di Cristina DOBNER carmelitana scalza
Redazione

Chi è questa Donna di cui tutti conosciamo il nome e ci viene incontro quando pochi giorni ci separano dalla festa di Natale, o meglio, dal giorno in cui la Donna, Mirjam di Nazaret, darà alla luce il Figlio Gesù Cristo?
La grande tradizione rabbinica insegna e tramanda lo sguardo dell’Altissimo sul popolo e sulla storia ed in tempi tanto travagliati come i nostri, diventa un balsamo: “Se il mio servo mi si avvicina di una spanna, io mi avvicinerò a lui di un cubito; se lui si avvicina di un cubito, io mi avvicinerò a lui di un braccio; se lui viene verso di me camminando, io andrò da lui correndo”.
Egli, l’Immanuel, il “Dio con noi”, correndo incontro a noi, così smarriti e tenebrosi, così avvinghiati alla nostra economia in sfacelo, alla politica che svela le sue crepe profonde, alla fame che decima le popolazioni, alle guerre senza fine che impediscono alle generazioni di conoscere la pace, alle religioni monoteiste che non si accettano e non si comprendono, ci dona una Donna, ponte fra il Primo e il Secondo Testamento, il cui nome contiene in sé l’intero mistero della salvezza.
Donna che intreccia in sé finito e infinito, visibile e invisibile, gioia e dolore, che suscita interrogativi ma dona risposte, non rimanendo sterilmente contraddittoria nelle vicende dell’umanità.
“Come potrei avere un bambino se mai un uomo mi ha toccata?”, si chiede il muslim e si risponde: “È così che Allah crea ciò che vuole: quando decide una cosa dice solo ‘Sii’ ed essa è”. Ed allora il suo nome è il Messia, Gesù figlio di Marjam, eminente in questo mondo e nell’Altro, uno dei più vicini.
Collocata sulla soglia, sul limitare fra il tempo dell’attesa di cui è gravido Israele, Mirjam è Madre e Mediatrice per i cristiani, presenza divina fra noi che di padre in figlio, di madre in figlia, tracciamo solchi nella storia dei popoli e nei cuori di tutti. Nel divenire che è sempre mosso e ondoso, tumultuoso nella tenebra del mare quotidiano, gonfio di incertezze, Mirjam dona vita nel grembo della realtà, per salvare la perennità dell’esistenza, irraggia Luce perché è lo splendore della comunità trasfigurata, la trasparenza dello Spirito, modello e sorella.
Il Figlio fa rifiorire il deserto, non automaticamente, non magicamente con la bacchetta di Harry Potter, ma incidendo nelle nostre libertà quella linfa che può farci alzare lo sguardo a Lei.
Camminiamo sempre fra vita e morte: discendiamo dal migratore, da Abramo, ebrei, cristiani, muslim, con i nostri infiniti echi laceranti e brucianti ma anche creanti passione d’amore se soltanto noi lo desideriamo, echi infiniti della Torah, dei Vangeli, del Corano.
Il muslim alza il dito e vuole indicare il Dio Uno. Gesù però chiamò altri al regno di Dio di giustizia e di misericordia. Esistono anche altri Uno, per altre tradizioni di fede, chiamati dal loro popolo, ebrei, mussulmani, altri, per i quali il Signore nostro Dio, il Signore è Uno.
Mirjam è anello di congiunzione sicuro tra Gesù e il popolo ebreo, il Redentore della fede cristiana è stato generato da una donna ebrea di nome Mirjam, il cui cuore attinge alla polla sorgiva della Torah, in lei le quattro madri: Sara, Rebecca, Rachele e Leah fioriscono.
Divisi da secoli e secoli di storia, uniti però dallo stesso stile di fede, in mistero che dilania ed esalta, in cui speriamo la salvezza come dono di grazia, per rompere le nostre barriere confessionali, la Figlia di Sion, compimento di tutta la storia d’Isra’el, della sua attesa e del suo sforzo verso Dio, è per noi la prima cellula del Paradiso restaurato e della nuova creazione in Cristo, Mirijam diacono del dono vero, insieme ultimo e primo anello di questa nostra stirpe: il Corpo di Cristo.
I muslim, coloro che si sono spogliati di tutto, meno che della loro sete immateriale della giustizia e aderiscono al Corano con la loro speranza, gli invincibili, affermano: come un fuoco, che illumina la notte, e nello scoppiettare dei suoi ceppi sparge attorno una miriade di faville, subito svanite, così Dio è quel fuoco, noi siamo quelle faville; e la preghiera ci riporta in Lui. L’Immacolata, scelta per essere la Theotokos, la Madre di Dio, è il risultato più puro della discesa di Dio e della salita dell’uomo: “Ave Roveto incombusto, apparso a Mosé”, canta la tradizione ortodossa.
Tutti ci chiediamo: quando usciremo dallo Shabbat del tempo? Quando entreremo nello Shabbat senza tramonto?
Mirjam, erede di una lunga storia, protesa nell’attesa, ci indica come giungerci e dove diremo Amen, nell’unico cammino ricongiunto, in Lei Mirjam di Nazaret.
Le mani della Madre, dell’Immacolata, aperte in preghiera e in accoglienza toccano l’Infinito, in diretto contatto con l’Altissimo. Mani alzate in preghiera che squarciano l’umano sentire e non trattengono lo sguardo, lo rinviano sempre.
Tu sei nostra! Degli ebrei, dei cristiani, dei muslim. Tu sei nostra. E sulla scia di un proverbio arabo aggiungo: possano restarti queste parole come un ago, nell’angolo interno del tuo occhio destro. Chi è questa Donna di cui tutti conosciamo il nome e ci viene incontro quando pochi giorni ci separano dalla festa di Natale, o meglio, dal giorno in cui la Donna, Mirjam di Nazaret, darà alla luce il Figlio Gesù Cristo?La grande tradizione rabbinica insegna e tramanda lo sguardo dell’Altissimo sul popolo e sulla storia ed in tempi tanto travagliati come i nostri, diventa un balsamo: “Se il mio servo mi si avvicina di una spanna, io mi avvicinerò a lui di un cubito; se lui si avvicina di un cubito, io mi avvicinerò a lui di un braccio; se lui viene verso di me camminando, io andrò da lui correndo”.Egli, l’Immanuel, il “Dio con noi”, correndo incontro a noi, così smarriti e tenebrosi, così avvinghiati alla nostra economia in sfacelo, alla politica che svela le sue crepe profonde, alla fame che decima le popolazioni, alle guerre senza fine che impediscono alle generazioni di conoscere la pace, alle religioni monoteiste che non si accettano e non si comprendono, ci dona una Donna, ponte fra il Primo e il Secondo Testamento, il cui nome contiene in sé l’intero mistero della salvezza.Donna che intreccia in sé finito e infinito, visibile e invisibile, gioia e dolore, che suscita interrogativi ma dona risposte, non rimanendo sterilmente contraddittoria nelle vicende dell’umanità.“Come potrei avere un bambino se mai un uomo mi ha toccata?”, si chiede il muslim e si risponde: “È così che Allah crea ciò che vuole: quando decide una cosa dice solo ‘Sii’ ed essa è”. Ed allora il suo nome è il Messia, Gesù figlio di Marjam, eminente in questo mondo e nell’Altro, uno dei più vicini.Collocata sulla soglia, sul limitare fra il tempo dell’attesa di cui è gravido Israele, Mirjam è Madre e Mediatrice per i cristiani, presenza divina fra noi che di padre in figlio, di madre in figlia, tracciamo solchi nella storia dei popoli e nei cuori di tutti. Nel divenire che è sempre mosso e ondoso, tumultuoso nella tenebra del mare quotidiano, gonfio di incertezze, Mirjam dona vita nel grembo della realtà, per salvare la perennità dell’esistenza, irraggia Luce perché è lo splendore della comunità trasfigurata, la trasparenza dello Spirito, modello e sorella.Il Figlio fa rifiorire il deserto, non automaticamente, non magicamente con la bacchetta di Harry Potter, ma incidendo nelle nostre libertà quella linfa che può farci alzare lo sguardo a Lei.Camminiamo sempre fra vita e morte: discendiamo dal migratore, da Abramo, ebrei, cristiani, muslim, con i nostri infiniti echi laceranti e brucianti ma anche creanti passione d’amore se soltanto noi lo desideriamo, echi infiniti della Torah, dei Vangeli, del Corano.Il muslim alza il dito e vuole indicare il Dio Uno. Gesù però chiamò altri al regno di Dio di giustizia e di misericordia. Esistono anche altri Uno, per altre tradizioni di fede, chiamati dal loro popolo, ebrei, mussulmani, altri, per i quali il Signore nostro Dio, il Signore è Uno.Mirjam è anello di congiunzione sicuro tra Gesù e il popolo ebreo, il Redentore della fede cristiana è stato generato da una donna ebrea di nome Mirjam, il cui cuore attinge alla polla sorgiva della Torah, in lei le quattro madri: Sara, Rebecca, Rachele e Leah fioriscono.Divisi da secoli e secoli di storia, uniti però dallo stesso stile di fede, in mistero che dilania ed esalta, in cui speriamo la salvezza come dono di grazia, per rompere le nostre barriere confessionali, la Figlia di Sion, compimento di tutta la storia d’Isra’el, della sua attesa e del suo sforzo verso Dio, è per noi la prima cellula del Paradiso restaurato e della nuova creazione in Cristo, Mirijam diacono del dono vero, insieme ultimo e primo anello di questa nostra stirpe: il Corpo di Cristo.I muslim, coloro che si sono spogliati di tutto, meno che della loro sete immateriale della giustizia e aderiscono al Corano con la loro speranza, gli invincibili, affermano: come un fuoco, che illumina la notte, e nello scoppiettare dei suoi ceppi sparge attorno una miriade di faville, subito svanite, così Dio è quel fuoco, noi siamo quelle faville; e la preghiera ci riporta in Lui. L’Immacolata, scelta per essere la Theotokos, la Madre di Dio, è il risultato più puro della discesa di Dio e della salita dell’uomo: “Ave Roveto incombusto, apparso a Mosé”, canta la tradizione ortodossa.Tutti ci chiediamo: quando usciremo dallo Shabbat del tempo? Quando entreremo nello Shabbat senza tramonto?Mirjam, erede di una lunga storia, protesa nell’attesa, ci indica come giungerci e dove diremo Amen, nell’unico cammino ricongiunto, in Lei Mirjam di Nazaret.Le mani della Madre, dell’Immacolata, aperte in preghiera e in accoglienza toccano l’Infinito, in diretto contatto con l’Altissimo. Mani alzate in preghiera che squarciano l’umano sentire e non trattengono lo sguardo, lo rinviano sempre.Tu sei nostra! Degli ebrei, dei cristiani, dei muslim. Tu sei nostra. E sulla scia di un proverbio arabo aggiungo: possano restarti queste parole come un ago, nell’angolo interno del tuo occhio destro.

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