Eloquenza della fede e della carità che interroga la Chiesa e il mondo

di Enzo BIANCHI Priore di Bose
Redazione

Il recente massacro di cristiani nella chiesa di Bagdad e lo stillicidio di attentati e di minacce che i discepoli di Cristo subiscono in tante parti del mondo sono la sofferta conferma che da ormai diversi decenni, con la fine della cristianità, stiamo assistendo a un’ondata di martiri quale non si è mai registrata a partire dal IV secolo, che avviene in una grande trasparenza, senza ambiguità del segno, come ricordava già Giovanni Paolo II nella Tertio millennio adveniente: «Il martirio ha di nuovo oggi la sua epifania tramite testimoni eloquenti, conosciuti, ma anche tramite “militi ignoti della grande causa di Dio”. Sì, al termine del secondo millennio la chiesa è diventata nuovamente chiesa di martiri, e la testimonianza resa a Cristo sino allo spargimento del sangue è diventata patrimonio comune di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti… L’ecumenismo dei santi, dei martiri è forse il più convincente. La communio sanctorum parla con voce più alta dei fattori di divisione».
Nella storia della Chiesa ci sono stati molti martiri e, di conseguenza, molti paradigmi di martirio, anche se di fatto è stato elaborato un “canone” per il discernimento del martirio e di chi lo ha vissuto. La forma originaria del martirio, ispirata da Stefano nel Nuovo Testamento e poi dagli Acta martyrum delle vittime dell’impero romano, ci ha reso epifanico il cristiano che, come “soldato di Cristo”, muore per il suo Signore, condividendone la passione di fronte al potere politico e alla pólis pagana, fornendo una professione di fede pubblica, restando saldo e paziente durante l’esecuzione capitale.
Oggi, se confrontiamo l’esperienza dei martiri contemporanei e quella forma antica, registriamo alcune differenze. Innanzitutto la morte dei cristiani a causa della loro fede (in odium fidei), decretata da tribunali civili è limitata a rari casi: vere e proprie persecuzioni “legali” e sistematiche contro comunità cristiane non sono state sancite, anche se in realtà sono avvenute sotto altro nome, specie durante le “cattività babilonesi” del nazismo e del bolscevismo. Non è stato richiesto di adorare altri dèi, né di prostrarsi davanti agli idoli in modo chiaro e diretto. Insomma, il martirio contemporaneo non sta avendo un carattere direttamente religioso, ma si colloca sul medesimo piano su cui si colloca la fede cristiana: nella storia, nella prassi evangelica.
Inoltre, oggi il martirio è diventato sovente anonimo, evento che tocca non solo personaggi cristiani, testimoni eloquenti, ma sovente poveri cristiani quotidiani, «oscuri testimoni della speranza», cui è negata l’epifania della loro testimonianza: per loro solo raramente c’è la possibilità di redigere degli Acta martyrum.
Il martirio rappresenta comunque la realizzazione più perfetta della testimonianza e possiamo ricollocarne la causa nello spazio delle virtù teologali di fede, speranza e carità e, quindi, collegare martirio a testimonianza di Dio e di Cristo! Sì, ieri come oggi, il martirio è “eloquenza della fede” ma anche eloquenza della carità e della fede, gesto capace di interpellare l’uomo di oggi: forse appare meno come cammino di “perfezione individuale” e più come espressione di una martyría ecclesiale, della testimonianza resa da comunità di persone semplici, pronte a morire solo per il desiderio di voler continuare a vivere e pregare come cristiani. Ma questa caratteristica di quotidianità ne potenzia ancor di più la qualità.
Infine, nel martirio di oggi possiamo cogliere anche un aspetto escatologico e apocalittico, perché il martire partecipa con tutto il suo essere ai dolori della fine dei tempi predetti da Gesù: il martire anticipa questa fine per il suo tempo, ed è capace con il suo sacrificio di essere giudizio non solo per il mondo ma anche per i cristiani e per la Chiesa pellegrinante. Sì, il martirio di ieri era per la Chiesa dono, oggi più che mai è anche giudizio: forse proprio per questo la Chiesa a volte fatica ad accogliere un dono così esigente. Il recente massacro di cristiani nella chiesa di Bagdad e lo stillicidio di attentati e di minacce che i discepoli di Cristo subiscono in tante parti del mondo sono la sofferta conferma che da ormai diversi decenni, con la fine della cristianità, stiamo assistendo a un’ondata di martiri quale non si è mai registrata a partire dal IV secolo, che avviene in una grande trasparenza, senza ambiguità del segno, come ricordava già Giovanni Paolo II nella Tertio millennio adveniente: «Il martirio ha di nuovo oggi la sua epifania tramite testimoni eloquenti, conosciuti, ma anche tramite “militi ignoti della grande causa di Dio”. Sì, al termine del secondo millennio la chiesa è diventata nuovamente chiesa di martiri, e la testimonianza resa a Cristo sino allo spargimento del sangue è diventata patrimonio comune di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti… L’ecumenismo dei santi, dei martiri è forse il più convincente. La communio sanctorum parla con voce più alta dei fattori di divisione».Nella storia della Chiesa ci sono stati molti martiri e, di conseguenza, molti paradigmi di martirio, anche se di fatto è stato elaborato un “canone” per il discernimento del martirio e di chi lo ha vissuto. La forma originaria del martirio, ispirata da Stefano nel Nuovo Testamento e poi dagli Acta martyrum delle vittime dell’impero romano, ci ha reso epifanico il cristiano che, come “soldato di Cristo”, muore per il suo Signore, condividendone la passione di fronte al potere politico e alla pólis pagana, fornendo una professione di fede pubblica, restando saldo e paziente durante l’esecuzione capitale.Oggi, se confrontiamo l’esperienza dei martiri contemporanei e quella forma antica, registriamo alcune differenze. Innanzitutto la morte dei cristiani a causa della loro fede (in odium fidei), decretata da tribunali civili è limitata a rari casi: vere e proprie persecuzioni “legali” e sistematiche contro comunità cristiane non sono state sancite, anche se in realtà sono avvenute sotto altro nome, specie durante le “cattività babilonesi” del nazismo e del bolscevismo. Non è stato richiesto di adorare altri dèi, né di prostrarsi davanti agli idoli in modo chiaro e diretto. Insomma, il martirio contemporaneo non sta avendo un carattere direttamente religioso, ma si colloca sul medesimo piano su cui si colloca la fede cristiana: nella storia, nella prassi evangelica.Inoltre, oggi il martirio è diventato sovente anonimo, evento che tocca non solo personaggi cristiani, testimoni eloquenti, ma sovente poveri cristiani quotidiani, «oscuri testimoni della speranza», cui è negata l’epifania della loro testimonianza: per loro solo raramente c’è la possibilità di redigere degli Acta martyrum.Il martirio rappresenta comunque la realizzazione più perfetta della testimonianza e possiamo ricollocarne la causa nello spazio delle virtù teologali di fede, speranza e carità e, quindi, collegare martirio a testimonianza di Dio e di Cristo! Sì, ieri come oggi, il martirio è “eloquenza della fede” ma anche eloquenza della carità e della fede, gesto capace di interpellare l’uomo di oggi: forse appare meno come cammino di “perfezione individuale” e più come espressione di una martyría ecclesiale, della testimonianza resa da comunità di persone semplici, pronte a morire solo per il desiderio di voler continuare a vivere e pregare come cristiani. Ma questa caratteristica di quotidianità ne potenzia ancor di più la qualità.Infine, nel martirio di oggi possiamo cogliere anche un aspetto escatologico e apocalittico, perché il martire partecipa con tutto il suo essere ai dolori della fine dei tempi predetti da Gesù: il martire anticipa questa fine per il suo tempo, ed è capace con il suo sacrificio di essere giudizio non solo per il mondo ma anche per i cristiani e per la Chiesa pellegrinante. Sì, il martirio di ieri era per la Chiesa dono, oggi più che mai è anche giudizio: forse proprio per questo la Chiesa a volte fatica ad accogliere un dono così esigente.

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