Giovedì a partire dalla basilica di�San Carlo la processione con l'Arcivescovo. Una riflessione di padre Ermes Ronchi sul senso di�questa festa liturgica


Redazione

Nel calendario liturgico ambrosiano la solennità del Corpus Domini ha recuperato la sua originaria collocazione e viene celebrata il giovedì dopo la domenica dedicata alla Ss. Trinità. Proprio in questo giorno infrasettimanale, a Milano, il cardinal Tettamanzi presiede l’Eucaristia e la processione eucaristica diocesana del Corpus Domini. Quest’anno si terrà giovedì 3 giugno: partirà dalla basilica di San Carlo al Corso e arriverà al Duomo. Come ormai è tradizione, sarà preceduta dalla Santa Messa presieduta dall’Arcivescovo alle ore 20 nella basilica (piazza San Carlo), tornata al suo antico splendore dopo i recenti restauri interni.
San Carlo al Corso è la chiesa della Comunità dei Servi di Maria; da qui ha fatto sentire la sua voce padre David Maria Turoldo. Oggi il priore è padre Ermes Ronchi, conosciuto dal grande pubblico televisivo per il suo commento al Vangelo domenicale nel programma religioso di RaiUno «A Sua immagine» (sabato, ore 17.10 – 17.40). «Una parola riassume il senso della festa del Corpo e Sangue del Signore: “alleanza”, legame, nodo che unisce ciò che era disperso, comunione», riflette padre Ronchi nel suo libro La bellezza voglio cantare (editrice Servitium). «Gesù neppure il suo corpo ha tenuto per sé, neppure il suo sangue ha conservato – aggiunge -: legge suprema dell’esistenza è il dono di sé, unico modo perché la storia sia, e sia amica. Norma di vita è dedicare la vita. Così va’ il mondo di Dio».
Commentando il Vangelo (Lc 9,11-17) della solennità del Corpus Domini, nel testo Respirare Cristo (editrice Soc. San Paolo), padre Ronchi si sente uno di quei «cinquemila uomini, una sera di Palestina, dalle parti di Betsaida» e si riconosce nelle parole con cui l’evangelista Luca li rievoca: «Gesù prese a parlare del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure». «La prima riga di questo Vangelo – confida – la sento come la prima riga della mia vita. Sono uno di quegli uomini, ho bisogno di cure, di qualcuno che si accorga di me, si prenda cura, guarisca la mia vita. Ho un desiderio inappagato e non so neppure di che cosa, ma so che niente fra le cose create lo potrà saziare».
Se “uno” dei cinquemila dalle parti di Betsaida prova questo sentimento, lo stesso capita tra la gente, più o meno numerosa, che segue il Ss. Sacramento per le strade della città? A Milano come in Palestina l’uomo si sente bisognoso di cure e cerca “qualcuno” che può salvarlo? Ma è «Dio in cammino verso di me per guarire la vita, Dio che è arrivato, che vive donandosi. Dio che non può dare nulla di meno di se stesso. E che, dando se stesso, ci dà tutto», rassicura padre Ronchi. «Ci dà il suo sangue (il sangue che si dirama per tutto il corpo e connette e vivifica tutte le parti) perché nelle nostre vene scorra la sua vita, nel nostro cuore metta radici il suo coraggio e quel miracolo che è la gratuità nelle relazioni – prosegue -. Quando ci dà il suo corpo (corpo che è sacramento e santuario d’incontri) vuole che la nostra fede si appoggi non su delle idee, ma su di una Persona, incontrandone storia, vicende, sentimenti, piaghe, luce, con il peso e il duro della croce. Quando ci dà il suo sangue e il suo corpo – conclude la sua riflessione padre Ronchi – vuole anche farci attenti al sangue e al corpo dei fratelli. Infatti il corpo è offerto, il sangue è versato: la legge dell’esistenza è il dono di sé; unica strada per l’amicizia nel mondo è l’offerta; norma di vita è dedicare la vita. Come ha fatto lui». Nel calendario liturgico ambrosiano la solennità del Corpus Domini ha recuperato la sua originaria collocazione e viene celebrata il giovedì dopo la domenica dedicata alla Ss. Trinità. Proprio in questo giorno infrasettimanale, a Milano, il cardinal Tettamanzi presiede l’Eucaristia e la processione eucaristica diocesana del Corpus Domini. Quest’anno si terrà giovedì 3 giugno: partirà dalla basilica di San Carlo al Corso e arriverà al Duomo. Come ormai è tradizione, sarà preceduta dalla Santa Messa presieduta dall’Arcivescovo alle ore 20 nella basilica (piazza San Carlo), tornata al suo antico splendore dopo i recenti restauri interni.San Carlo al Corso è la chiesa della Comunità dei Servi di Maria; da qui ha fatto sentire la sua voce padre David Maria Turoldo. Oggi il priore è padre Ermes Ronchi, conosciuto dal grande pubblico televisivo per il suo commento al Vangelo domenicale nel programma religioso di RaiUno «A Sua immagine» (sabato, ore 17.10 – 17.40). «Una parola riassume il senso della festa del Corpo e Sangue del Signore: “alleanza”, legame, nodo che unisce ciò che era disperso, comunione», riflette padre Ronchi nel suo libro La bellezza voglio cantare (editrice Servitium). «Gesù neppure il suo corpo ha tenuto per sé, neppure il suo sangue ha conservato – aggiunge -: legge suprema dell’esistenza è il dono di sé, unico modo perché la storia sia, e sia amica. Norma di vita è dedicare la vita. Così va’ il mondo di Dio».Commentando il Vangelo (Lc 9,11-17) della solennità del Corpus Domini, nel testo Respirare Cristo (editrice Soc. San Paolo), padre Ronchi si sente uno di quei «cinquemila uomini, una sera di Palestina, dalle parti di Betsaida» e si riconosce nelle parole con cui l’evangelista Luca li rievoca: «Gesù prese a parlare del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure». «La prima riga di questo Vangelo – confida – la sento come la prima riga della mia vita. Sono uno di quegli uomini, ho bisogno di cure, di qualcuno che si accorga di me, si prenda cura, guarisca la mia vita. Ho un desiderio inappagato e non so neppure di che cosa, ma so che niente fra le cose create lo potrà saziare».Se “uno” dei cinquemila dalle parti di Betsaida prova questo sentimento, lo stesso capita tra la gente, più o meno numerosa, che segue il Ss. Sacramento per le strade della città? A Milano come in Palestina l’uomo si sente bisognoso di cure e cerca “qualcuno” che può salvarlo? Ma è «Dio in cammino verso di me per guarire la vita, Dio che è arrivato, che vive donandosi. Dio che non può dare nulla di meno di se stesso. E che, dando se stesso, ci dà tutto», rassicura padre Ronchi. «Ci dà il suo sangue (il sangue che si dirama per tutto il corpo e connette e vivifica tutte le parti) perché nelle nostre vene scorra la sua vita, nel nostro cuore metta radici il suo coraggio e quel miracolo che è la gratuità nelle relazioni – prosegue -. Quando ci dà il suo corpo (corpo che è sacramento e santuario d’incontri) vuole che la nostra fede si appoggi non su delle idee, ma su di una Persona, incontrandone storia, vicende, sentimenti, piaghe, luce, con il peso e il duro della croce. Quando ci dà il suo sangue e il suo corpo – conclude la sua riflessione padre Ronchi – vuole anche farci attenti al sangue e al corpo dei fratelli. Infatti il corpo è offerto, il sangue è versato: la legge dell’esistenza è il dono di sé; unica strada per l’amicizia nel mondo è l’offerta; norma di vita è dedicare la vita. Come ha fatto lui».

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