Si tratta di perseguitati per motivi politici, religiosi, etnici e profughi di guerra segnalati dal Sai della Diocesi e dall'Ufficio Stranieri del Comune. Ne parla don Augusto Bonora (nella foto)
di Cristina CONTI
Redazione
Una casa di accoglienza per aiutare i rifugiati politici. Questo l’obiettivo che si propone “La Grangia di Monluè”. Fondata nel 1986 dal cardinale Carlo Maria Martini, in un periodo in cui il problema degli stranieri non era ancora così vivo, è diventata a poco a poco il punto di riferimento per coloro che sono scappati dal proprio Paese per motivi politici o hanno un permesso umanitario. Viene costituita da un gruppo di persone che mettono in gioco le loro competenze e uniscono le forze per accogliere e integrare stranieri, perseguitati per motivi politici, religiosi, etnici, profughi di guerra. Oggi sono 23 gli stranieri ospitati, a rotazione, per quattro, cinque o sei mesi, a seconda dei casi. Qui ricevono un alloggio, tutoring lavorativo, insegnamento della lingua italiana, accompagnamento legislativo e culturale, aiuto nell’integrazione. L’attività è gestita da volontari e operatori, insieme all’aiuto imprescindibile delle suore di Maria Bambina, il cui apporto è basilare per il servizio della cucina, l’approvvigionamento dei viveri, la lavanderia, la pulizia dei locali comuni e la gestione del guardaroba. Un gruppo di operatori, organizzati in un’equipe socio-educativa, si occupa dell’accoglienza iniziale degli ospiti e dell’ascolto. «Ogni anno qui vengono accolti 40, 50 o 60 immigrati. Abbiamo richieste abbastanza consistenti. E per venire incontro a tutti la nostra attività si integra con quella della Caritas, di Farsi Prossimo e delle attività che lo Stato e il Comune stanno portando avanti verso questo persone», commenta don Augusto Bonora, responsabile dell’iniziativa. La promozione integrale dello straniero come uomo, nel rispetto dei suoi diritti e delle sue potenzialità, la diffusione di una cultura dell’accoglienza e della condivisione che si fa partecipazione attiva tra chi accoglie e chi è accolto. «Con questa attività vogliamo dare speranza ai rifugiati. La possibilità che molti ospiti della Grangia intravedono di poter realizzare una promessa che è dentro di loro. La promessa di quel sogno che li aveva spinti lontano dai loro Paesi di origine fino ai nostri lidi. Essere di nuovo riconosciuti come essere umani, portatori anch’essi di valori, di una storia, di una dignità. Vogliamo aiutarli, come operatori, a credere di nuovo che questo si può realizzare e per questo dobbiamo dar loro credito e fiducia», precisa don Augusto. Dal 1986 a oggi «La Grangia» ha accolto più di 1300 stranieri regolari, provenienti da circa 70 Paesi diversi. Gli ospiti sono segnalati dal Servizio accoglienza immigrati (Sai) della Diocesi di Milano e dall’Ufficio Stranieri del Comune di Milano. La casa viene sovvenzionata prevalentemente dalla Chiesa di Milano, attraverso l’8 per mille dell’Irpef e da progetti diversi. «Ogni ospite dovrebbe pagare un euro al giorno per stare qui. Ma accade di rado. Il più delle volte, infatti, queste persone arrivano qui in situazioni disperate e non possono pagare», conclude don Augusto. Una casa di accoglienza per aiutare i rifugiati politici. Questo l’obiettivo che si propone “La Grangia di Monluè”. Fondata nel 1986 dal cardinale Carlo Maria Martini, in un periodo in cui il problema degli stranieri non era ancora così vivo, è diventata a poco a poco il punto di riferimento per coloro che sono scappati dal proprio Paese per motivi politici o hanno un permesso umanitario. Viene costituita da un gruppo di persone che mettono in gioco le loro competenze e uniscono le forze per accogliere e integrare stranieri, perseguitati per motivi politici, religiosi, etnici, profughi di guerra. Oggi sono 23 gli stranieri ospitati, a rotazione, per quattro, cinque o sei mesi, a seconda dei casi. Qui ricevono un alloggio, tutoring lavorativo, insegnamento della lingua italiana, accompagnamento legislativo e culturale, aiuto nell’integrazione. L’attività è gestita da volontari e operatori, insieme all’aiuto imprescindibile delle suore di Maria Bambina, il cui apporto è basilare per il servizio della cucina, l’approvvigionamento dei viveri, la lavanderia, la pulizia dei locali comuni e la gestione del guardaroba. Un gruppo di operatori, organizzati in un’equipe socio-educativa, si occupa dell’accoglienza iniziale degli ospiti e dell’ascolto. «Ogni anno qui vengono accolti 40, 50 o 60 immigrati. Abbiamo richieste abbastanza consistenti. E per venire incontro a tutti la nostra attività si integra con quella della Caritas, di Farsi Prossimo e delle attività che lo Stato e il Comune stanno portando avanti verso questo persone», commenta don Augusto Bonora, responsabile dell’iniziativa. La promozione integrale dello straniero come uomo, nel rispetto dei suoi diritti e delle sue potenzialità, la diffusione di una cultura dell’accoglienza e della condivisione che si fa partecipazione attiva tra chi accoglie e chi è accolto. «Con questa attività vogliamo dare speranza ai rifugiati. La possibilità che molti ospiti della Grangia intravedono di poter realizzare una promessa che è dentro di loro. La promessa di quel sogno che li aveva spinti lontano dai loro Paesi di origine fino ai nostri lidi. Essere di nuovo riconosciuti come essere umani, portatori anch’essi di valori, di una storia, di una dignità. Vogliamo aiutarli, come operatori, a credere di nuovo che questo si può realizzare e per questo dobbiamo dar loro credito e fiducia», precisa don Augusto. Dal 1986 a oggi «La Grangia» ha accolto più di 1300 stranieri regolari, provenienti da circa 70 Paesi diversi. Gli ospiti sono segnalati dal Servizio accoglienza immigrati (Sai) della Diocesi di Milano e dall’Ufficio Stranieri del Comune di Milano. La casa viene sovvenzionata prevalentemente dalla Chiesa di Milano, attraverso l’8 per mille dell’Irpef e da progetti diversi. «Ogni ospite dovrebbe pagare un euro al giorno per stare qui. Ma accade di rado. Il più delle volte, infatti, queste persone arrivano qui in situazioni disperate e non possono pagare», conclude don Augusto.