Missionaria comboniana di 46 anni, dopo il Medio Oriente e lo Zambia, ora è pronta a partire per una nuova destinazione
di Luisa BOVE
Redazione
Per suor Rita Serao, comboniana di 46 anni e in partenza per il Sudan, è stata una grande emozione ricevere il crocifisso alla Veglia missionaria che si è svolta a Tradate il 23 ottobre scorso. «È stato molto bello perché ho ricevuto il mandato dalla Chiesa diocesana» e non semplicemente dalla parrocchia come era avvenuto nel 2001 prima di partire per lo Zambia. Suor Rita infatti non è alla sua prima esperienza di missione, ma ora che si avvicina la data del suo prossimo viaggio è davvero «contenta». La sua nuova destinazione è il Sudan, «terra di conflitti e di sofferenza grande», dice la comboniana, «per questo cercherò di essere una presenza di “luce” per la gente». Non sarà una situazione facile, ma «dopo varie esperienze si assume una certa maturità. Avrò le spalle molto più grosse rispetto a quando sono partita la prima volta. Allora ero un pesciolino fuor d’acqua, mi sentivo persa e avevo paura», ammette la religiosa. «Adesso mi accorgo che ogni Paese è un po’ casa mia, sono straniera in Italia tanto quanto lo ero in Africa o in Inghilterra».
Ma andiamo con ordine. Missionaria comboniana dal 1996, suor Rita è partita l’anno successivo per il Medio Oriente. Ha raggiunto Dubai dove è andata a studiare inglese. «Era una realtà islamica non sempre facile e mi sono fermata tre anni e mezzo; andavo a trovare i carcerati emigrati che non ricevevano visite da nessuno, erano soprattutto africani». Alla fine del 2000 è rientrata in Italia e l’anno dopo è partita per lo Zambia dove è rimasta sette anni.
«Per quasi due anni ho lavorato con i malati di Aids e le vedove – racconta suor Rita – realizzando progetti di microcredito con la diocesi di Lusaka». In passato infatti aveva frequentato un corso per conoscere i meccanismi finanziari. «Organizzavo incontri di formazione nelle parrocchie insegnando alla gente matematica e business» e a rotazione assegnava prestiti agli africani per aiutarli ad avviare piccole attività commerciali.
In seguito le suore comboniane hanno deciso di realizzare un progetto a favore delle ragazze orfane (di età compresa tra i 14 e i 18 anni) a Lusaka, nella periferia Lilanda dove le religiose erano già presenti. Anche suor Rita è stata coinvolta per gestire il centro diurno che avrebbe ospitato circa una cinquantina di ragazze. «Le giovani arrivavano al mattino e tornavano a casa la sera – spiega la missionaria – perché non volevamo toglierle dalla loro realtà». Al mattino ricevevano un’educazione di base, ma frequentavano anche corsi di formazione legati al business (dalla maglieria alla pittura su stoffa) o imparavano a usare il computer. La scelta dipendeva anche dalle loro capacità, ma era comunque un modo «per aiutarle ad “aprire la mente”». Il pranzo era offerto dal centro, poi nel pomeriggio si passava alla formazione pratica e al microcredito, per dare alle ragazze una prospettiva di vita e di sostentamento. «Con qualcuna ha funzionato – dice suor Rita – mentre altre si sono perse per strada». Purtroppo il numero di queste giovani, «considerate le schiave di tutti», era elevatissimo, ma non tutte frequentavano il centro. Per chi ci stava non era sempre facile mantenere l’impegno preso perché a volte «dovevano restare a casa ad aiutare oppure venivano fatte sposare…». Le religiose hanno sempre garantito alle ragazze «un’assistenza e un sostegno, visitando anche le famiglie, grazie agli insegnanti locali».
Rientrata dallo Zambia due anni fa, suor Rita è poi ripartita per l’Inghilterra dove ha frequentato un corso di aggiornamento per formatori e leadership, studiando anche psicologia e spiritualità per l’accompagnamento delle persone. L’11 novembre partirà quindi per il Sudan dove sono presenti diverse comunità di comboniane, anche se all’inizio farà tappa a Nairobi (Kenya) dove c’è la casa provinciale. Non conosce ancora la realtà, né i progetti avviati dalle sue consorelle, il suo impegno missionario sarà dunque deciso “sul campo”.
Intanto non dimentica gli amici conosciuti nelle sue precedenti esperienze: «Ho mantenuto anche qualche contatto, seppure molto sporadico, con persone di Dubai, Zambia e Inghilterra attraverso Internet e Skipe». I potenti mezzi di comunicazioni infatti oggi permettono di accorciare le distanze e di mantenere relazioni da ogni parte del mondo. Per suor Rita Serao, comboniana di 46 anni e in partenza per il Sudan, è stata una grande emozione ricevere il crocifisso alla Veglia missionaria che si è svolta a Tradate il 23 ottobre scorso. «È stato molto bello perché ho ricevuto il mandato dalla Chiesa diocesana» e non semplicemente dalla parrocchia come era avvenuto nel 2001 prima di partire per lo Zambia. Suor Rita infatti non è alla sua prima esperienza di missione, ma ora che si avvicina la data del suo prossimo viaggio è davvero «contenta». La sua nuova destinazione è il Sudan, «terra di conflitti e di sofferenza grande», dice la comboniana, «per questo cercherò di essere una presenza di “luce” per la gente». Non sarà una situazione facile, ma «dopo varie esperienze si assume una certa maturità. Avrò le spalle molto più grosse rispetto a quando sono partita la prima volta. Allora ero un pesciolino fuor d’acqua, mi sentivo persa e avevo paura», ammette la religiosa. «Adesso mi accorgo che ogni Paese è un po’ casa mia, sono straniera in Italia tanto quanto lo ero in Africa o in Inghilterra».Ma andiamo con ordine. Missionaria comboniana dal 1996, suor Rita è partita l’anno successivo per il Medio Oriente. Ha raggiunto Dubai dove è andata a studiare inglese. «Era una realtà islamica non sempre facile e mi sono fermata tre anni e mezzo; andavo a trovare i carcerati emigrati che non ricevevano visite da nessuno, erano soprattutto africani». Alla fine del 2000 è rientrata in Italia e l’anno dopo è partita per lo Zambia dove è rimasta sette anni.«Per quasi due anni ho lavorato con i malati di Aids e le vedove – racconta suor Rita – realizzando progetti di microcredito con la diocesi di Lusaka». In passato infatti aveva frequentato un corso per conoscere i meccanismi finanziari. «Organizzavo incontri di formazione nelle parrocchie insegnando alla gente matematica e business» e a rotazione assegnava prestiti agli africani per aiutarli ad avviare piccole attività commerciali.In seguito le suore comboniane hanno deciso di realizzare un progetto a favore delle ragazze orfane (di età compresa tra i 14 e i 18 anni) a Lusaka, nella periferia Lilanda dove le religiose erano già presenti. Anche suor Rita è stata coinvolta per gestire il centro diurno che avrebbe ospitato circa una cinquantina di ragazze. «Le giovani arrivavano al mattino e tornavano a casa la sera – spiega la missionaria – perché non volevamo toglierle dalla loro realtà». Al mattino ricevevano un’educazione di base, ma frequentavano anche corsi di formazione legati al business (dalla maglieria alla pittura su stoffa) o imparavano a usare il computer. La scelta dipendeva anche dalle loro capacità, ma era comunque un modo «per aiutarle ad “aprire la mente”». Il pranzo era offerto dal centro, poi nel pomeriggio si passava alla formazione pratica e al microcredito, per dare alle ragazze una prospettiva di vita e di sostentamento. «Con qualcuna ha funzionato – dice suor Rita – mentre altre si sono perse per strada». Purtroppo il numero di queste giovani, «considerate le schiave di tutti», era elevatissimo, ma non tutte frequentavano il centro. Per chi ci stava non era sempre facile mantenere l’impegno preso perché a volte «dovevano restare a casa ad aiutare oppure venivano fatte sposare…». Le religiose hanno sempre garantito alle ragazze «un’assistenza e un sostegno, visitando anche le famiglie, grazie agli insegnanti locali».Rientrata dallo Zambia due anni fa, suor Rita è poi ripartita per l’Inghilterra dove ha frequentato un corso di aggiornamento per formatori e leadership, studiando anche psicologia e spiritualità per l’accompagnamento delle persone. L’11 novembre partirà quindi per il Sudan dove sono presenti diverse comunità di comboniane, anche se all’inizio farà tappa a Nairobi (Kenya) dove c’è la casa provinciale. Non conosce ancora la realtà, né i progetti avviati dalle sue consorelle, il suo impegno missionario sarà dunque deciso “sul campo”.Intanto non dimentica gli amici conosciuti nelle sue precedenti esperienze: «Ho mantenuto anche qualche contatto, seppure molto sporadico, con persone di Dubai, Zambia e Inghilterra attraverso Internet e Skipe». I potenti mezzi di comunicazioni infatti oggi permettono di accorciare le distanze e di mantenere relazioni da ogni parte del mondo.