È la necessità economica a spingere le donne sulla strada, mentre il racket insiste con le straniere e trova altri canali di reclutamento. Da una ricerca condotta su duemila intervistate risulta che, rispetto al passato, chi parte per l'Italia è cosciente che viene a prostituirsi
Carlo ROSSI
Redazione
Le romene prendono il posto delle albanesi. Rimangono costanti le nigeriane. In generale si abbassano l’età media, il livello di istruzione e le condizioni economiche e sociali di provenienza. Mentre il racket trova nuove strategie e canali di reclutamento. Così cambia il panorama della prostituzione su strada in Lombardia, fotografato dall’Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità, al quale partecipa la Caritas Ambrosiana. La ricerca si basa su un campione di oltre duemila persone, per il 94% donne, incontrate nei primi sei mesi del 2008 da operatori e volontari delle 13 unità di strada del Coordinamento Tratta e prostituzione Caritas della regione Lombardia.
Secondo l’indagine i tre quarti dei soggetti contattati sulla strada proviene dalla Romania, dalla Nigeria e dall’Albania. In particolare salgono al primo posto le rumene (32,3%), quasi dieci volte più numerose rispetto a solo sette anni fa, epoca cui risale il primo seppure parziale rilevamento. Diminuiscono, invece, le albanesi (11,4%) che scivolano al terzo posto. Mentre restano sostanzialmente stabili le nigeriane (30,7%), che sono il secondo gruppo etnico nel mercato del sesso a pagamento esercitato all’aperto.
«I dati del 2008 confermano alcune costanti che riscontriamo da anni – spiega suor Claudia Biondi, responsabile del settore Area di bisogno della Caritas Ambrosiana -: le donne che si prostituiscono sono soprattutto nubili, poco istruite, disoccupate o con lavori precari. Dal che si deduce che è la necessità economica a spingerle sulla strada. Ciò è particolarmente vero per le rumene. Da quel Paese arrivano, infatti, donne più giovani, mediamente di età inferiore ai 24 anni, provenienti da uno stato di privazione materiale e culturale tale che sono “disposte” a vendersi pur di accedere, seppure in minima parte, ai nostri standard di consumo».
Dall’indagine risulta che le donne sono più consapevoli rispetto al passato di venire in Italia per prostituirsi. In particolare per le ragazze dell’Est, la relazione tra loro e i trafficanti si è modificata nel corso degli anni. Se all’inizio era basata sulla minaccia fisica, con il tempo si è progressivamente trasformata in un rapporto negoziale, nel senso che alle donne viene garantito una sorta di stipendio, minima parte dei proventi della loro attività. Ciò non significa che le donne possono esercitare la prostituzione liberamente. Le strade continuano, infatti, a essere lottizzate dal racket che decide chi e quando può lavorare. Ma dalle organizzazioni le ragazze ricevono in cambio, come in una sorta di contratto, protezione e assistenza. Secondo suor Biondi questo spiega anche perché le albanesi che chiedono aiuto per uscire dalla strada sono diminuite e oggi non superano il 6%. Le romene prendono il posto delle albanesi. Rimangono costanti le nigeriane. In generale si abbassano l’età media, il livello di istruzione e le condizioni economiche e sociali di provenienza. Mentre il racket trova nuove strategie e canali di reclutamento. Così cambia il panorama della prostituzione su strada in Lombardia, fotografato dall’Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità, al quale partecipa la Caritas Ambrosiana. La ricerca si basa su un campione di oltre duemila persone, per il 94% donne, incontrate nei primi sei mesi del 2008 da operatori e volontari delle 13 unità di strada del Coordinamento Tratta e prostituzione Caritas della regione Lombardia.Secondo l’indagine i tre quarti dei soggetti contattati sulla strada proviene dalla Romania, dalla Nigeria e dall’Albania. In particolare salgono al primo posto le rumene (32,3%), quasi dieci volte più numerose rispetto a solo sette anni fa, epoca cui risale il primo seppure parziale rilevamento. Diminuiscono, invece, le albanesi (11,4%) che scivolano al terzo posto. Mentre restano sostanzialmente stabili le nigeriane (30,7%), che sono il secondo gruppo etnico nel mercato del sesso a pagamento esercitato all’aperto.«I dati del 2008 confermano alcune costanti che riscontriamo da anni – spiega suor Claudia Biondi, responsabile del settore Area di bisogno della Caritas Ambrosiana -: le donne che si prostituiscono sono soprattutto nubili, poco istruite, disoccupate o con lavori precari. Dal che si deduce che è la necessità economica a spingerle sulla strada. Ciò è particolarmente vero per le rumene. Da quel Paese arrivano, infatti, donne più giovani, mediamente di età inferiore ai 24 anni, provenienti da uno stato di privazione materiale e culturale tale che sono “disposte” a vendersi pur di accedere, seppure in minima parte, ai nostri standard di consumo».Dall’indagine risulta che le donne sono più consapevoli rispetto al passato di venire in Italia per prostituirsi. In particolare per le ragazze dell’Est, la relazione tra loro e i trafficanti si è modificata nel corso degli anni. Se all’inizio era basata sulla minaccia fisica, con il tempo si è progressivamente trasformata in un rapporto negoziale, nel senso che alle donne viene garantito una sorta di stipendio, minima parte dei proventi della loro attività. Ciò non significa che le donne possono esercitare la prostituzione liberamente. Le strade continuano, infatti, a essere lottizzate dal racket che decide chi e quando può lavorare. Ma dalle organizzazioni le ragazze ricevono in cambio, come in una sorta di contratto, protezione e assistenza. Secondo suor Biondi questo spiega anche perché le albanesi che chiedono aiuto per uscire dalla strada sono diminuite e oggi non superano il 6%. L’odissea delle nigeriane Le violenze più atroci colpiscono, invece, le nigeriane, che rappresentano la quasi totalità delle donne di colore che si prostituisce sulle strade della Lombardia. «Sono ragazze molto giovani, pochissimo scolarizzate, provenienti dai villaggi rurali. Spesso raccontano di avere attraversato il deserto a piedi, di essersi imbarcate in Libia e di essere poi finite nei centri di identificazione di Crotone o Lampedusa dove hanno chiesto asilo politico. Ciò ci fa supporre che il racket abbia mutato strategia e stia cercando di sfruttare i percorsi previsti per i rifugiati politici per introdurre nel nostro Paese donne da avviare alla prostituzione. Probabilmente esistono collegamenti tra le organizzazioni che reclutano le donne nelle campagne nigeriane e organizzano il viaggio, e quelle che poi le contattano nei centri di identificazione italiani per poi portarle sulle strade di Milano e delle altre piazze del sesso a pagamento».Sono proprio le condizioni di sopraffazione in cui sono costrette a vivere che spingono queste donne a chiedere la protezione dei volontari che le contattano sulla strada. Non a caso sono nigeriane il 50% circa delle donne ospitate oggi nelle case protette in Lombardia per le donne che decidono di avvalersi del percorso di protezione previsto dall’articolo 18 del Testo Unico sull’immigrazione. Il 46% delle nigeriane ha chiesto aiuto dopo un anno. Il 30% entro tre anni. Quelle che rimangono più a lungo sulla strada sono in genere le più svantaggiate e le meno scolarizzate.Le unità di strada hanno rilevato una sostenuta presenza di prostituzione maschile: poco meno del 5% era un uomo. I prostituti provengono da 16 Paesi, oltre la metà è costituta da romeni, il 16% da egiziani, il 13% da italiani. Hanno per clienti altri uomini ed esercitano in città. La prostituzione maschile per le donne non viene esercitata sulla strada. Capitolo a parte i trans, latinos e italiani. La legge – C’è un articolo nel testo unico sull’immigrazione, il 18, che offre una via d’uscita alle donne costrette a prostituirsi sulla strada. In base a questa norma – elaborata dall’allora ministro alle Politiche sociali Livia Turco durante il primo governo Prodi, e in seguito reintrodotta dal governo Berlusconi nella legge Bossi-Fini -, infatti, le donne straniere trafficate possono ottenere il permesso di soggiorno se accettano un percorso di accompagnamento sociale e denunciano i loro trafficanti. Caritas Ambrosiana, oltre a incontrare le donne per strada, offre loro questa alternativa. Non solo. I suoi operatori gestiscono le strutture di accoglienza, case e appartamenti, per ovvie ragioni, a indirizzo segreto. Grazie a questa rete le ragazze costrette a vendersi per strada hanno trovato una possibilità di tornare libere. Alcune, con i loro racconti, hanno dato pure un contributo importante alle forze dell’ordine nelle indagini sul racket. Quest’anno la raccolta diocesana degli indumenti usati, non a caso intitolata "Non più vittime", sarà destinata a finanziare proprio questo sistema. I vestiti che in tutta la diocesi i cittadini metteranno nei sacchi il 9 maggio saranno avviati al riciclaggio. Con il ricavato di questa operazione saranno finanziati i corsi di italiano e di formazione professionale per le donne che vogliono sottrarsi alla schiavitù. –