Chiesa e famiglia devono insegnare l'amore per il prossimo: non ci si pente mai di avere educato i figli alla generosità

di Vittorio CHIARI
Redazione Diocesi

“Che il buon Dio doni a tutti noi dei cattivi sogni, se questi ci conducono sulla strada dei nostri fratelli. Che Egli ci faccia la grazia di essere angosciati della miseria del mondo. Di modo che noi, gente terribilmente felice, noi possiamo farci perdonare il nostro benessere, imparando ad amare”.
Era la preghiera di Raoul Follereau, il giornalista dei “lebbrosi”, in risposta ad una signora che gli aveva mandato una banconota tutta nuova, rifiutando i suoi libretti, illustrati da fotografie dei suoi ammalati: “Per amor di Dio che non ne senta più parlare!”. Non era riuscita dormire due notti per quei “mostri” che le avevano suscitato sogni terribili!

Dove vada a finire l’amore di Dio, non lo so proprio, ma so che molti rifiutano i calendari, messi in vendita dalle varie Associazioni ong, perché le foto e le frasi che le commentano, rattristano la vista. Meglio quelli con illustrazioni di splendidi panorami o di donne più o meno vestite. In tempo di vacanze, poi, al mare o ai monti, non si vuole sentire parlare di povertà o di precarietà, di famiglie in difficoltà: è tempo di divertimento, non si vuole essere disturbati.

L’argomento è tabù non solo per gli adulti ma anche per i giovani e per i bambini. Una mamma mi aveva seriamente rimproverato perché aveva mostrato alcune diapositive di bimbi poveri del’Etiopia: “Non voglio che mio figlio abbia a stare male! Ha tempo da grande di rendersi conto del male del mondo, per adesso, lasciatelo nei suoi sogni”. Quali? Certe mamme preferiscono il sogno dei fumetti o dei “cartoons” della TV che un’immersione nel reale, guidata e sostenuta dalla presenza dei genitori, che sanno mediare, consigliare, correggere, discernere il positivo dal negativo. Solo mamme? Anche papà, che rifuggono dal ruolo educativo e non hanno troppa voglia di intristirsi con i drammi dell’umanità.

Così facendo non educhiamo ad amare! Per i nostri giovani costruiamo l’inferno là dove non costruiamo un mondo senza amore! L’amore non solo di noi stessi, ma l’amore che si dona, che si prende a carico gli altri� Vale a tutte le età. Ricordo quella ragazzina di nove anni, adottata, che non vuole regali per la sua Prima Comunione. Li manda ai poveri delle Ande peruviane, meno fortunati di lei.

Si possiede solo quello che si dona, senza amore la persona non esiste. Sono pensieri di Emmanuel Mounier, ma sono il cuore del Vangelo, che si deve annunciare in famiglia, in parrocchia, in oratorio, con proposte forti che maturano il cristiano, prima ancora l’uomo, la donna, capaci di partecipare del dolore dell’umanità. E si deve cominciare presto a creare questa mentalità di servizio. E’ interessante vedere i bimbi di genitori, che hanno scelto di essere famiglie aperte, famiglie in comunità di accoglienza. il loro servire a tavola, imitando il papà e la mamma, la facilità con cui giocano con gli altri, si prendono cura del ragazzino down o con difficoltà a livello fisico.

In tanti campi estivi, è privilegiata questa attenzione agli altri, al “prossimo”, l’apertura missionaria: nella preghiera, in un mercatino-vendita degli oggetti dei vari laboratori tenuti al Grest, nel gemellaggio con un padre missionario, in iniziative per gli anziani o i poveri della parrocchia, una visita ad una casa della Carità�
La fantasia del Don e degli animatori, delle animatrici deve essere inesauribile in questa educazione all’amore, che è il dono più bello che l’oratorio o la comunità cristiana può lasciare ai suoi ragazzi. La stessa attenzione deve avere la famiglia: non ci si pente mai di avere educato i figli alla generosità, i guai nascono quando essi sono egoisti, vedono solo se stessi, crescono con mille esigenze e pretese. I figli poi sono orgogliosi dei loro genitori, quando li sanno riconosciuti nella comunità per il loro servizio gratuito, disinteressato agli altri.

Sono sei quelli che accompagnano la mamma e papà Tonno sulle Ande, cinque quelli che finanziano papà Arturo nella sua partenza per il Perù ad aprire una cartiera dove lavorano giovani campesinos e si stampa carta a mano.
Sabato in Val Formazza erano dodici i bambini con i loro genitori, educatori d Arese con i ragazzi in difficoltà. E l’elenco è molto più lungo: appartengono tutti a gruppi e famiglie che non temono i cattivi sogni, perché ne coltivano altri, legati alla carità, all’amore. “Che il buon Dio doni a tutti noi dei cattivi sogni, se questi ci conducono sulla strada dei nostri fratelli. Che Egli ci faccia la grazia di essere angosciati della miseria del mondo. Di modo che noi, gente terribilmente felice, noi possiamo farci perdonare il nostro benessere, imparando ad amare”.Era la preghiera di Raoul Follereau, il giornalista dei “lebbrosi”, in risposta ad una signora che gli aveva mandato una banconota tutta nuova, rifiutando i suoi libretti, illustrati da fotografie dei suoi ammalati: “Per amor di Dio che non ne senta più parlare!”. Non era riuscita dormire due notti per quei “mostri” che le avevano suscitato sogni terribili!Dove vada a finire l’amore di Dio, non lo so proprio, ma so che molti rifiutano i calendari, messi in vendita dalle varie Associazioni ong, perché le foto e le frasi che le commentano, rattristano la vista. Meglio quelli con illustrazioni di splendidi panorami o di donne più o meno vestite. In tempo di vacanze, poi, al mare o ai monti, non si vuole sentire parlare di povertà o di precarietà, di famiglie in difficoltà: è tempo di divertimento, non si vuole essere disturbati.L’argomento è tabù non solo per gli adulti ma anche per i giovani e per i bambini. Una mamma mi aveva seriamente rimproverato perché aveva mostrato alcune diapositive di bimbi poveri del’Etiopia: “Non voglio che mio figlio abbia a stare male! Ha tempo da grande di rendersi conto del male del mondo, per adesso, lasciatelo nei suoi sogni”. Quali? Certe mamme preferiscono il sogno dei fumetti o dei “cartoons” della TV che un’immersione nel reale, guidata e sostenuta dalla presenza dei genitori, che sanno mediare, consigliare, correggere, discernere il positivo dal negativo. Solo mamme? Anche papà, che rifuggono dal ruolo educativo e non hanno troppa voglia di intristirsi con i drammi dell’umanità.Così facendo non educhiamo ad amare! Per i nostri giovani costruiamo l’inferno là dove non costruiamo un mondo senza amore! L’amore non solo di noi stessi, ma l’amore che si dona, che si prende a carico gli altri� Vale a tutte le età. Ricordo quella ragazzina di nove anni, adottata, che non vuole regali per la sua Prima Comunione. Li manda ai poveri delle Ande peruviane, meno fortunati di lei.Si possiede solo quello che si dona, senza amore la persona non esiste. Sono pensieri di Emmanuel Mounier, ma sono il cuore del Vangelo, che si deve annunciare in famiglia, in parrocchia, in oratorio, con proposte forti che maturano il cristiano, prima ancora l’uomo, la donna, capaci di partecipare del dolore dell’umanità. E si deve cominciare presto a creare questa mentalità di servizio. E’ interessante vedere i bimbi di genitori, che hanno scelto di essere famiglie aperte, famiglie in comunità di accoglienza. il loro servire a tavola, imitando il papà e la mamma, la facilità con cui giocano con gli altri, si prendono cura del ragazzino down o con difficoltà a livello fisico.In tanti campi estivi, è privilegiata questa attenzione agli altri, al “prossimo”, l’apertura missionaria: nella preghiera, in un mercatino-vendita degli oggetti dei vari laboratori tenuti al Grest, nel gemellaggio con un padre missionario, in iniziative per gli anziani o i poveri della parrocchia, una visita ad una casa della Carità�La fantasia del Don e degli animatori, delle animatrici deve essere inesauribile in questa educazione all’amore, che è il dono più bello che l’oratorio o la comunità cristiana può lasciare ai suoi ragazzi. La stessa attenzione deve avere la famiglia: non ci si pente mai di avere educato i figli alla generosità, i guai nascono quando essi sono egoisti, vedono solo se stessi, crescono con mille esigenze e pretese. I figli poi sono orgogliosi dei loro genitori, quando li sanno riconosciuti nella comunità per il loro servizio gratuito, disinteressato agli altri.Sono sei quelli che accompagnano la mamma e papà Tonno sulle Ande, cinque quelli che finanziano papà Arturo nella sua partenza per il Perù ad aprire una cartiera dove lavorano giovani campesinos e si stampa carta a mano.Sabato in Val Formazza erano dodici i bambini con i loro genitori, educatori d Arese con i ragazzi in difficoltà. E l’elenco è molto più lungo: appartengono tutti a gruppi e famiglie che non temono i cattivi sogni, perché ne coltivano altri, legati alla carità, all’amore.

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