di Cristina CONTI
Redazione
Accogliere gli ultimi e i più poveri. Questo lo scopo di Casa Betania in corso Isonzo 90 a Seveso. Qui è sepolto fratel Ettore. Qui tanti che hanno conosciuto il degrado della strada non solo hanno ritrovato la pace, ma hanno anche dato un valore e un senso alla propria vita. Casa Betania è a tutti gli effetti la casa-madre dell’Opera di fratel Ettore. E a tutti gli effetti una comunità residenziale protetta. Qui vivono stabilmente malati mentali e fisici, persone che hanno perso la memoria, non si ricordano più chi sono, e spesso non hanno più nemmeno i documenti a ricordarglielo. Uomini e donne che per motivi diversi si ritrovano in mezzo a una strada, senza più niente, nemmeno la dignità.
«Da noi arrivano in molti, grazie alla rete che ormai da tempo si è creata tra pronto soccorso, polizia, ospedali, assistenza sociale e cittadini che vedono poveri in grave difficoltà che non sono in grado da soli di rivolgersi a centri di assistenza. Chi non ha altre risorse alla fine rimane qui. Il dormitorio, invece, è per chi qualche risorsa ce l’ha», spiega suor Teresa, la responsabile.
Dopo il disastro della diossina fuoriuscita dalla Icmesa di Meda, quando una nube allungata incombeva su Seveso e dintorni, fratel Ettore volle fare qualcosa per aiutare le persone sfollate nei motel, senza lavoro, cariche di problemi, e soprattutto per la pressione mediatica sulle donne, incitate a non fare figli e a interrompere le gravidanze. L’inaugurazione ufficiale del Rifugio risale al 1° gennaio 1979, quando il vescovo ausiliare di Milano Libero Tresoldi benedice i due stanzoni senza finestre situati sotto i binari della Stazione Centrale di Milano, lungo la via Sammartini. Poco tempo dopo la maggiore delle sorelle Pontiggia, in visita al Rifugio, gli offrì la vendita della loro casa di Seveso: un evento che fratel Ettore vide come un’occasione importante per stare vicino ai poveri di questa città.
Una storia di fede, di preghiera continua e di instancabile lavoro per chi non ha niente e non può contare su nessuno. Una vita dedicata al prossimo, senza pensare troppo al denaro, ma confidando sempre e comunque nella provvidenza divina. Una scelta fatta da fratel Ettore che oggi condividono tutti coloro che all’interno della Casa assistono i più poveri e convivono insieme a loro. Qui vengono in uguale misura italiani e stranieri. In prevalenza uomini, le donne sono poche. «Anche nel dormitorio è bassa la presenza femminile. Forse in certe situazioni le donne riescono comunque a gestirsi meglio. Oggi siamo in tutto in 60. Ciascuno, a seconda delle sue possibilità dà il proprio contributo per aiutare a gestire quotidianamente la casa», commenta suor Teresa.
Ognuno ha i suoi compiti: qualcuno ha solo mansioni semplici, altri, che hanno maggiori capacità, si occupano di questioni più complesse. Chiunque fosse a conoscenza di situazioni difficili di povertà ed emarginazione può mettersi in contatto con Casa Betania chiamando il numero tel. 0362.551332. Accogliere gli ultimi e i più poveri. Questo lo scopo di Casa Betania in corso Isonzo 90 a Seveso. Qui è sepolto fratel Ettore. Qui tanti che hanno conosciuto il degrado della strada non solo hanno ritrovato la pace, ma hanno anche dato un valore e un senso alla propria vita. Casa Betania è a tutti gli effetti la casa-madre dell’Opera di fratel Ettore. E a tutti gli effetti una comunità residenziale protetta. Qui vivono stabilmente malati mentali e fisici, persone che hanno perso la memoria, non si ricordano più chi sono, e spesso non hanno più nemmeno i documenti a ricordarglielo. Uomini e donne che per motivi diversi si ritrovano in mezzo a una strada, senza più niente, nemmeno la dignità.«Da noi arrivano in molti, grazie alla rete che ormai da tempo si è creata tra pronto soccorso, polizia, ospedali, assistenza sociale e cittadini che vedono poveri in grave difficoltà che non sono in grado da soli di rivolgersi a centri di assistenza. Chi non ha altre risorse alla fine rimane qui. Il dormitorio, invece, è per chi qualche risorsa ce l’ha», spiega suor Teresa, la responsabile.Dopo il disastro della diossina fuoriuscita dalla Icmesa di Meda, quando una nube allungata incombeva su Seveso e dintorni, fratel Ettore volle fare qualcosa per aiutare le persone sfollate nei motel, senza lavoro, cariche di problemi, e soprattutto per la pressione mediatica sulle donne, incitate a non fare figli e a interrompere le gravidanze. L’inaugurazione ufficiale del Rifugio risale al 1° gennaio 1979, quando il vescovo ausiliare di Milano Libero Tresoldi benedice i due stanzoni senza finestre situati sotto i binari della Stazione Centrale di Milano, lungo la via Sammartini. Poco tempo dopo la maggiore delle sorelle Pontiggia, in visita al Rifugio, gli offrì la vendita della loro casa di Seveso: un evento che fratel Ettore vide come un’occasione importante per stare vicino ai poveri di questa città.Una storia di fede, di preghiera continua e di instancabile lavoro per chi non ha niente e non può contare su nessuno. Una vita dedicata al prossimo, senza pensare troppo al denaro, ma confidando sempre e comunque nella provvidenza divina. Una scelta fatta da fratel Ettore che oggi condividono tutti coloro che all’interno della Casa assistono i più poveri e convivono insieme a loro. Qui vengono in uguale misura italiani e stranieri. In prevalenza uomini, le donne sono poche. «Anche nel dormitorio è bassa la presenza femminile. Forse in certe situazioni le donne riescono comunque a gestirsi meglio. Oggi siamo in tutto in 60. Ciascuno, a seconda delle sue possibilità dà il proprio contributo per aiutare a gestire quotidianamente la casa», commenta suor Teresa.Ognuno ha i suoi compiti: qualcuno ha solo mansioni semplici, altri, che hanno maggiori capacità, si occupano di questioni più complesse. Chiunque fosse a conoscenza di situazioni difficili di povertà ed emarginazione può mettersi in contatto con Casa Betania chiamando il numero tel. 0362.551332.