La dichiarazione Cei su crocifisso e Corte di Strasburgo
Redazione
È segno di speranza e di conforto, è segno di vita e messaggio di bene, per tutti, senza distinzione. Le braccia spalancate del Crocifisso sono pronte ad accogliere tutti. Esporre la croce nelle scuole e nei luoghi pubblici fa bene a tutti. Fa bene alla nostra identità e, nello stesso tempo, fa bene al dialogo, qui in Europa.
La presidenza della Cei è tornata sulla questione dell’esposizione di simboli religiosi cristiani nell’imminenza della decisone della Corte europea dei diritti umani. Il documento parte e arriva dal valore della libertà religiosa, giustamente negando che possa essere messa in discussione dall’esposizione dei crocifissi, che anzi la dovrebbe garantire. Si tratta di un testo breve ed estremamente rispettoso, che sottolinea il principio di sussidiarietà, la valorizzazione cioè e il rispetto delle diverse realtà nazionali, delle «tradizioni millenarie di ciascun popolo e di ciascuna nazione».
L’assise di Strasburgo deve decidere in seconda istanza e si tratta di una questione rilevante, ben oltre il caso specifico oggetto di ricorso. Investe infatti il tema cruciale, troppe volte eluso dal dibattito politico e culturale continentale, del rapporto delle istanze europee, in questo caso il Consiglio d’Europa, dei singoli Stati e poi in concreto dei diversi popoli, con la propria identità e con il proprio futuro. Vogliamo un avvenire spoglio e falsamente asettico, in cui tutti siano soli con se stessi, oppure vogliamo continuare liberamente a esprimere «una tradizione che tutti conoscono e riconoscono nel suo alto valore spirituale»? Qualcuno crede davvero oggi, qui, nella nostra realtà iper-garantista dal punto di vista formale, ma spesso vuota di significato, che la presenza di simboli religiosi e in particolare della croce, si possa tradurre in una imposizione, che abbia valore di esclusione?
Il passaggio è delicato ed è tempo di responsabilità e insieme di coraggio e di lungimiranza. Con tutta probabilità il vuoto (anche) di simboli religiosi, invece che far crescere tolleranza, rispetto, pluralismo, rischia di alimentare una percezione di solitudine, di vuoto, di assenza di riferimenti e dunque in prospettiva di conflittualità e violenza. Sono le aporìe della secolarizzazione, che in positivo richiede da tutti gli attori sociali un di più di spinta e di deposito di significato.
Ecco allora che il crocifisso ritorna. Attenzione: non è il segno di un passato che si ostina a restare aggrappato alle magnifiche sorti e progressive di un presente inevitabilmente moderno. È invece un riferimento per poter guardare avanti, progettare, costruire, avendo presente solidi riferimenti.
È questo l’esercizio morale e culturale che in Europa è sempre più urgente, cui il Papa ha dato il nome di “questione educativa”. Il crocifisso, ribadiscono i vescovi, rappresenta «un’identità aperta al dialogo con ogni uomo di buona volontà». Per poter parlare francamente di nuovi orizzonti di sviluppo civile. È segno di speranza e di conforto, è segno di vita e messaggio di bene, per tutti, senza distinzione. Le braccia spalancate del Crocifisso sono pronte ad accogliere tutti. Esporre la croce nelle scuole e nei luoghi pubblici fa bene a tutti. Fa bene alla nostra identità e, nello stesso tempo, fa bene al dialogo, qui in Europa.La presidenza della Cei è tornata sulla questione dell’esposizione di simboli religiosi cristiani nell’imminenza della decisone della Corte europea dei diritti umani. Il documento parte e arriva dal valore della libertà religiosa, giustamente negando che possa essere messa in discussione dall’esposizione dei crocifissi, che anzi la dovrebbe garantire. Si tratta di un testo breve ed estremamente rispettoso, che sottolinea il principio di sussidiarietà, la valorizzazione cioè e il rispetto delle diverse realtà nazionali, delle «tradizioni millenarie di ciascun popolo e di ciascuna nazione».L’assise di Strasburgo deve decidere in seconda istanza e si tratta di una questione rilevante, ben oltre il caso specifico oggetto di ricorso. Investe infatti il tema cruciale, troppe volte eluso dal dibattito politico e culturale continentale, del rapporto delle istanze europee, in questo caso il Consiglio d’Europa, dei singoli Stati e poi in concreto dei diversi popoli, con la propria identità e con il proprio futuro. Vogliamo un avvenire spoglio e falsamente asettico, in cui tutti siano soli con se stessi, oppure vogliamo continuare liberamente a esprimere «una tradizione che tutti conoscono e riconoscono nel suo alto valore spirituale»? Qualcuno crede davvero oggi, qui, nella nostra realtà iper-garantista dal punto di vista formale, ma spesso vuota di significato, che la presenza di simboli religiosi e in particolare della croce, si possa tradurre in una imposizione, che abbia valore di esclusione?Il passaggio è delicato ed è tempo di responsabilità e insieme di coraggio e di lungimiranza. Con tutta probabilità il vuoto (anche) di simboli religiosi, invece che far crescere tolleranza, rispetto, pluralismo, rischia di alimentare una percezione di solitudine, di vuoto, di assenza di riferimenti e dunque in prospettiva di conflittualità e violenza. Sono le aporìe della secolarizzazione, che in positivo richiede da tutti gli attori sociali un di più di spinta e di deposito di significato.Ecco allora che il crocifisso ritorna. Attenzione: non è il segno di un passato che si ostina a restare aggrappato alle magnifiche sorti e progressive di un presente inevitabilmente moderno. È invece un riferimento per poter guardare avanti, progettare, costruire, avendo presente solidi riferimenti.È questo l’esercizio morale e culturale che in Europa è sempre più urgente, cui il Papa ha dato il nome di “questione educativa”. Il crocifisso, ribadiscono i vescovi, rappresenta «un’identità aperta al dialogo con ogni uomo di buona volontà». Per poter parlare francamente di nuovi orizzonti di sviluppo civile.