In vista dell’Assemblea per il rinnovo dei vertici della Federazione, facciamo il punto sul triennio concluso con il presidente Francesco Zanotti, che ripercorre «un periodo marcato da una certa sofferenza» e analizza il tema spinoso del Fondo editoria: in gioco il pluralismo dell’informazione

di Vincenzo CORRADO

Francesco Zanotti

Si svolgerà a Roma, dal 28 al 30 novembre la XVII assemblea nazionale elettiva della Fisc (la Federazione cui fanno capo 187 giornali diocesani). I lavori, incentrati sul tema “L’altra faccia della luna. L’etica del giornalista tra carta e web”, saranno aperti dalla prolusione del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei.

Durante l’assemblea verrà costituito il nuovo Consiglio nazionale, che nella prima riunione eleggerà il presidente della Federazione per il prossimo triennio. A guidare la Fisc nei tre anni appena trascorsi è stato Francesco Zanotti, direttore del Corriere Cesenate (Cesena-Sarsina), primo presidente laico dalla costituzione della Federazione, nel 1966. Con lui tracciamo un bilancio del suo mandato.

Come considera questo triennio che si conclude con l’assemblea?
Il bilancio è positivo, nonostante le non poche difficoltà con cui ci confrontiamo ogni giorno: diminuzione delle vendite e degli abbonamenti, contrazione del mercato pubblicitario, taglio dei contributi all’editoria. Eppure, malgrado questo periodo così complicato, mi pare che tra noi si siano consolidate e siano cresciute la stima reciproca e la condivisione di un percorso comune. Chi ci ha preceduto, dai fondatori in poi, ci ha consegnato in eredità innanzitutto un’esperienza ecclesiale che noi realizziamo nel difficile campo dei mass media. E ciò non dobbiamo mai dimenticarlo.

Questi anni sono stati caratterizzati in modo particolare dalla crisi economico-finanziaria, con ripercussioni anche sull’editoria. Qual è lo stato di salute attuale dei settimanali?
È un periodo marcato da una certa sofferenza. Di certo non ci si può cullare sui risultati acquisiti. Forse teniamo più di altri, ma non dimentico alcune situazioni difficili, anche tra i nostri giornali. Il territorio, la nostra forza, pur nella crisi generalizzata, assicura ancora legami molto stretti. Ma vorrei chiarire subito: noi non diamo voce al territorio come pura cronaca locale, raccontiamo invece la vita che scorre nella provincia italiana, e non solo – basta pensare al respiro nazionale e internazionale che ci viene garantito dai servizi del Sir -, dal nostro punto di vista. Leggiamo la realtà alla luce della fede. E ciò vale per qualsiasi argomento trattato.

Tra le difficoltà vissute in questo triennio un nodo particolare è rappresentato dal Fondo editoria, su cui la Fisc ha una posizione ben precisa: «Le provvidenze non sono un regalo, ma un contributo al pluralismo e alla libertà d’informazione»…
La nostra posizione è chiara. E la portiamo avanti a favore di tutto il comparto. Anzi, dirò di più. Noi percepiamo briciole di contributi, importanti per i nostri giornali (una settantina di testate sulle 187 associate), ma pur sempre briciole. Essendo, però, in gioco un valore molto importante, il pluralismo dell’informazione, riteniamo che sia necessario impegnarsi con tutte le forze in questa buona battaglia di civiltà. Cosa potrebbe essere domani il nostro Paese con poche testate in edicola? Oppure senza più i giornali del territorio? O quelli di opinione? Non credo si possa liquidare l’argomento con i soliti slogan. Purtroppo risulta complicato veicolare un messaggio diverso. Ma fa lo stesso: noi ci proviamo.

L’assemblea sarà dedicata all’altra faccia della luna. Ma quali sono le due facce per i giornali Fisc?
Sono le due facce dell’Italia. Una è quella che appare e ha voce in capitolo. Mi riferisco ai grandi network che amplificano quanti hanno già una voce forte e potente: politica, economia, finanza, notizie negative che fanno sempre gola… Il resto, cioè la maggioranza della gente, non passa. È come se non esistesse. Noi non accettiamo, per vocazione e radicamento nel territorio, questo stato di cose. I nostri giornali danno voce a chi non ha voce. Raccontano quell’Italia che non emerge quasi mai. L’Italia delle periferie, dove c’invita a uscire Papa Francesco.

Le nuove tecnologie hanno modificato radicalmente il modo di fare informazione. Quale futuro per i settimanali diocesani?
Su questo campo ci giochiamo parecchio dei nostri prossimi anni. Internet c’interpella, eccome. È un prolungamento, ma non solo, dei nostri giornali cartacei. È uno spazio che vogliamo abitare. Come Federazione abbiamo un progetto avviato, grazie al quale ogni nostro giornale si può dotare di un sito. Sono già oltre cento le testate presenti sul web. Anche se in questo momento la Rete non paga, può essere un buon investimento. Le dà valore l’autorevolezza della testata cartacea che spesso vanta più di un secolo di vita. Una dote da non disperdere, anzi da incrementare con le potenzialità dell’era digitale.

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