Apertura con il "nuovo" cinema americano, ma grande spazio anche ai registi italiani, sempre più "ispirati". Leone alla carriera ad Ermanno Olmi.
Redazione
02/09/2008
di Paola DALLA TORRE
La 65ª edizione della Mostra del cinema di Venezia si è aperta con il solito sfoggio di glamour americano: Brad Pitt e George Clooney hanno aperto la cerimonia di quest’anno con il nuovo film dei fratelli Coen , Burn after reading, una commedia surreale, con i toni anarcoidi e un po’ folli tipici delle pellicole dei due fratelli americani, una disincantata e ironica accusa a tante delle manie e dei tic dell’America contemporanea e non solo . L’ossessione per il corpo e la relativa ossessione per le palestre , le paure di essere osservati e spiati nella privacy, la fatuità nei rapporti fra uomini e donne e l’incompetenza di chi ci governa.
Un’apertura, dunque, sotto il segno del grande cinema americano : un cinema impegnato, d’élite e critico com’è quello dei Coen e com’è quello di due star impegnate nel sociale come Pitt e Clooney. E certamente il filo rosso di questa edizione della Mostra è proprio quello della scelta di privilegiare un cinema d’impegno, difficile, a volte elitario (moltissime le pellicole provenienti dall’Oriente, come piace al sinologo Marco Muller), ma capace di stimolare lo spettatore con pellicole dei generi più distanti.
Si passerà dalla commedia (in concorso anche il nuovo film di Johnatan Demme con Anne Hataway in versione dark), al dramma (la tragedia familiare di Arriaga, lo sceneggiatore di Gonzalez Innaritu, che porta alla Mostra la sua opera prima con Charlize Theron e Kim Basinger), al film d’animazione (due pellicole giapponesi, una del grande Hayo Miazaki), con ampio spazio al cinema italiano.
Ben quattro, infatti, titoli nostrani in concorso: Pupi Avati con un noir dalle tinte fosche, interpretato da Silvio Orlando, Alba Rochwater, Francesca Neri e Ezio Greggio, Il papà di Giovanna , storia di famiglia, amore, delitti e follia, ambientata nella Bologna tanto amata dal regista; Un giorno perfetto di Ferzan Ozpetek , tratto dal romanzo omonimo di Melania Mazzucco, una vicenda di violenza e ossessione amorosa, con Valerio Mastrandrea, Isabella Ferrari e Stefania Sandrelli, la prima volta in cui il regista turco si confronta con una storia non scritta da lui e con tematiche mai trattate; Birdwatchers di Marco Bechis, vicenda ambientata tra i facenderos brasiliani dove il divario tra ricchi e poveri è assoluto e si lotta per le proprietà terriere, interpretato da Claudio Santamaria e Valentina Cervi; Il seme della discordia di Pappi Corsicato, il regista napoletano che torna a dirigere un film dopo anni di inattività, con una storia ispirata a Von Kleist, interpretata da Alessandro Gassman e Caterina Murino, secondo lo stile surreale tipico dell’autore.
Ed inoltre anche il Leone d’oro alla carriera batte bandiera italiana , quest’anno: sarà infatti Ermanno Olmi a ricevere la statuetta , a coronamento di una carriera cinematografica encomiabile per serietà, impegno, umiltà. Esempio di un cinema capace di raccontare l’uomo e la sua realtà, con una sensibilità e un’attenzione particolare per la sfera del trascendente.
Grande spazio, dunque, all’Italia, che si trova ben rappresentata anche nelle sezioni collaterali della Mostra, segno che il nostro cinema sta vivendo una stagione fortunata, sulla scia dei prestigiosi premi già vinti a Cannes. Una Mostra, perciò, che punta, forse per distinguersi dal Festival di Roma, più votato al glamour e quest’anno guidato da un vecchio saggio come Gian Luigi Rondi, ad un cinema che s’impegni a raccontare la realtà e l’uomo con forme e linguaggi complessi ed artistici, espressioni composite dei tanti punti di vista di un mondo sempre più globalizzato che ha sempre più bisogno di comunicare.