Il rapporto 2010 di Aiuto alla Chiesa che soffre

di Rita SALERNO
Redazione

La gravissima situazione dei cristiani in Iraq e le caute aperture al dialogo in Qatar: luci e ombre si alternano nel rapporto 2010 sulla libertà religiosa nel mondo curato da Aiuto alla Chiesa che soffre, un’opera di diritto pontificio che sostiene 5500 progetti in 140 Paesi. Il dossier, che esce con cadenza biennale ed è stato presentato oggi a Roma, comprende 194 schede relative ad altrettante Nazioni, pubblicate in ordine alfabetico e per aree geografiche. Per la seconda volta dal 1999, è tradotto in sei lingue e lanciato in questi giorni in tutta Europa.
Ben il 70% della popolazione mondiale vive in Paesi dove ci sono restrizioni o persecuzioni a causa della religione professata. Ad affermarlo è padre Giulio Albanese, missionario comboniano, direttore di Popoli e missione, che ha partecipato alla presentazione del rapporto. India e Cina, per le loro proporzioni, le nazioni in cui si registrano più casi: alcuni Stati dell’India sono tristemente noti per le aggressioni alle minoranze e per riconversioni forzate all’induismo; in Cina permangono casi di repressioni e arresti per tutte le religioni.
Alla presentazione del rapporto è stato affrontato in particolare il problema della legge contro la blasfemia in Pakistan, con la testimonianza del vescovo di Faisalabad, monsignor Joseph Coutts: una normativa che dall’86 a oggi ha causato l’incriminazione di 993 persone con l’accusa di avere profanato il Corano o diffamato il profeta Maometto (fra loro, 479 musulmani, 340 ahmadi – setta che il governo non riconosce come musulmana -, 120 cristiani, 14 indù e 10 di altre religioni). Non ci sono state condanne a morte, ma «la legge crea uno stato di tensione – stando a quanto asserisce il vescovo -, perché non sappiamo chi sarà accusato domani di blasfemia».
A proposito di Asia Bibi, la cristiana condannata a morte per blasfemia in Pakistan, scende in campo anche Aiuto alla Chiesa che soffre, rilanciando la petizione promossa per l’abolizione della legge, diffusa già un anno fa grazie a un’iniziativa della Commissione giustizia e pace dei vescovi pakistani, condivisa anche da diverse altre organizzazioni. Solo nel nostro Paese in poche settimane, grazie al segretario italiano di Aiuto alla Chiesa che soffre, sono state raccolte 1.400 adesioni, che vanno ad aggiungersi alle 10.600 francesi e alle oltre 75 mila pakistane.
A presentare, tra gli altri, il corposo volume è stato René Guitton, autore di Cristianofobia, impegnato da anni nella difesa delle minoranze oppresse, prime tra tutte quelle cristiane. Guitton si è soffermato in particolare sulla situazione dei cristiani in Iraq, che conosce bene. «Ricevo appelli regolari dai vescovi di Mosul, Kirkuk e da altre diocesi locali – ha spiegato – che mi raccontano di conversioni forzate, discriminazioni, attentati e massacri». Per Guitton tutto questo è «il risultato di un amalgama che vuole confondere e incrociare le ideologie, allo scopo di sradicare i cristiani dalla loro terra». Al tempo stesso, non si può non rilevare che nei Paesi arabi a maggioranza musulmana vi sono governanti perfettamente consci della necessità di portare avanti una politica d’apertura nei confronti delle altre religioni. Come avviene in Qatar, dove ogni anno a Doha si svolge un simposio interreligioso che riunisce rappresentanti di tutte le religioni monoteiste, a cui partecipano rabbini, imam e vescovi. E anche negli Emirati arabi, dove è presente da alcuni anni una consistente immigrazione di cristiani che fuggono da Filippine, Malesia e India, è stato avviato un progetto per la costruzione di cinque chiese. La gravissima situazione dei cristiani in Iraq e le caute aperture al dialogo in Qatar: luci e ombre si alternano nel rapporto 2010 sulla libertà religiosa nel mondo curato da Aiuto alla Chiesa che soffre, un’opera di diritto pontificio che sostiene 5500 progetti in 140 Paesi. Il dossier, che esce con cadenza biennale ed è stato presentato oggi a Roma, comprende 194 schede relative ad altrettante Nazioni, pubblicate in ordine alfabetico e per aree geografiche. Per la seconda volta dal 1999, è tradotto in sei lingue e lanciato in questi giorni in tutta Europa.Ben il 70% della popolazione mondiale vive in Paesi dove ci sono restrizioni o persecuzioni a causa della religione professata. Ad affermarlo è padre Giulio Albanese, missionario comboniano, direttore di Popoli e missione, che ha partecipato alla presentazione del rapporto. India e Cina, per le loro proporzioni, le nazioni in cui si registrano più casi: alcuni Stati dell’India sono tristemente noti per le aggressioni alle minoranze e per riconversioni forzate all’induismo; in Cina permangono casi di repressioni e arresti per tutte le religioni.Alla presentazione del rapporto è stato affrontato in particolare il problema della legge contro la blasfemia in Pakistan, con la testimonianza del vescovo di Faisalabad, monsignor Joseph Coutts: una normativa che dall’86 a oggi ha causato l’incriminazione di 993 persone con l’accusa di avere profanato il Corano o diffamato il profeta Maometto (fra loro, 479 musulmani, 340 ahmadi – setta che il governo non riconosce come musulmana -, 120 cristiani, 14 indù e 10 di altre religioni). Non ci sono state condanne a morte, ma «la legge crea uno stato di tensione – stando a quanto asserisce il vescovo -, perché non sappiamo chi sarà accusato domani di blasfemia».A proposito di Asia Bibi, la cristiana condannata a morte per blasfemia in Pakistan, scende in campo anche Aiuto alla Chiesa che soffre, rilanciando la petizione promossa per l’abolizione della legge, diffusa già un anno fa grazie a un’iniziativa della Commissione giustizia e pace dei vescovi pakistani, condivisa anche da diverse altre organizzazioni. Solo nel nostro Paese in poche settimane, grazie al segretario italiano di Aiuto alla Chiesa che soffre, sono state raccolte 1.400 adesioni, che vanno ad aggiungersi alle 10.600 francesi e alle oltre 75 mila pakistane.A presentare, tra gli altri, il corposo volume è stato René Guitton, autore di Cristianofobia, impegnato da anni nella difesa delle minoranze oppresse, prime tra tutte quelle cristiane. Guitton si è soffermato in particolare sulla situazione dei cristiani in Iraq, che conosce bene. «Ricevo appelli regolari dai vescovi di Mosul, Kirkuk e da altre diocesi locali – ha spiegato – che mi raccontano di conversioni forzate, discriminazioni, attentati e massacri». Per Guitton tutto questo è «il risultato di un amalgama che vuole confondere e incrociare le ideologie, allo scopo di sradicare i cristiani dalla loro terra». Al tempo stesso, non si può non rilevare che nei Paesi arabi a maggioranza musulmana vi sono governanti perfettamente consci della necessità di portare avanti una politica d’apertura nei confronti delle altre religioni. Come avviene in Qatar, dove ogni anno a Doha si svolge un simposio interreligioso che riunisce rappresentanti di tutte le religioni monoteiste, a cui partecipano rabbini, imam e vescovi. E anche negli Emirati arabi, dove è presente da alcuni anni una consistente immigrazione di cristiani che fuggono da Filippine, Malesia e India, è stato avviato un progetto per la costruzione di cinque chiese.

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