Stamane la celebrazione presieduta dal cardinale Tettamanzi con monsignor Luis Bambarèn,�con italiani e sudamericani -
di Annamaria BRACCINI
Redazione
La Milano da cartolina autunnale, con la pioggia e una nebbiolina leggera, e quella che non ti aspetti in una domenica mattina di fine ottobre, piena di colori, di suoni e di abiti tradizionali dell’altra parte del mondo.
Piazza dl Duomo, davanti alla facciata della Cattedrale, è tutto questo insieme: grigia e umida, ma vivacissima, nelle due lunghe file di fedeli – una quantità sono i bambini – che si affollano per potere entrare in Duomo, da un’ora prima dell’inizio della Messa. E qualcuno già intona l’Himno al “Se�or de los Milagros”, perché è proprio per la celebrazione votiva di questa Confraternita che ci si ritrova. Hermandad di origine peruviana, seicentesca, fondata a Milano nel 1996 e riconosciuta, prima straniera, dalla diocesi di Milano nel 2008 per espresso volere del cardinale Tettamanzi.
E, dentro, il Duomo è splendido, mentre la gente continua ad arrivare – non riusciranno nemmeno tutti a entrare, tanti sono – e le navate sono ormai stipate: a tutti dà voce il responsabile del Sevizio della Pastorale dei Migranti, don Giancarlo Quadri, che dice, rivolgendosi al Cardinale Tettamanzi, che presiede il rito «Eminenza, tutto il Perù e molta America Latina “ambrosiana” è qui». Arrivata anche da altre città, per devozione all'”Imagen” – quella tradizionale del Se�or de los Milagros, che è ai piedi dell’altar Maggiore -, per fede sentita, per amore al crocifisso. E l’Arcivescovo lo ricorda, in riferimento anche a San Carlo, nella sua omelia, pronunciata interamente come tutta la liturgia in spagnolo, anzi, qualcuno lo nota soddisfatto, “con accento quasi peruviano”.
«Ti ricordi della Croce di Cristo nella tua vita», scandisce l’Arcivescovo, guardando idealmente ciascuno negli occhi, «quando c’è il rischio di dare più spazio alle cose materiali che nona quelle spirituali?». E affiora, nelle parole del Cardinale, la preoccupazione per una perdita non solo di valori religiosi e morali, ma di quelli della convivenza civile. Il silenzio, rotto solo da qualche pianto e voce dei più piccoli, si fa quasi irreale, tanta è l’attenzione dei 10.000 fedeli, palpabile quando Tettamanzi affronta anche le questioni più dolorose e aperte, specie per chi è genitore e vede crescere i propri figli in contesti non facili ed estranei alla propria storia, in una cultura che propone «stili di vita sbagliati», magari violenti, effetto dell’uso di alcool e di droghe.
Da qui l’appello a «una cittadinanza piena e consapevole», cosciente che «le migrazioni stanno cambiando inesorabilmente la società che condividiamo». Insieme, nelle grandi trasformazioni e nelle piccole cose quotidiane che creano preoccupazioni e sofferenza: nelle difficoltà familiari e nella crisi che attraversiamo e che – lo sottolinea l’Arcivescovo – colpisce tutti, ma gli immigrati in misura maggiore. Ma è proprio dalla famiglia, prima cellula della società, che occorre allora “ripartire”.
E qui, oltre il richiamo al Fondo Famiglia- Lavoro «dei 4000 nuclei familiari aiutati, la metà sono stranieri», spiega il Cardinale, il pensiero va ai doveri delle istituzioni: «non bastano progetti e dichiarazioni, ma servono interventi concreti e immediati», perché «non si frappongano troppi ostacoli burocratici», a ciò che è il nodo più doloroso e la ferita più grave per migliaia di persone, il ricongiungimento familiare.
Insomma, ognuno faccia la propria parte per una società capace di crescere in modo armonico, in pace, e magari, con un sorriso come quello che pare attraversare la Cattedrale, quando vengono portati i doni all’altare: frutti, pane, patate (emblema tipico del Perù) e i bimbi curiosi in abitini folcloristici corrono vicino all’Arcivescovo.
Al termine della Messa, dopo il ringraziamento di Luis Gomes, Majordomo della Hermandad – il responsabile della Confraternita – e le parole di mons. Luis Barbaren, vescovo emerito di Chimbote, ancora la festa sacra, con i canti tradizionali della fede peruviana, gli applausi ripetuti all’Arcivescovo, fragorosi quando don Quadri ricorda che l’ “obispo Dionigi” è stato proposto per il Nobel, appunto per la sua posizione sul dialogo e l’accoglienza.
E, alla fine, l’immagine del “Se�or” che, da quest’anno porta anche due cuscini di fiori con i colori della bandiera italiana, e che lentamente percorre la navata maggiore tra un mare di vesti viola e bianche indossate dagli aderenti alla Confraternita. Fino sul sagrato, dove non smette di diluviare, ma dove l’inno peruviano e, appena dopo, quello di Mameli, cantati con la stessa partecipazione, sono più forti del rumore della pioggia. La Milano da cartolina autunnale, con la pioggia e una nebbiolina leggera, e quella che non ti aspetti in una domenica mattina di fine ottobre, piena di colori, di suoni e di abiti tradizionali dell’altra parte del mondo. Piazza dl Duomo, davanti alla facciata della Cattedrale, è tutto questo insieme: grigia e umida, ma vivacissima, nelle due lunghe file di fedeli – una quantità sono i bambini – che si affollano per potere entrare in Duomo, da un’ora prima dell’inizio della Messa. E qualcuno già intona l’Himno al “Se�or de los Milagros”, perché è proprio per la celebrazione votiva di questa Confraternita che ci si ritrova. Hermandad di origine peruviana, seicentesca, fondata a Milano nel 1996 e riconosciuta, prima straniera, dalla diocesi di Milano nel 2008 per espresso volere del cardinale Tettamanzi. E, dentro, il Duomo è splendido, mentre la gente continua ad arrivare – non riusciranno nemmeno tutti a entrare, tanti sono – e le navate sono ormai stipate: a tutti dà voce il responsabile del Sevizio della Pastorale dei Migranti, don Giancarlo Quadri, che dice, rivolgendosi al Cardinale Tettamanzi, che presiede il rito «Eminenza, tutto il Perù e molta America Latina “ambrosiana” è qui». Arrivata anche da altre città, per devozione all'”Imagen” – quella tradizionale del Se�or de los Milagros, che è ai piedi dell’altar Maggiore -, per fede sentita, per amore al crocifisso. E l’Arcivescovo lo ricorda, in riferimento anche a San Carlo, nella sua omelia, pronunciata interamente come tutta la liturgia in spagnolo, anzi, qualcuno lo nota soddisfatto, “con accento quasi peruviano”. «Ti ricordi della Croce di Cristo nella tua vita», scandisce l’Arcivescovo, guardando idealmente ciascuno negli occhi, «quando c’è il rischio di dare più spazio alle cose materiali che nona quelle spirituali?». E affiora, nelle parole del Cardinale, la preoccupazione per una perdita non solo di valori religiosi e morali, ma di quelli della convivenza civile. Il silenzio, rotto solo da qualche pianto e voce dei più piccoli, si fa quasi irreale, tanta è l’attenzione dei 10.000 fedeli, palpabile quando Tettamanzi affronta anche le questioni più dolorose e aperte, specie per chi è genitore e vede crescere i propri figli in contesti non facili ed estranei alla propria storia, in una cultura che propone «stili di vita sbagliati», magari violenti, effetto dell’uso di alcool e di droghe. Da qui l’appello a «una cittadinanza piena e consapevole», cosciente che «le migrazioni stanno cambiando inesorabilmente la società che condividiamo». Insieme, nelle grandi trasformazioni e nelle piccole cose quotidiane che creano preoccupazioni e sofferenza: nelle difficoltà familiari e nella crisi che attraversiamo e che – lo sottolinea l’Arcivescovo – colpisce tutti, ma gli immigrati in misura maggiore. Ma è proprio dalla famiglia, prima cellula della società, che occorre allora “ripartire”. E qui, oltre il richiamo al Fondo Famiglia- Lavoro «dei 4000 nuclei familiari aiutati, la metà sono stranieri», spiega il Cardinale, il pensiero va ai doveri delle istituzioni: «non bastano progetti e dichiarazioni, ma servono interventi concreti e immediati», perché «non si frappongano troppi ostacoli burocratici», a ciò che è il nodo più doloroso e la ferita più grave per migliaia di persone, il ricongiungimento familiare. Insomma, ognuno faccia la propria parte per una società capace di crescere in modo armonico, in pace, e magari, con un sorriso come quello che pare attraversare la Cattedrale, quando vengono portati i doni all’altare: frutti, pane, patate (emblema tipico del Perù) e i bimbi curiosi in abitini folcloristici corrono vicino all’Arcivescovo. Al termine della Messa, dopo il ringraziamento di Luis Gomes, Majordomo della Hermandad – il responsabile della Confraternita – e le parole di mons. Luis Barbaren, vescovo emerito di Chimbote, ancora la festa sacra, con i canti tradizionali della fede peruviana, gli applausi ripetuti all’Arcivescovo, fragorosi quando don Quadri ricorda che l’ “obispo Dionigi” è stato proposto per il Nobel, appunto per la sua posizione sul dialogo e l’accoglienza. E, alla fine, l’immagine del “Se�or” che, da quest’anno porta anche due cuscini di fiori con i colori della bandiera italiana, e che lentamente percorre la navata maggiore tra un mare di vesti viola e bianche indossate dagli aderenti alla Confraternita. Fino sul sagrato, dove non smette di diluviare, ma dove l’inno peruviano e, appena dopo, quello di Mameli, cantati con la stessa partecipazione, sono più forti del rumore della pioggia.