Proseguiamo le riflessioni in vista dell'Incontro mondiale: la presentatrice tv Lorena Bianchetti interviene sul significato della festa e del lavoro

di Lorena BIANCHETTI
Redazione

Fin da bambina la domenica è stata per me sinonimo di festa, di respiro, di gioia. Ho studiato dalle suore francescane e sono state loro a trasmettermi la bellezza e il significato profondo di questo giorno. Sono passati tanti anni, ma ancora ricordo le camminate per raggiungere la chiesa del quartiere di Roma in cui abito da sempre. Andavo con mio cugino e la semplicità della cappella in cui vivevamo la Messa, riusciva a farmi staccare dal mondo e a farmi entrare in comunione con quel crocefisso che, quando ero piccola non riuscivo nemmeno a nominare bene. Lo chiamavo “Gisù” e, dato che la domenica i miei genitori lavoravano in pasticceria, ogni volta che arrivava qualche cliente da loro conosciuto, gli chiedevo di accompagnarmi a vedere quel signore sulla croce.
Guardarlo, stargli vicino, mi faceva stare bene, mi faceva sentire coccolata e amata. Ho 36 anni e la sensazione che provo quando entro in chiesa è ancora la stessa: amore, comunione, verità. Ecco perché la domenica ho bisogno di partecipare all’eucaristia. L’ho detto in tante interviste, anche in quelle che, con tono prevenuto e provocatorio, cercavano di additare come “sfigata” la persona che va in chiesa.
Andare a Messa la domenica non è timbrare un cartellino, un raccontare a se stessi di essere bravi o un modo per mettere a posto la coscienza. Per me, la Messa della domenica è una festa, è gioia e non andare significa perdere un’opportunità, un bonus di benzina capace di alimentare la mia persona. Ma la domenica per un cristiano, e per tutte le persone di buona volontà, è anche pausa, è mettersi seduti di fronte allo specchio della propria coscienza, è regalarsi il silenzio. E in una società in cui tutto scorre, in cui il tempo macina le persone nel buio dell’indifferenza, la pausa e il silenzio sono fecondi. Cambiare stanza, rispetto a quello che facciamo durante la settimana, è costruttivo e staccare con il lavoro è produttivo.
Viviamo nel caos del movimento, nell’ansia di dover andare, fare, parlare. Tutto ci porta ad allontanarci dalla nostra essenza, anche i centri commerciali aperti quando non dovrebbero. Ci hanno educato a correre, a distruggere con facilità legami stabili in nome di una libertà che, in realtà, è sinonimo di infelicità. Ci hanno scippato il pranzo della domenica, il ritrovarsi con i cugini o con gli amici più veri seduti semplicemente a parlare o a fare giochi da tavola. C’è la playstation o, se proprio ci si vuole riunire, c’è il pellegrinaggio nei luoghi dell’orrore. La morte, il buio della violenza più efferata dei giorni scorsi, hanno raggruppato persone in visita nei luoghi in cui si sono consumati delitti. Il macabro ha stuzzicato la sedentarietà delle domeniche di alcune famiglie italiane. L’abisso della superficialità a cui si sono affidate nella condivisione della spettacolarizzazione della morte, li allontana dall’essenza del giorno che stavano vivendo. La domenica è vita, è risurrezione, è luce, speranza. È l’unione della famiglia e non l’isolamento nelle palestre per diventare sufficientemente seduttivi in ufficio che ci fa stare bene.
La domenica può alimentare la nostra bellezza, perché, se ci si ferma, si può riprendere in mano il timone della nostra esistenza. È anche annoiandoci che possiamo recuperare la lucidità. È sdraiandoci su un divano che può darci la forza di abbandonare i fili della marionetta che il sistema vuole farci diventare. Lavoro in televisione da 19 anni ed è buffo che la mia professione mi abbia portato a lavorare spesso proprio la domenica. Sei anni di conduzione della trasmissione “A sua Immagine” su RaiUno e tre anni di “Domenica In”. Anni meravigliosi, di grande crescita umana e professionale nei quali ho cercato di trasmettere proprio il significato profondo di quel giorno.
La domenica è il giorno della rinascita della settimana. Mi sono sempre sentita molto onorata di poter essere strumento, seppur piccolo, di questo messaggio. Ecco perché non riesco a non sorridere in video e pensare che quel sorriso può fare compagnia, può far svagare chi vive momenti difficili, fa sentire utile, dà senso ai sacrifici e alle battaglie che comunque si fanno nel mondo della comunicazione. Sia nel contesto di approfondimento della rubrica religiosa, sia nel programma di intrattenimento, ho cercato di mettere al centro la persona, la sua dignità. Ho cercato di ricreare le atmosfere familiari che immaginavo si potessero vivere nelle famiglie. Con linguaggi diversi ho cercato di raccontare la vita e la straordinarietà della quotidianità, con la musica e le interviste ho immaginato le atmosfere di serenità che speravo di trasmettere al pubblico. No violenza, no volgarità, no stress, li subiamo già durante la settimana e il settimo giorno, come anche le scritture ricordano, ci si ferma. Si ricaricano le batterie. Fin da bambina la domenica è stata per me sinonimo di festa, di respiro, di gioia. Ho studiato dalle suore francescane e sono state loro a trasmettermi la bellezza e il significato profondo di questo giorno. Sono passati tanti anni, ma ancora ricordo le camminate per raggiungere la chiesa del quartiere di Roma in cui abito da sempre. Andavo con mio cugino e la semplicità della cappella in cui vivevamo la Messa, riusciva a farmi staccare dal mondo e a farmi entrare in comunione con quel crocefisso che, quando ero piccola non riuscivo nemmeno a nominare bene. Lo chiamavo “Gisù” e, dato che la domenica i miei genitori lavoravano in pasticceria, ogni volta che arrivava qualche cliente da loro conosciuto, gli chiedevo di accompagnarmi a vedere quel signore sulla croce.Guardarlo, stargli vicino, mi faceva stare bene, mi faceva sentire coccolata e amata. Ho 36 anni e la sensazione che provo quando entro in chiesa è ancora la stessa: amore, comunione, verità. Ecco perché la domenica ho bisogno di partecipare all’eucaristia. L’ho detto in tante interviste, anche in quelle che, con tono prevenuto e provocatorio, cercavano di additare come “sfigata” la persona che va in chiesa.Andare a Messa la domenica non è timbrare un cartellino, un raccontare a se stessi di essere bravi o un modo per mettere a posto la coscienza. Per me, la Messa della domenica è una festa, è gioia e non andare significa perdere un’opportunità, un bonus di benzina capace di alimentare la mia persona. Ma la domenica per un cristiano, e per tutte le persone di buona volontà, è anche pausa, è mettersi seduti di fronte allo specchio della propria coscienza, è regalarsi il silenzio. E in una società in cui tutto scorre, in cui il tempo macina le persone nel buio dell’indifferenza, la pausa e il silenzio sono fecondi. Cambiare stanza, rispetto a quello che facciamo durante la settimana, è costruttivo e staccare con il lavoro è produttivo.Viviamo nel caos del movimento, nell’ansia di dover andare, fare, parlare. Tutto ci porta ad allontanarci dalla nostra essenza, anche i centri commerciali aperti quando non dovrebbero. Ci hanno educato a correre, a distruggere con facilità legami stabili in nome di una libertà che, in realtà, è sinonimo di infelicità. Ci hanno scippato il pranzo della domenica, il ritrovarsi con i cugini o con gli amici più veri seduti semplicemente a parlare o a fare giochi da tavola. C’è la playstation o, se proprio ci si vuole riunire, c’è il pellegrinaggio nei luoghi dell’orrore. La morte, il buio della violenza più efferata dei giorni scorsi, hanno raggruppato persone in visita nei luoghi in cui si sono consumati delitti. Il macabro ha stuzzicato la sedentarietà delle domeniche di alcune famiglie italiane. L’abisso della superficialità a cui si sono affidate nella condivisione della spettacolarizzazione della morte, li allontana dall’essenza del giorno che stavano vivendo. La domenica è vita, è risurrezione, è luce, speranza. È l’unione della famiglia e non l’isolamento nelle palestre per diventare sufficientemente seduttivi in ufficio che ci fa stare bene.La domenica può alimentare la nostra bellezza, perché, se ci si ferma, si può riprendere in mano il timone della nostra esistenza. È anche annoiandoci che possiamo recuperare la lucidità. È sdraiandoci su un divano che può darci la forza di abbandonare i fili della marionetta che il sistema vuole farci diventare. Lavoro in televisione da 19 anni ed è buffo che la mia professione mi abbia portato a lavorare spesso proprio la domenica. Sei anni di conduzione della trasmissione “A sua Immagine” su RaiUno e tre anni di “Domenica In”. Anni meravigliosi, di grande crescita umana e professionale nei quali ho cercato di trasmettere proprio il significato profondo di quel giorno.La domenica è il giorno della rinascita della settimana. Mi sono sempre sentita molto onorata di poter essere strumento, seppur piccolo, di questo messaggio. Ecco perché non riesco a non sorridere in video e pensare che quel sorriso può fare compagnia, può far svagare chi vive momenti difficili, fa sentire utile, dà senso ai sacrifici e alle battaglie che comunque si fanno nel mondo della comunicazione. Sia nel contesto di approfondimento della rubrica religiosa, sia nel programma di intrattenimento, ho cercato di mettere al centro la persona, la sua dignità. Ho cercato di ricreare le atmosfere familiari che immaginavo si potessero vivere nelle famiglie. Con linguaggi diversi ho cercato di raccontare la vita e la straordinarietà della quotidianità, con la musica e le interviste ho immaginato le atmosfere di serenità che speravo di trasmettere al pubblico. No violenza, no volgarità, no stress, li subiamo già durante la settimana e il settimo giorno, come anche le scritture ricordano, ci si ferma. Si ricaricano le batterie.

Ti potrebbero interessare anche: