Presentato oggi il nono Rapporto sulle povertà realizzato dalla Caritas Ambrosiana con dati raccolti dai Centri di ascolto relativi al 2009. Il volontariato fa molto, ma occorre più responsabilità da parte della politica e delle istituzioni�
di Luisa BOVE
Redazione
Di fronte alla crisi economica e ai conseguenti problemi occupazionali la Caritas Ambrosiana non è rimasta a guardare. È cresciuto l’impegno e la capacità di risposta dei centri di ascolto sparsi sul territorio diocesano, con l’attivazione anche di 104 distretti gestiti dalle Caritas locali e dalle Acli per il Fondo famiglia-lavoro (finora sono stati distribuito 8,8 milioni di euro). Dal lavoro svolto dai centri di ascolto nasce il nono Rapporto sulle povertà intitolato “Dalla crisi nuove sfide per il territorio” presentato oggi a Milano. L’analisi si è svolta su un campione di 56 centri e dai servizi Sai (Servizio accoglienza immigrati), Sam (Servizio accoglienza milanese) e Siloe (Servizi integrati lavoro, orientamento, educazione).
Il primo dato che emerge è il numero di utenti: nel 2009 è aumentato del 9% raggiungendo quota 17.283, come ha spiegato Elisabetta Larovere, con un incremento degli italiani pari al 15,7% e una riduzione invece degli stranieri, scesi del 3,7%. Il calo del numero di irregolari, spiega Larovere, «è la conseguenza del “pacchetto sicurezza” che ha introdotto norme più severe». I clandestini hanno oggi più paura e rinunciano a rivolgersi ai servizi e ai centri di ascolto.
Rispetto al numero di utenti le donne sono ancora la maggioranza (64,8%), si tratta soprattutto di straniere, coniugate, di età media, prevalentemente colf o badanti. Le nazionalità più rappresentate sono: Perù (14,6%); Marocco (11,8%), Ecuador (10,1%), Romania (8,6%) e Ucraina (8,3%).
A causa della crisi occupazionale nel 2009 sono però aumentati gli italiani che hanno chiesto aiuto (+15,7%), con un incremento di uomini pari al 23%. I bisogni registrati sono stati 28.047 e le richieste pari a 48.550 che hanno visto crescere soprattutto le domande di occupazione (5,5%), reddito (4,7%), sussidi economici (4%).
In tempo di crisi la Caritas ha avviato una bella campagna di sensibilizzazione, ma il «mostro da sconfiggere», ha detto il direttore don Roberto Davanzo, «non ha solo una dimensione economica, ma culturale». Occorre lottare contro «l’individualismo e il narcisismo, che fanno illudere di poter fare da soli, sconfiggendo povertà ed esclusione senza cercare collaborazione e reti». Ma se il mondo del volontariato oggi fa già molto, è pur vero che anche da parte della società civile e della politica occorre più responsabilità. Per Davanzo la politica dovrebbe per esempio creare «un nuovo sistema di Welfare che sappia includere quei troppi soggetti che oggi sono senza rete».
«Di problemi sociali oggi se ne occupano solo la Caritas e la questura», ha esordito il sociologo Aldo Bonomi, direttore del Consorzio Aaster che ha riletto i dati emersi dal Rapporto. I «vulnerabili», di cui si parla nell’indagine, «sono paragonati ai miserabili» e come tali si vogliono «nascondere come la polvere sotto il tappeto», invece «vanno ripresi in un meccanismo di solidarietà». Quello che sta facendo la Caritas «non è una beneficenza compassionevole».
«La diocesi di Milano opera attraverso il Fondo nelle province più produttive: Milano (capitale finanziaria), Varese, Lecco, Monza, Sesto S. Giovanni, Melegnano, Rho», dice Bonomi. «Oggi i “vulnerabili” sono soprattutto coloro che perdono l’occupazione: molti di loro si sono rivolti al Fondo – perché non avevano altro luogo – che ha fatto da ammortizzatore sociale».
I “vulnerabili” che hanno chiesto aiuto al Fondo erano soprattutto persone dai 30 ai 49 anni, quindi nel pieno dell’età produttiva; tra loro c’erano impiegati, operai, commercianti, lavoratori autonomi e addirittura il 5% di impiegati o dirigenti. Gli stranieri erano per il 22% occupati, il 66% operai e il 23% inseriti nel terziario. Inoltre il 15% era rappresentato dagli “invisibili” dei nuovi lavori, come addetti alle pulizia e fattorini. Le persone che hanno chiesto aiuto al Fondo possono essere distinte in licenziati (735), fine contratto a termine (693), cassa integrati (323), riduzione orario di lavoro (153), fallimento attività in proprio (71), mobilità (52), preavviso licenziamento a breve (21), altro (265).
Le richieste maggiori sono venute da Cantù, Seregno, Desio, Vimercate e Monza. Il sospetto di Bonomi è che «a Milano ci sia stata meno mobilitazione da parte delle parrocchie o dalla rete», di conseguenza le domande sono state inferiori. D’altra parte è pur vero che la solidarietà scatta più facilmente nei paesi, che non nelle grandi città o metropoli.
L’attuale crisi è simile a quella del ’29, ma tirando un sospiro di sollievo, Alberto Berrini, consulente economico Fiba Cisl Nazionale, intervendo alla presentazione del Rapporto ha detto che «non c’è stata la grande recessione di allora». Oggi c’è però una «ripresa deprimente». Il Fondo famiglia-lavoro , che rappresenta «la società che si organizza» per dare risposte concrete, non è altro che «una forma di Welfare sociale». Per Berrini oggi tocca alla politica «ripensare i meccanismi fiscali» e «fare progetti a lungo termine».
«Per noi», conclude Luciano Gualzetti, vicedirettore della Caritas Ambrosiana, «la crisi è una sfida da non lasciar cadere». E se da una parte «dobbiamo interrogarci», dice rivolgendosi a tutti i volontari, dall’altra «dobbiamo interrogare la politica». La Caritas con i suoi centri di ascolto continuerà a «presidiare il territorio», assicura Gualzetti, ma non si può delegare tutto ai volontariato e agli operatori sociali, «occorre richiamare le istituzioni alla loro responsabilità». Di fronte alla crisi economica e ai conseguenti problemi occupazionali la Caritas Ambrosiana non è rimasta a guardare. È cresciuto l’impegno e la capacità di risposta dei centri di ascolto sparsi sul territorio diocesano, con l’attivazione anche di 104 distretti gestiti dalle Caritas locali e dalle Acli per il Fondo famiglia-lavoro (finora sono stati distribuito 8,8 milioni di euro). Dal lavoro svolto dai centri di ascolto nasce il nono Rapporto sulle povertà intitolato “Dalla crisi nuove sfide per il territorio” presentato oggi a Milano. L’analisi si è svolta su un campione di 56 centri e dai servizi Sai (Servizio accoglienza immigrati), Sam (Servizio accoglienza milanese) e Siloe (Servizi integrati lavoro, orientamento, educazione).Il primo dato che emerge è il numero di utenti: nel 2009 è aumentato del 9% raggiungendo quota 17.283, come ha spiegato Elisabetta Larovere, con un incremento degli italiani pari al 15,7% e una riduzione invece degli stranieri, scesi del 3,7%. Il calo del numero di irregolari, spiega Larovere, «è la conseguenza del “pacchetto sicurezza” che ha introdotto norme più severe». I clandestini hanno oggi più paura e rinunciano a rivolgersi ai servizi e ai centri di ascolto.Rispetto al numero di utenti le donne sono ancora la maggioranza (64,8%), si tratta soprattutto di straniere, coniugate, di età media, prevalentemente colf o badanti. Le nazionalità più rappresentate sono: Perù (14,6%); Marocco (11,8%), Ecuador (10,1%), Romania (8,6%) e Ucraina (8,3%).A causa della crisi occupazionale nel 2009 sono però aumentati gli italiani che hanno chiesto aiuto (+15,7%), con un incremento di uomini pari al 23%. I bisogni registrati sono stati 28.047 e le richieste pari a 48.550 che hanno visto crescere soprattutto le domande di occupazione (5,5%), reddito (4,7%), sussidi economici (4%).In tempo di crisi la Caritas ha avviato una bella campagna di sensibilizzazione, ma il «mostro da sconfiggere», ha detto il direttore don Roberto Davanzo, «non ha solo una dimensione economica, ma culturale». Occorre lottare contro «l’individualismo e il narcisismo, che fanno illudere di poter fare da soli, sconfiggendo povertà ed esclusione senza cercare collaborazione e reti». Ma se il mondo del volontariato oggi fa già molto, è pur vero che anche da parte della società civile e della politica occorre più responsabilità. Per Davanzo la politica dovrebbe per esempio creare «un nuovo sistema di Welfare che sappia includere quei troppi soggetti che oggi sono senza rete».«Di problemi sociali oggi se ne occupano solo la Caritas e la questura», ha esordito il sociologo Aldo Bonomi, direttore del Consorzio Aaster che ha riletto i dati emersi dal Rapporto. I «vulnerabili», di cui si parla nell’indagine, «sono paragonati ai miserabili» e come tali si vogliono «nascondere come la polvere sotto il tappeto», invece «vanno ripresi in un meccanismo di solidarietà». Quello che sta facendo la Caritas «non è una beneficenza compassionevole».«La diocesi di Milano opera attraverso il Fondo nelle province più produttive: Milano (capitale finanziaria), Varese, Lecco, Monza, Sesto S. Giovanni, Melegnano, Rho», dice Bonomi. «Oggi i “vulnerabili” sono soprattutto coloro che perdono l’occupazione: molti di loro si sono rivolti al Fondo – perché non avevano altro luogo – che ha fatto da ammortizzatore sociale».I “vulnerabili” che hanno chiesto aiuto al Fondo erano soprattutto persone dai 30 ai 49 anni, quindi nel pieno dell’età produttiva; tra loro c’erano impiegati, operai, commercianti, lavoratori autonomi e addirittura il 5% di impiegati o dirigenti. Gli stranieri erano per il 22% occupati, il 66% operai e il 23% inseriti nel terziario. Inoltre il 15% era rappresentato dagli “invisibili” dei nuovi lavori, come addetti alle pulizia e fattorini. Le persone che hanno chiesto aiuto al Fondo possono essere distinte in licenziati (735), fine contratto a termine (693), cassa integrati (323), riduzione orario di lavoro (153), fallimento attività in proprio (71), mobilità (52), preavviso licenziamento a breve (21), altro (265).Le richieste maggiori sono venute da Cantù, Seregno, Desio, Vimercate e Monza. Il sospetto di Bonomi è che «a Milano ci sia stata meno mobilitazione da parte delle parrocchie o dalla rete», di conseguenza le domande sono state inferiori. D’altra parte è pur vero che la solidarietà scatta più facilmente nei paesi, che non nelle grandi città o metropoli.L’attuale crisi è simile a quella del ’29, ma tirando un sospiro di sollievo, Alberto Berrini, consulente economico Fiba Cisl Nazionale, intervendo alla presentazione del Rapporto ha detto che «non c’è stata la grande recessione di allora». Oggi c’è però una «ripresa deprimente». Il Fondo famiglia-lavoro , che rappresenta «la società che si organizza» per dare risposte concrete, non è altro che «una forma di Welfare sociale». Per Berrini oggi tocca alla politica «ripensare i meccanismi fiscali» e «fare progetti a lungo termine».«Per noi», conclude Luciano Gualzetti, vicedirettore della Caritas Ambrosiana, «la crisi è una sfida da non lasciar cadere». E se da una parte «dobbiamo interrogarci», dice rivolgendosi a tutti i volontari, dall’altra «dobbiamo interrogare la politica». La Caritas con i suoi centri di ascolto continuerà a «presidiare il territorio», assicura Gualzetti, ma non si può delegare tutto ai volontariato e agli operatori sociali, «occorre richiamare le istituzioni alla loro responsabilità».