A Catania si è concluso il corso di aggiornamento "Monsignor Alfio Inserra" per i cronisti dei settimanali cattolici. Dal vescovo di Noto Antonio Staglianò l’invito a sottrarsi «all’accecamento universale» che comporta la perdita della coscienza umana

di Lorena LEOPARDI
Agenzia SIR

testate fisc

«Noi non siamo giornalisti cattolici, ma cattolici prestati al giornalismo. E il nostro compito è formare le coscienze con dei giornali fatti bene, formare informando». Così Francesco Zanotti, presidente della Federazione dei settimanali cattolici, ha aperto giovedì scorso al museo diocesano di Catania il XXII Master di aggiornamento “Monsignor Alfio Inserra” per direttori, amministratori, redattori e giovani giornalisti dei settimanali cattolici, che quest’anno ha avuto come tema “Cultura e prospettive occupazionali. Dalla magna Grecia alla Sicilia 2.0”.

Attenzione a quando si parla

«Abbiamo ricevuto una eredità preziosa, questo della Sicilia è un appuntamento che ci ha lasciato monsignor Alfio Inserra», ha proseguito Zanotti, «e per noi è importante essere a Catania, in mezzo alla città, e parlare di cultura e turismo perché con la nostra esperienza cristiana possiamo dare quel quid, quel qualcosa in più. Il tratto più significativo del nostro stare insieme è la fraternità tra di noi. Papa Benedetto XVI ci ha parlato di infoetica, dell’attenzione che serve quando si parla. I nostri giornali sono le voci delle comunità diocesane, e sono contento di vedere molti volti di giovani».

Continuare a “vedere”

Di un «accecamento universale» ha parlato monsignor Antonio Staglianò, vescovo di Noto e delegato della Conferenza episcopale siciliana per la Cultura e le comunicazioni sociali, evidenziando come tale processo cominci «con la perdita progressiva della coscienza umana, della quale si sa sempre di meno, fino al nulla. La coscienza umana non sa più di sé e non vuole sapere più della realtà, né della verità». Nella nostra «società vorticosa» la coscienza «non vede se stessa, gli altri, nemmeno la realtà. L’era digitale, così, mette a disposizione degli umani strumenti e tecniche, ma il rischio è che gli umani, vedendo attraverso la tecnologia, perdano la vista, perché in realtà hanno dimenticato la luce».

Non possiamo, ha proseguito monsignor Staglianò, «non registrare il riduzionismo nel mondo della comunicazione: ormai siamo tutti strumenti nelle mani dei dispositivi. A qualunque religione si appartenga, è bene comprendere che la pratica giornalistica non è tecnica narrativa, ma consapevolezza critica, a cominciare dal fatto che chiunque racconti parte da una luce che apre i suoi occhi sulla realtà da vedere».

Senza comunione, nessuna comunicazione

Se la «desertificazione spirituale ha fatto sì che l’uomo ha smesso di essere animale simbolico», rimane il fatto che egli, ha aggiunto il vescovo, «non è riconducibile alle condizioni biologiche della sua esistenza ed è superiore rispetto a qualsiasi ente o entità. L’informazione è comunicativa quando comunica la verità: non è possibile – ha concluso – alcuna comunicazione senza comunione». I beni culturali sono stati presi in considerazione «come elementi di comunicazione» dotati della «capacità di creare comunità» da Giuseppe Vecchio, docente alla facoltà di Scienze politiche a Catania. Occorre, ha proseguito, «non distruggerli, né limitarci a guardarli ma coltivarli attraverso le professionalità del settore», e in questo, ha concluso, «i giornalisti hanno una grande responsabilità».

Ti potrebbero interessare anche: