In Italia è in dirittura d'arrivo alla VII Commissione della Camera dei Deputati, nel disinteresse quasi generalizzato, una proposta di legge che prevede l'abolizione del finanziamento pubblico all'editoria. Sicuri che sia un bene per la vita democratica? Da tempo la Fisc si batte contro gli sprechi e invoca rigore nella distribuzione delle risorse pubbliche, ma...
di Francesco ZANOTTI
Presidente Fisc
Affrontiamo per l’ennesima volta un tema che non fa proseliti. Non fa neppure audience e non incrementa i lettori. Anzi, rischia proprio di farne perdere, in tempi di populismo dilagante. Ma fa lo stesso, direbbe don Oreste Benzi: se una battaglia è giusta, va combattuta ugualmente, proprio come fece il sacerdote riminese con i rom, altro tema inviso all’opinione pubblica dominante. Lui non se ne importò e continuò le sue lotte in favore dell’uomo umiliato e offeso. Noi andiamo di conseguenza e ci battiamo per la libertà d’informazione nel nostro Paese e contro (sì, contro) una campagna di disinformazione volta a screditare certa carta stampata.
I contributi pubblici all’editoria sono considerati un regalo di Stato. Sarà anche successo questo, in diversi casi, ma l’intero sistema non è tutto da buttare. Si tratta, diciamolo subito, di un sostegno al pluralismo nell’informazione. Il mercato, da solo, non è sufficiente per garantire la presenza di più voci nel panorama dell’informazione. E proprio questo settore, così delicato e importante per la crescita e lo sviluppo democratico di un Paese che amerebbe definirsi avanzato, non può essere considerato alla stregua di qualsiasi altro comparto.
Si invoca spesso l’Europa, a volte anche a sproposito. Per la carta stampata e l’informazione più in generale, invece, si tace su quanto accade nel nostro continente. In quasi tutti gli Stati l’informazione viene sostenuta, con sistemi diversi, ma è certo che viene aiutata. È troppo importante per essere lasciata alla dinamica domanda-offerta. Pensiamo a ciò che accade quando si verifica un colpo di Stato: di norma si mette subito mano alle radio, alle tv, alla carta stampata, appunto perché è proprio da questi mezzi che dipende molto della vita di una comunità nazionale.
Ora in Italia è in dirittura d’arrivo alla VII Commissione della Camera dei Deputati, nel disinteresse quasi generalizzato e all’inizio del mese di agosto, una proposta di legge che prevede l’abolizione del finanziamento pubblico all’editoria. Intendiamoci subito e molto bene: da tempo la Fisc si batte contro gli sprechi e ha sempre invocato maggiore rigore nella distribuzione delle risorse pubbliche. Ciò vale, evidentemente, anche in questo caso. Però, soprattutto in fasi di ristrettezze economiche, occorre operare dei distinguo e agire con maggiore raziocinio.
Il pluralismo informativo è un valore? Il territorio in Italia ha un senso? Più testate attive sono una ricchezza? Oppure è sufficiente qualche informazione generica magari diffusa online, come a volte si vuole far credere, rispetto a un dibattito e a un confronto che può costituire parte del sale di una sana democrazia partecipata? Sono questi gli interrogativi a cui occorre dare una risposta prima di eliminare un sistema, certamente imperfetto e migliorabile. Un sistema che ha anche avuto il merito di sostenere una certa editoria libera, di idee e del territorio che, in svariati casi, dà voce e spessore a realtà altrimenti obbligate all’oblio da un circo costituito da grandi network fin troppo autoreferenziale.