è far emergere nei giovani quella sete d'eternità a volte sommersa in loro

di Vittorio CHIARI
Redazione Diocesi

Don Carlo Gnocchi è ancora tutto da scoprire, da ritrovare. La sua beatificazione ce lo mette sotto gli occhi e le sue parole possono aiutarci a compiere il nostro cammino educativo in oratori o a scuola o in famiglia.
Una delle sue affermazioni più vive è quella che definisce l’uomo come “un pellegrino, malato d’infinito, incamminato verso l’eternità”.

Compito dell’educatore è aiutare i giovani a scoprirsi pellegrini verso l’eternità, facendo emergere quella sete di infinito, a volte sommersa in loro. Di questo può essere convinto l’educatore. Lo sono anche i giovani? Hanno questa voglia di Dio, questo desiderio di eternità, di vivere la vita come pellegrinaggio verso qualcuno o qualcosa?

La cinematografia americana ogni tanto presenta qualche bel film sul tema del viaggio come “Into the wild”. Una serie di films sono nati da Kerouac, dal suo libro cult della beat-generation, “On the road”: «Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati»; «Dove andiamo?» «Non lo so, ma dobbiamo andare».
Pellegrino ma non verso Dio, anzi, avendoLo come avversario: «Devo essere felice o morire, perché la mia condizione terrena è piena di una tristezza insostenibile e io do la colpa a Dio anziché a me stesso», scrive in un altro suo romanzo.

Don Carlo Gnocchi è ancora tutto da scoprire, da ritrovare. La sua beatificazione ce lo mette sotto gli occhi e le sue parole possono aiutarci a compiere il nostro cammino educativo in oratori o a scuola o in famiglia.Una delle sue affermazioni più vive è quella che definisce l’uomo come “un pellegrino, malato d’infinito, incamminato verso l’eternità”.Compito dell’educatore è aiutare i giovani a scoprirsi pellegrini verso l’eternità, facendo emergere quella sete di infinito, a volte sommersa in loro. Di questo può essere convinto l’educatore. Lo sono anche i giovani? Hanno questa voglia di Dio, questo desiderio di eternità, di vivere la vita come pellegrinaggio verso qualcuno o qualcosa?La cinematografia americana ogni tanto presenta qualche bel film sul tema del viaggio come “Into the wild”. Una serie di films sono nati da Kerouac, dal suo libro cult della beat-generation, “On the road”: «Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati»; «Dove andiamo?» «Non lo so, ma dobbiamo andare».Pellegrino ma non verso Dio, anzi, avendoLo come avversario: «Devo essere felice o morire, perché la mia condizione terrena è piena di una tristezza insostenibile e io do la colpa a Dio anziché a me stesso», scrive in un altro suo romanzo. Oratori fuori dal tempo? Noi siamo pellegrini. Noi apparteniamo al popolo di Dio in cammino. Possiamo ripercorrere l’Antico Testamento nelle mirabili pagine dell’Esodo o metterci sui panni di Gesù Cristo, per scoprire che non siamo soli, senza meta, incamminati verso il nulla di tanti “maestri” dei nostri giorni, che stigmatizzano “l’ideale etico cristiano che, non soddisfatto dei beni e dei piaceri transeunti del mondo dove nulla è durevole, aspira a un bene indefettibile ed eterno che, non essendo di questo mondo, è ipotizzato in un altro mondo, ed è raggiungibile solo con la pratica ascetica del sacrificio e della rinuncia”.E’ il pensiero di Umberto Garimberti che cita Nietzsche, per il quale i cristiani sono “dispregiatori del mondo� quelli che hanno inventato l’al di là per meglio calunniare l’al di qua”, “uomini del risentimento”, che non hanno trovato in questo mondo la soddisfazione adeguata al loro desiderio.Ma davvero sono così don Bosco o don Gnocchi, che hanno ispirato o lavorato nei nostri oratori? I bravi laici che li hanno sostenuti e che nell’oratorio sono maturati padri e madri di famiglia, educatori, protagonisti operosi nel sociale e nel civile? E’ forse così il nostro Cardinale che incoraggia, benedice e sostiene chi lavora in Oratorio?Decisamente, no! Non sono fuori del tempo né contro i valori positivi del mondo, i nostri oratori che accolgono in piena libertà i ragazzi, le ragazze e i giovani, dove si gioca e si fa della cultura, del teatro, della musica, dei doposcuola per chi è in difficoltà, campi scuola e campeggi in montagna, attività estive; dove la parola solidarietà, tradotta in carità, è di casa; dove – scrive don Gnocchi -, si risponde al bisogno di “un Dio di giustizia e di amore nel quale gli uomini si ritrovino fratelli e perciò diano una mano a sanare le gravi ingiustizie che ancora li dividono; un Dio terrestre e umano da amare e seguire appassionatamente come un capo e una dottrina nuda ed essenziale e pur capace di sostenere lo slancio eroico e il bisogno di dedizione che è nel cuore dell’uomo moderno”. I Santi dell’educazione Don Gnocchi, come i nostri Santi dell’educazione, afferma che nessuno meglio di Gesù Cristo risponde a questi requisiti: “Dio disceso in questo mondo e pure uomo come tutti, vissuto e morto su questa terra, giovane, forte e dolce, che ha sperimentato tutta la nostra vita in quello che ha di più umile e ci ha amati fino a morire per la nostra salute”.Conoscendo bene il pensiero di Pascal, lo cita quando dice che “vi sono tre sorta di persone: quelle che servono Dio avendolo trovato, quelle che si adoperano a cercarlo, non avendolo trovato, e quelle che vivono senza cercarlo né trovarlo. I primi sono ragionevoli e felici; quelli di mezzo sono ragionevoli e infelici; gli ultimi sono pazzi e infelici”.Don Gnocchi come don Bosco, imitando Gesù Buon Pastore, non si sono tuttavia fermati a Pascal e neppure all’ovile, ma sono andati in cerca anche delle altre pecorelle, non essendo tranquilli, sapendole fuori, lontane da Cristo. Don Bosco è andato per le strade, don Gnocchi sulle vie del dolore, diventando – “i ragionevoli e infelici� i pazzi e infelici -, campo della loro azione pastorale. pure loro considerati “pellegrini, malati d’infinito, incamminati verso l’eternità” da accostare con rispetto, pazienza e speranza.

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