Scuola: ragazzi italiani e ragazzi immigrati
di Andrea CASAVECCHIA
Redazione
L’inizio dell’anno scolastico ha immediatamente portato alla luce una grande sfida che il sistema dell’istruzione pubblica ha urgenza di affrontare. Lo si nota osservando la variegata composizione etnica delle classi, specialmente quelle delle elementari e medie inferiori, dove i figli dei cittadini immigrati nel nostro Paese già nell’anno 2007-2008 raggiungevano il 7,7% e il 7,3% dell’intera popolazione scolastica.
Lo ha sottolineato il ministro della Pubblica Istruzione, quando ha annunciato l’introduzione di un limite del 30% per classe degli alunni stranieri, sottolineando la difficoltà di promuovere una reale integrazione in Istituti dove si fatica a vedere la presenza di bambini e ragazzi italiani. L’evidenziazione della questione porta alla luce due fenomeni che andrebbero affrontati per promuovere una scuola capace di rispondere al suo compito in una società multietnica.
In primo luogo, quando si osserva la composizione della demografia delle varie scuole, si rileva spesso una ripartizione disomogenea: ci sono scuole con pochissimi alunni stranieri e altre con percentuali altissime, con classi che arrivano quasi al 100% di presenza di figli di immigrati. Sorge un dubbio e ci si chiede, allora, quale sia la responsabilità dei genitori italiani che iscrivono i figli e dei direttori scolastici che ne favoriscono le scelte. Come se indirettamente essi contribuissero a formare delle scuole di un certo livello a scapito di altre, che invece dovrebbero sobbarcarsi il carico dell’integrazione e affrontare magari dei programmi formativi meno impegnativi.
In secondo luogo, quando si pone una questione come l’integrazione interculturale nella scuola pubblica, occorre tener presente le differenze tra le persone. Nel novero degli alunni stranieri ci sono infatti moltissimi nati in Italia. Le seconde generazioni sempre dai dati dell’anno 2007-2008 raggiungono il 35%. Si apre qui il problema di come considerare queste persone che sono nate nel nostro Paese vivono qui e parlano già da tempo l’italiano con le stesse cadenze, e carenze, dialettali dei nostri concittadini minorenni. Appaiono qui importanti le considerazioni espresse da vari esponenti politici, tra cui il presidente della Camera, per una modifica della Legge 91 del 1992 per estendere la cittadinanza a coloro che nascono su territorio italiano.
Infine sarebbe necessario comprendere quali iniziative possano favorire un’integrazione che favorisca una scuola di mille colori, tenendo presente la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, di cui ricorrono proprio i 20 anni. Nell’articolo 29 vengono indicate le finalità dell’educazione del fanciullo, in particolare ai comma c e d, nei quali si chiede di «sviluppare nel fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali del Paese nel quale vive, del Paese di cui può essere originario e delle civiltà diverse dalla sua; preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali e religiosi e delle persone di origine autoctona». L’inizio dell’anno scolastico ha immediatamente portato alla luce una grande sfida che il sistema dell’istruzione pubblica ha urgenza di affrontare. Lo si nota osservando la variegata composizione etnica delle classi, specialmente quelle delle elementari e medie inferiori, dove i figli dei cittadini immigrati nel nostro Paese già nell’anno 2007-2008 raggiungevano il 7,7% e il 7,3% dell’intera popolazione scolastica.Lo ha sottolineato il ministro della Pubblica Istruzione, quando ha annunciato l’introduzione di un limite del 30% per classe degli alunni stranieri, sottolineando la difficoltà di promuovere una reale integrazione in Istituti dove si fatica a vedere la presenza di bambini e ragazzi italiani. L’evidenziazione della questione porta alla luce due fenomeni che andrebbero affrontati per promuovere una scuola capace di rispondere al suo compito in una società multietnica.In primo luogo, quando si osserva la composizione della demografia delle varie scuole, si rileva spesso una ripartizione disomogenea: ci sono scuole con pochissimi alunni stranieri e altre con percentuali altissime, con classi che arrivano quasi al 100% di presenza di figli di immigrati. Sorge un dubbio e ci si chiede, allora, quale sia la responsabilità dei genitori italiani che iscrivono i figli e dei direttori scolastici che ne favoriscono le scelte. Come se indirettamente essi contribuissero a formare delle scuole di un certo livello a scapito di altre, che invece dovrebbero sobbarcarsi il carico dell’integrazione e affrontare magari dei programmi formativi meno impegnativi.In secondo luogo, quando si pone una questione come l’integrazione interculturale nella scuola pubblica, occorre tener presente le differenze tra le persone. Nel novero degli alunni stranieri ci sono infatti moltissimi nati in Italia. Le seconde generazioni sempre dai dati dell’anno 2007-2008 raggiungono il 35%. Si apre qui il problema di come considerare queste persone che sono nate nel nostro Paese vivono qui e parlano già da tempo l’italiano con le stesse cadenze, e carenze, dialettali dei nostri concittadini minorenni. Appaiono qui importanti le considerazioni espresse da vari esponenti politici, tra cui il presidente della Camera, per una modifica della Legge 91 del 1992 per estendere la cittadinanza a coloro che nascono su territorio italiano.Infine sarebbe necessario comprendere quali iniziative possano favorire un’integrazione che favorisca una scuola di mille colori, tenendo presente la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, di cui ricorrono proprio i 20 anni. Nell’articolo 29 vengono indicate le finalità dell’educazione del fanciullo, in particolare ai comma c e d, nei quali si chiede di «sviluppare nel fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali del Paese nel quale vive, del Paese di cui può essere originario e delle civiltà diverse dalla sua; preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali e religiosi e delle persone di origine autoctona».