Gli scontri in Kashmir tragica conseguenza di un gesto sconsiderato. L'opinione di don Giampiero Alberti, collaboratore per i rapporti con l'Islam del Servizio per l'ecumenismo e il dialogo della Diocesi di Milano


Redazione

Prima la provocazione del Corano in fiamme. Poi gli inviti alla prudenza anche da parte del presidente Usa, Barack Obama. Infine gli scontri in Kashmir. Le cronache degli ultimi giorni dimostrano che, quando si parla di Islam, è facile che i toni delle discussioni non solo si alzino, ma se non si è accorti nell’uso dei gesti e delle parole, si possono generare veri e propri scontri e clima di forte tensione. Le vignette satiriche sul profeta Maometto alcuni anni fa ne furono una prima dimostrazione.
Ma come vive tutto questo una persona impegnata nel dialogo con l’Islam? E quali ricadute hanno queste notizie sullo stato dei rapporti islamo-cristiani? L’abbiamo chiesto a don Giampiero Alberti, collaboratore per i rapporti con l’Islam del Servizio per l’ecumenismo e il dialogo della Diocesi di Milano.

Che impressione le ha fatto la foto del Corano in fiamme apparsa sui quotidiani italiani?
Un gesto inopportuno, insensato. Un gesto provocatorio che non dice e non serve a niente.

Possibile che anche i media abbiano dato così tanta enfasi a gesti così privi di senso?
Non mi sento di giudicare il motivo per cui i media abbiano ritenuto opportuno pubblicare notizie e immagini del genere. Ripeto, dal mio punto di vista si tratta di gesti inopportuni. Credo e spero però anche nell’intelligenza delle persone, che sono comunque in grado di giudicare queste immagini e di non essere soggette a queste provocazioni. Lo dico spesso anche ai miei interlocutori musulmani che magari mi riferiscono di questi problemi: ogni volta dico anche a loro di non permettere a questi fatti raccontati dai media di tirarci fuori da quella logica di incontro e dialogo che da anni stiamo portando avanti. È chiaro che basta poco per scatenare la tensione. È chiaro che questa tensione va conosciuta, ma anche gestita e affrontata con intelligenza, con i mezzi e i metodi del dialogo e del confronto.

Ma secondo lei l’Islam è attrezzato a non farsi influenzare dalle provocazioni?
Purtroppo, direi ancora no. Noto, per quello che riesco a sentire anche dalle televisioni arabe, che certi gesti vengono presentati come provocazioni ed è chiaro che su informazioni così trasmesse, di canale in canale, basta che qualcuno aggiunga una parola in più e in certi luoghi scoppia la tensione. Ma questo meccanismo va conosciuto perché solo se lo si conosce a fondo, si è portati a essere doppiamente prudenti in quel che si dice e si fa.

Insomma, immagini di questo tipo in alcuni contesti possono diventare vere e proprie micce esplosive…
Dobbiamo lavorare molto perché non lo diventino, fare di tutto e con tutti i nostri mezzi per far passare il valore positivo dell’incontro, dell’integrazione dei popoli, della pace, della non violenza. Questo è il nostro impegno.

Se la sente di lanciare un appello alla responsabilità di chi è chiamato a raccontare i fatti?
Più che un appello alla responsabilità, vorrei piuttosto richiamare chi fa informazione all’importanza dell’approfondimento, per capire a fondo le cose che si vedono e si sentono in modo da farsi portavoce dei motivi seri e gravi che emergono dalle situazioni per cercare anche di risolverli. Non mi piace l’atteggiamento di chi provoca solo per provocare.

Ne ha parlato con i suoi interlocutori musulmani? E che cosa le hanno detto?
Abbiamo parlato parecchio di queste cose. I musulmani comprendono che questi sono gesti inopportuni di persone di cui noi stessi non riusciamo a capire il perché. Siamo tutti convinti che un gesto del genere è assurdo. Direi di più: tra le nostre comunità c’è rispetto e anche il desiderio di conoscere le Scritture Sacre l’uno dell’altro. Conosciamo poco del Corano, come i musulmani conoscono poco la Bibbia. Credo davvero che l’impegno profondo ci sia.

Anche se poi la presenza di una moschea in una città fa ancora discutere?
Il problema della moschea richiama il diritto alla preghiera da parte di cittadini italiani. Bisognerà quindi discutere sul modo in cui questo diritto possa essere rispettato. Non tocca a me dire come e dare giudizi. Ci sono persone competenti e ci sono i musulmani che verranno sicuramente interpellati. Mi trovo a vivere in una città come Milano, dove molti cristiani hanno paura. E io aggiungo che hanno paura giustamente, perché in Italia da parte musulmana non c’è ancora e sempre una presa di posizione chiara sui valori. Valori come la pari dignità dell’uomo e della donna, il discorso sulla libertà religiosa, la questione della separazione religione/Stato, della non violenza. Prendiamo per esempio il caso della donna iraniana, Sakineh. Non è che in questi tempi abbiamo sentito prese di posizione a sua favore da parte musulmana. Per cui la gente ha paura. E allora bisogna che i musulmani chiedano giustamente il rispetto dei loro diritti, ma dicendo anche chiaramente quali saranno poi le posizioni della loro fede. Che non può essere la shari’a islamica che usano negli altri Paesi. Qui dovranno fare scelte diverse. È un processo che però – ne sono sicuro – può avvenire solo nell’incontro e parlando serenamente di queste questioni. Oggi invece le tensioni dividono. La mia paura che si creeranno anche nelle nostre città dei ghetti: da una parte gli occidentali, dall’altra i musulmani, dall’altro il ghetto di qualcun altro e ognuno si terrà stretto lo spazio che si è preso. Abbiamo assistito a questa deriva in Europa, e allora sì, se non ci sarà più il dialogo sarà difficile incontrarsi. Prima la provocazione del Corano in fiamme. Poi gli inviti alla prudenza anche da parte del presidente Usa, Barack Obama. Infine gli scontri in Kashmir. Le cronache degli ultimi giorni dimostrano che, quando si parla di Islam, è facile che i toni delle discussioni non solo si alzino, ma se non si è accorti nell’uso dei gesti e delle parole, si possono generare veri e propri scontri e clima di forte tensione. Le vignette satiriche sul profeta Maometto alcuni anni fa ne furono una prima dimostrazione.Ma come vive tutto questo una persona impegnata nel dialogo con l’Islam? E quali ricadute hanno queste notizie sullo stato dei rapporti islamo-cristiani? L’abbiamo chiesto a don Giampiero Alberti, collaboratore per i rapporti con l’Islam del Servizio per l’ecumenismo e il dialogo della Diocesi di Milano.Che impressione le ha fatto la foto del Corano in fiamme apparsa sui quotidiani italiani?Un gesto inopportuno, insensato. Un gesto provocatorio che non dice e non serve a niente.Possibile che anche i media abbiano dato così tanta enfasi a gesti così privi di senso?Non mi sento di giudicare il motivo per cui i media abbiano ritenuto opportuno pubblicare notizie e immagini del genere. Ripeto, dal mio punto di vista si tratta di gesti inopportuni. Credo e spero però anche nell’intelligenza delle persone, che sono comunque in grado di giudicare queste immagini e di non essere soggette a queste provocazioni. Lo dico spesso anche ai miei interlocutori musulmani che magari mi riferiscono di questi problemi: ogni volta dico anche a loro di non permettere a questi fatti raccontati dai media di tirarci fuori da quella logica di incontro e dialogo che da anni stiamo portando avanti. È chiaro che basta poco per scatenare la tensione. È chiaro che questa tensione va conosciuta, ma anche gestita e affrontata con intelligenza, con i mezzi e i metodi del dialogo e del confronto.Ma secondo lei l’Islam è attrezzato a non farsi influenzare dalle provocazioni?Purtroppo, direi ancora no. Noto, per quello che riesco a sentire anche dalle televisioni arabe, che certi gesti vengono presentati come provocazioni ed è chiaro che su informazioni così trasmesse, di canale in canale, basta che qualcuno aggiunga una parola in più e in certi luoghi scoppia la tensione. Ma questo meccanismo va conosciuto perché solo se lo si conosce a fondo, si è portati a essere doppiamente prudenti in quel che si dice e si fa.Insomma, immagini di questo tipo in alcuni contesti possono diventare vere e proprie micce esplosive…Dobbiamo lavorare molto perché non lo diventino, fare di tutto e con tutti i nostri mezzi per far passare il valore positivo dell’incontro, dell’integrazione dei popoli, della pace, della non violenza. Questo è il nostro impegno.Se la sente di lanciare un appello alla responsabilità di chi è chiamato a raccontare i fatti?Più che un appello alla responsabilità, vorrei piuttosto richiamare chi fa informazione all’importanza dell’approfondimento, per capire a fondo le cose che si vedono e si sentono in modo da farsi portavoce dei motivi seri e gravi che emergono dalle situazioni per cercare anche di risolverli. Non mi piace l’atteggiamento di chi provoca solo per provocare.Ne ha parlato con i suoi interlocutori musulmani? E che cosa le hanno detto?Abbiamo parlato parecchio di queste cose. I musulmani comprendono che questi sono gesti inopportuni di persone di cui noi stessi non riusciamo a capire il perché. Siamo tutti convinti che un gesto del genere è assurdo. Direi di più: tra le nostre comunità c’è rispetto e anche il desiderio di conoscere le Scritture Sacre l’uno dell’altro. Conosciamo poco del Corano, come i musulmani conoscono poco la Bibbia. Credo davvero che l’impegno profondo ci sia.Anche se poi la presenza di una moschea in una città fa ancora discutere?Il problema della moschea richiama il diritto alla preghiera da parte di cittadini italiani. Bisognerà quindi discutere sul modo in cui questo diritto possa essere rispettato. Non tocca a me dire come e dare giudizi. Ci sono persone competenti e ci sono i musulmani che verranno sicuramente interpellati. Mi trovo a vivere in una città come Milano, dove molti cristiani hanno paura. E io aggiungo che hanno paura giustamente, perché in Italia da parte musulmana non c’è ancora e sempre una presa di posizione chiara sui valori. Valori come la pari dignità dell’uomo e della donna, il discorso sulla libertà religiosa, la questione della separazione religione/Stato, della non violenza. Prendiamo per esempio il caso della donna iraniana, Sakineh. Non è che in questi tempi abbiamo sentito prese di posizione a sua favore da parte musulmana. Per cui la gente ha paura. E allora bisogna che i musulmani chiedano giustamente il rispetto dei loro diritti, ma dicendo anche chiaramente quali saranno poi le posizioni della loro fede. Che non può essere la shari’a islamica che usano negli altri Paesi. Qui dovranno fare scelte diverse. È un processo che però – ne sono sicuro – può avvenire solo nell’incontro e parlando serenamente di queste questioni. Oggi invece le tensioni dividono. La mia paura che si creeranno anche nelle nostre città dei ghetti: da una parte gli occidentali, dall’altra i musulmani, dall’altro il ghetto di qualcun altro e ognuno si terrà stretto lo spazio che si è preso. Abbiamo assistito a questa deriva in Europa, e allora sì, se non ci sarà più il dialogo sarà difficile incontrarsi.

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