All'origine della violenza contro la donna che lascia l'uomo
a cura di Giovanna PASQUALIN TRAVERSA
Redazione
All’origine della tragica catena di delitti “passionali” che negli ultimi giorni sta insanguinando il nostro Paese – l’ultimo, il 12 luglio, è il duplice omicidio nel Cuneese di una ragazza di 24 anni assassinata insieme a un amico dal suo ex, poi suicidatosi – «non c’è un unico fattore scatenante, ma una vera e propria miscela esplosiva». A spiegarlo è Tonino Cantelmi, psichiatra e presidente dell’Aippc (Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici). Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la violenza contro le donne rappresenta la prima causa di morte per il sesso femminile tra i 25 e i 44 anni. In Italia, informa l’Istat, ogni anno muoiono per mano degli attuali o ex mariti, compagni, fidanzati, all’incirca cento donne: una violenza che non conosce confini sociali, culturali o geografici. All’origine della tragica catena di delitti “passionali” che negli ultimi giorni sta insanguinando il nostro Paese – l’ultimo, il 12 luglio, è il duplice omicidio nel Cuneese di una ragazza di 24 anni assassinata insieme a un amico dal suo ex, poi suicidatosi – «non c’è un unico fattore scatenante, ma una vera e propria miscela esplosiva». A spiegarlo è Tonino Cantelmi, psichiatra e presidente dell’Aippc (Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici). Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la violenza contro le donne rappresenta la prima causa di morte per il sesso femminile tra i 25 e i 44 anni. In Italia, informa l’Istat, ogni anno muoiono per mano degli attuali o ex mariti, compagni, fidanzati, all’incirca cento donne: una violenza che non conosce confini sociali, culturali o geografici. Maschi sempre più fragili Responsabili di questi atti estremi sono, secondo Cantemi, il contesto generale di aumentata violenza nella nostra società, la sempre maggiore fragilità del maschio, la veloce “mutazione genetica” della donna e l’incapacità di relazioni autentiche. Lo psichiatra sottolinea anzitutto «il sostanziale incremento nella nostra società della violenza e dell’aggressività personale – legato anche alla sempre maggiore diffusione dell’uso di cocaina e altre sostanze psicotrope – come modalità di risoluzione dei conflitti».«Nell’uomo di oggi, in apparenza molto evoluto, di fronte all’incapacità di gestire il conflitto scatta paradossalmente una sorta di cortocircuito che in casi estremi porta a compiere gravi atti di violenza». Ma perché l’uomo può arrivare a uccidere la donna che lo ha lasciato o gli ha annunciato l’intenzione di farlo, e quasi mai avviene il contrario? «Questo gesto dimostra la clamorosa e drammatica fragilità della figura maschile di oggi». L’eclissi della figura paterna Ad avviso di Cantelmi, l’odierna “fragilità” dell’uomo è il prodotto «del trentennio di erosione, se non di vera e propria eclissi, della figura paterna e quindi della trasmissione dei modelli autenticamente maschili». Come si forma un’identità maschile equilibrata e completa? «Dopo i primi anni di vita in cui è un tutt’uno con la mamma – spiega lo psichiatra – il bambino ha bisogno di “allontanarsi” da questa figura femminile mettendo in atto comportamenti di distacco e differenzazione che devono essere favoriti dalla presenza di una figura maschile compiuta, quella del padre, in grado di accompagnare adeguatamente la dinamica evolutiva del figlio. Purtroppo negli ultimi decenni questi processi di individuazione e identificazione maschile non si sono più svolti in modo efficace e gli attuali ventenni-quarantenni sono per lo più privi di identità certa e compiuta, e perciò estremamente fragili».A questo quadro di “vulnerabilità” fa da contraltare la “mutazione genetica” dell’universo femminile verificatasi in questi ultimi anni. «In tempi relativamente brevi – prosegue Cantelmi – le donne hanno raggiunto elevati livelli di istruzione e autonomia, e una figura femminile più assertiva può essere certamente percepita come antagonista, “aggressiva”, o in alcuni casi anche “minacciosa” da maschi in crisi di identità che sentono/temono la propria mascolinità messa in discussione». Narcisismo e ricerca di emozioni Ma c’è di più. Secondo lo psichiatra, la relazione uomo-donna «è spesso affetta da narcisismo e mancanza di vera empatia. Si è in gran parte smarrita, inoltre, la capacità di narrarsi, guardarsi negli occhi ed entrare in relazioni autentiche e profonde». Oggi, sostiene, «la maggior parte delle relazioni si gioca sull’amore per se stessi e sulla capacità di provare e far provare emozioni forti, senza lasciare spazio alla costruzione di una storia e alla condivisione di valori e progetti. Questo prevalere di un modello emotivo di affettività concentrato solo sull’intensità del presente, privo di passato come di futuro, appiattisce la coppia e la rende incapace di elaborare e gestire i conflitti che finiscono inevitabilmente per risolversi con la rottura del rapporto». Rieducare la relazione uomo-donna Come intervenire? «Non esistono ricette o soluzioni preconfezionate. Ritengo dovremmo anzitutto recuperare un’educazione all’affettività in termini anche “narrativi” – quella narrazione cui accennavo che fa di due persone che si incontrano un “noi” -, progettuali e valoriali per far comprendere ai giovani che le relazioni si costruiscono attraverso percorsi di impegno e di condivisione di identità. Le emozioni, anche quelle forti, sono il passo successivo. Condivisione iniziale della propria storia e progettazione del futuro: si parte da qui. Non mi nascondo tuttavia – conclude Cantelmi – che non è impresa semplice rieducare i giovani a questa prospettiva».