Nessuno scompare o si dissolve

di Cristiana DOBNER
Redazione

I giorni che aprono il mese di novembre hanno un sapore liturgico speciale: portano una festa di tutti, proprio tutti i Santi, e una celebrazione più mesta di tutti i defunti. Gioia e dolore si intersecano nella vita quotidiana, gioia di essere giunti a casa per chi ormai vive in Dio, dolore per chi cammina ancora nella storia per la lacerazione che ogni separazione comporta.
Non so quali pensieri si alternino in chi passi da un momento liturgico all’altro, di certo diversi nelle sfumature e nei colori: i santi che più conosciamo e magari festeggiamo nell’arco nell’anno, vengono a ritrovarsi, gomito a gomito, con i santi ignoti e sconosciuti. Ma chi sono? Santi sono tutte quelle persone che, incontrato il Volto di Dio, a Lui hanno dato risposta in vita e in morte, riconoscendoLo come il Signore, come il Padre creatore. Molti avranno varcato la soglia del tempo portando in sé una luce trasparente e pura, altri avranno ancora alcune macchie e zone da illuminare, da rendere pure. Come questo avvenga, lo crediamo più che saperlo. Sappiamo però che un atto di amore diretto ed esplicito, privo di egoismo, ci pone in contatto con l’unico Amore che può perdonare tutte quelle colpe che, in un modo o nell’altro, hanno imbrattato il nostro percorso.
Tutti insieme i Santi formano quella corona gioiosa e lieta che tanti dipinti antichi ci indicano, non è girotondo infantile e, forse puerile, è l’indicazione di un cerchio, una figura perfetta, in cui non si trova l’inizio e in cui non si scorge la fine, segno che ormai siamo fuori dal tempo, fuori dal giorno e della notte che si susseguono e marcano la nostra età cronologica: la nascita al mondo e la morte al mondo. Un cerchio in cui l’inizio si fonde con la fine perché non si tratta di un paradosso dell’arte per stupire. È il nodo centrale dell’esistenza umana vissuta nella luce del Vangelo: nessuno scompare e si dissolve ma, misteriosamente, si ritrova, mutato ma non cambiato, rimane se stesso trasfigurato. Inizio e fine in un fluire che genera il tempo nello stesso Dio.
Il cerchio diventa la corona in cui uno si lega all’altro, in un vincolo che non subisce più contrasti, opposizioni di idee, vedute diverse. Ciascuno ormai, contento e trasparente, vede l’altro contento e trasparente a sua volta, con tutti i suoi doni portati a fioritura.
Considerati gli avvenimenti di ogni giorno che bucano lo schermo televisivo o i nostri giornali, sembra con questa ottica di vita – che però è la testimonianza di tutti quelli che seguono il Signore Gesù – di voler proiettare i problemi altrove, di distoglierli dallo sguardo, quasi di esorcizzarli e di volerli risolvere facendo quadrare il cerchio, ma non è così. Si tratta di ben altro, perché è in gioco l’unica esistenza che ciascuno di noi sperimenta, una volta sola, come una sola è la nascita e una sola la giovinezza. Altro che si può definire guardare lo scorrere del tempo e della storia come dono incommensurabile ed eterno ed ogni persona come pellegrina, che muove i suoi passi su di un sentiero di cui non si conosce lo snodarsi concreto ma di cui ben chiara è la meta.
Ed è proprio lo sguardo della fede di chi ha afferrato la mano di Dio che la sfiora, la ha riconosciuta e la stringe, lasciandosi guidare. Sibili il vento o imperversi la bufera, quella mano rimane sempre tesa, sempre disposta a lasciarsi afferrare. Si può allora varcare la soglia del cimitero, ovvero del Campo santo, con una consapevolezza indistruttibile: se a tomba sussegue tomba, a lapide lapide e tutto parla di morte, di assenza e di separazione, se la mancanza della vita si fa acuta e le persone care non sono vicine, si apre però la certezza di quella catena che si va formando nel grande giardino, il Paradiso, che ci attende.
Si svuota il nostro vivere e sembra di essere soli, i sopravvissuti, con il destino segnato e con l’ora che si avvicina, invece siamo circondati da quella corona festosa che si intreccia nelle nostre vicende e non ci abbandona mai. Si apre lo squarcio della comunione dei santi, di quella impercettibile dimensione che si rende presente dentro di noi come sostegno, incitamento, dolcezza e che agisce per noi spianando le nostre difficoltà e sorreggendoci quando stiamo per soccombere.
Credo che ciascuno possa riportare alla memoria momenti o frangenti in cui i santi ci sono venuti in soccorso oppure in cui coloro che non vivono più con noi ma sono i viventi, una volta chiamati in soccorso, ci hanno strabiliato. Quantomeno nelle energie rinnovate per poter sorridere e consolare, dimenticandoci di noi stessi per servire gli altri. Da quella lieta corona promana un’energia che trapassa le ore e i minuti ed insegna i canti di lode, di supplica, di intercessione.
Noi siamo ancora pietre da scolpire per poter diventare le pietre della Gerusalemme che gode della Luce dell’Agnello e riversa i suoi raggi proprio in quel luogo che, ad uno sguardo disattento, parla solo di estinzione mentre è grande apertura: tramontare alla vita per albeggiare nel giorno eterno. I giorni che aprono il mese di novembre hanno un sapore liturgico speciale: portano una festa di tutti, proprio tutti i Santi, e una celebrazione più mesta di tutti i defunti. Gioia e dolore si intersecano nella vita quotidiana, gioia di essere giunti a casa per chi ormai vive in Dio, dolore per chi cammina ancora nella storia per la lacerazione che ogni separazione comporta.Non so quali pensieri si alternino in chi passi da un momento liturgico all’altro, di certo diversi nelle sfumature e nei colori: i santi che più conosciamo e magari festeggiamo nell’arco nell’anno, vengono a ritrovarsi, gomito a gomito, con i santi ignoti e sconosciuti. Ma chi sono? Santi sono tutte quelle persone che, incontrato il Volto di Dio, a Lui hanno dato risposta in vita e in morte, riconoscendoLo come il Signore, come il Padre creatore. Molti avranno varcato la soglia del tempo portando in sé una luce trasparente e pura, altri avranno ancora alcune macchie e zone da illuminare, da rendere pure. Come questo avvenga, lo crediamo più che saperlo. Sappiamo però che un atto di amore diretto ed esplicito, privo di egoismo, ci pone in contatto con l’unico Amore che può perdonare tutte quelle colpe che, in un modo o nell’altro, hanno imbrattato il nostro percorso.Tutti insieme i Santi formano quella corona gioiosa e lieta che tanti dipinti antichi ci indicano, non è girotondo infantile e, forse puerile, è l’indicazione di un cerchio, una figura perfetta, in cui non si trova l’inizio e in cui non si scorge la fine, segno che ormai siamo fuori dal tempo, fuori dal giorno e della notte che si susseguono e marcano la nostra età cronologica: la nascita al mondo e la morte al mondo. Un cerchio in cui l’inizio si fonde con la fine perché non si tratta di un paradosso dell’arte per stupire. È il nodo centrale dell’esistenza umana vissuta nella luce del Vangelo: nessuno scompare e si dissolve ma, misteriosamente, si ritrova, mutato ma non cambiato, rimane se stesso trasfigurato. Inizio e fine in un fluire che genera il tempo nello stesso Dio.Il cerchio diventa la corona in cui uno si lega all’altro, in un vincolo che non subisce più contrasti, opposizioni di idee, vedute diverse. Ciascuno ormai, contento e trasparente, vede l’altro contento e trasparente a sua volta, con tutti i suoi doni portati a fioritura.Considerati gli avvenimenti di ogni giorno che bucano lo schermo televisivo o i nostri giornali, sembra con questa ottica di vita – che però è la testimonianza di tutti quelli che seguono il Signore Gesù – di voler proiettare i problemi altrove, di distoglierli dallo sguardo, quasi di esorcizzarli e di volerli risolvere facendo quadrare il cerchio, ma non è così. Si tratta di ben altro, perché è in gioco l’unica esistenza che ciascuno di noi sperimenta, una volta sola, come una sola è la nascita e una sola la giovinezza. Altro che si può definire guardare lo scorrere del tempo e della storia come dono incommensurabile ed eterno ed ogni persona come pellegrina, che muove i suoi passi su di un sentiero di cui non si conosce lo snodarsi concreto ma di cui ben chiara è la meta.Ed è proprio lo sguardo della fede di chi ha afferrato la mano di Dio che la sfiora, la ha riconosciuta e la stringe, lasciandosi guidare. Sibili il vento o imperversi la bufera, quella mano rimane sempre tesa, sempre disposta a lasciarsi afferrare. Si può allora varcare la soglia del cimitero, ovvero del Campo santo, con una consapevolezza indistruttibile: se a tomba sussegue tomba, a lapide lapide e tutto parla di morte, di assenza e di separazione, se la mancanza della vita si fa acuta e le persone care non sono vicine, si apre però la certezza di quella catena che si va formando nel grande giardino, il Paradiso, che ci attende.Si svuota il nostro vivere e sembra di essere soli, i sopravvissuti, con il destino segnato e con l’ora che si avvicina, invece siamo circondati da quella corona festosa che si intreccia nelle nostre vicende e non ci abbandona mai. Si apre lo squarcio della comunione dei santi, di quella impercettibile dimensione che si rende presente dentro di noi come sostegno, incitamento, dolcezza e che agisce per noi spianando le nostre difficoltà e sorreggendoci quando stiamo per soccombere.Credo che ciascuno possa riportare alla memoria momenti o frangenti in cui i santi ci sono venuti in soccorso oppure in cui coloro che non vivono più con noi ma sono i viventi, una volta chiamati in soccorso, ci hanno strabiliato. Quantomeno nelle energie rinnovate per poter sorridere e consolare, dimenticandoci di noi stessi per servire gli altri. Da quella lieta corona promana un’energia che trapassa le ore e i minuti ed insegna i canti di lode, di supplica, di intercessione.Noi siamo ancora pietre da scolpire per poter diventare le pietre della Gerusalemme che gode della Luce dell’Agnello e riversa i suoi raggi proprio in quel luogo che, ad uno sguardo disattento, parla solo di estinzione mentre è grande apertura: tramontare alla vita per albeggiare nel giorno eterno.

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