Il rapporto di "Medici senza frontiere" sui centri per migranti


Redazione

Gli stranieri irregolari transitati nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) nel 2008 sono stati 10.539 e i rimpatri il 45% del totale. Un sistema di «detenzione amministrativa» risultato «fallimentare» nel contenimento dell’immigrazione irregolare: i centri hanno più «una funzione simbolica di “confinamento”». Nonostante «alcuni miglioramenti soprattutto nella qualità degli edifici» dal 2003 a oggi i Centri per migranti presentano «numerosi fattori di malfunzionamento ed episodi di scarsa tutela dei diritti fondamentali, a prescindere dall’ente gestore».
È l’analisi fatta da “Medici senza frontiere” (Msf) nel nuovo rapporto – il primo risaliva al 2003/2004 – sui centri per migranti in Italia (Cie, Cara e Cda), intitolato Al di là del muro, presentato nei giorni scorsi a Roma. Due équipes di “Medici senza frontiere” hanno visitato 21 centri (tranne quello di Lampedusa, al quale è stato negato l’accesso) nel 2008 e 14 centri nel 2009, per verificare i cambiamenti in seguito all’allungamento del periodo di trattenimento (da due a sei mesi) e all’interruzione degli sbarchi dopo gli accordi tra Italia e Libia. Gli stranieri irregolari transitati nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) nel 2008 sono stati 10.539 e i rimpatri il 45% del totale. Un sistema di «detenzione amministrativa» risultato «fallimentare» nel contenimento dell’immigrazione irregolare: i centri hanno più «una funzione simbolica di “confinamento”». Nonostante «alcuni miglioramenti soprattutto nella qualità degli edifici» dal 2003 a oggi i Centri per migranti presentano «numerosi fattori di malfunzionamento ed episodi di scarsa tutela dei diritti fondamentali, a prescindere dall’ente gestore».È l’analisi fatta da “Medici senza frontiere” (Msf) nel nuovo rapporto – il primo risaliva al 2003/2004 – sui centri per migranti in Italia (Cie, Cara e Cda), intitolato Al di là del muro, presentato nei giorni scorsi a Roma. Due équipes di “Medici senza frontiere” hanno visitato 21 centri (tranne quello di Lampedusa, al quale è stato negato l’accesso) nel 2008 e 14 centri nel 2009, per verificare i cambiamenti in seguito all’allungamento del periodo di trattenimento (da due a sei mesi) e all’interruzione degli sbarchi dopo gli accordi tra Italia e Libia. «Enclave con regole proprie» Dalle visite di Msf sono emersi in particolare: «La mancanza di protocolli d’intesa che stabiliscano i rapporti tra i centri e il Sistema sanitario nazionale, l’insufficiente assistenza sanitaria, legale, sociale e psicologica, i diffusi segnali di profondo malessere tra i trattenuti con conseguenti episodi di autolesionismo, risse, rivolte».Secondo Msf, i centri sono gestiti con un «approccio emergenziale» lasciato alla «discrezionalità dei singoli enti gestori», senza linee-guida, controlli e con «scarsa trasparenza verso l’esterno». Una sorta di «enclave con regole, relazioni e dimensioni di vita propri», soprattutto in ambito sanitario.Nei Cie, in particolare, convivono negli stessi ambienti situazioni molto diverse: «Vittime di tratta, di sfruttamento, di tortura, di persecuzioni, così come individui in fuga da conflitti e condizioni degradanti, altri affetti da tossicodipendenze, da patologie croniche, infettive o della sfera mentale, oppure stranieri che vantano anni di soggiorno in Italia, con un lavoro non regolare, una casa e la famiglia o sono appena arrivati». Troppa tensione e malessere I centri, così come sono, confermano per l’organizzazione «l’inattuabilità di una adeguata gestione dei diversi bisogni dei trattenuti» e questo «può essere anche alle origini dell’elevato livello di tensione e malessere all’interno dai centri». Msf cita «le testimonianze dei trattenuti e le numerose lesioni che si procurano, il frequente ricorso che fanno alle strutture sanitarie e ai sedativi, i numerosi segni di rivolte, incendi dolosi e vandalismi e le notizie di cronaca di suicidi, tentati suicidi e continue sommosse». «Una tensione – afferma l’organizzazione – che non appare semplicemente legata alla condizione di detenzione ai fini del rimpatrio, ma, anche, al senso di ingiustizia vissuto dai trattenuti nel subire una limitazione della libertà personale pur non avendo commesso reati». 10.539 persone nel 2008, 45% rimpatri Secondo Msf, i centri non servono a contenere l’immigrazione irregolare, nonostante i ripetuti e recenti interventi del legislatore: dalla loro istituzione (nel 1998) a oggi, «la presenza di immigrati non in regola con le norme sul soggiorno non sembra essersi ridotta, come emerge dalla richiesta di emersione effettuata nel settembre 2009 di 300 mila lavoratori stranieri (limitata, però, solo a collaboratori domestici e assistenti alla persona)». Se nel 2008 sono transitate nei Cie 10.539 persone e rimpatriati il 45% del totale, per Msf «appare evidente che anche rendendo più efficiente il sistema, le persone senza permesso che possono essere allontanabili attraverso i Cie costituirebbero un numero irrisorio rispetto all’ampiezza del fenomeno dell’immigrazione irregolare».La decisione di elevare a 4.640 i posti nei centri e di stanziare 3 milioni di euro per il 2008 e 37 milioni e mezzo di euro per il 2009 e il 2010 (Legge 186/2008) per la gestione e l’edificazione di nuove strutture, «non sembra rappresentare – secondo Msf – una soluzione ragionevole alla questione». Altre criticità riguardano la gestione dei Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) e dei Cda (Centri di accoglienza per i migranti appena arrivati), soprattutto nelle strutture più grandi: personale «sottodimensionato», mancanza di protocolli «per l’identificazione dei soggetti vulnerabili», sovraffollamento e pochi «percorsi individuali di informazione, protezione e assistenza». Da qui il suggerimento di «superare l’accoglienza in grande scala» e realizzare invece «mini progetti di accoglienza diffusi sull’intero territorio nazionale».

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