Monsignor Gianni Ambrosio, rappresentante italiano nella Comece: «L'Unione merita di essere sostenuta per i popoli e i cittadini europei. Occorre una strategia dei cristiani per lavorare insieme e per far valere un progetto ispirato dalla dottrina sociale della Chiesa»
Pino NARDI
Redazione
«L’idea che guida la Comece per la prossime elezioni è questa: fare dell’Europa la nostra casa, anzi cercare di costruire insieme una migliore casa europea. Questa immagine è di Giovanni Paolo II, strenuo sostenitore dell’unità europea. Molto è stato fatto per la costruzione di questa casa comune: sarebbe assurdo non riconoscerlo e colpevole lasciare andare in rovina ciò che è stato realizzato finora. Occorre però dare un’anima a questa Unione, che consiste nella dignità della persona umana secondo la visione cristiana-umanista e nel rispetto delle varie tradizioni culturali che costituiscono il continente europeo». Lo sostiene monsignor Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio, che rappresenta l’episcopato italiano nella Comece. E in questa intervista dice con chiarezza l’importanza della tornata elettorale per il futuro del continente.
Perché la Chiesa segue con attenzione il cammino dell’Europa?
Fin dall’inizio furono alcuni politici cattolici a pensare e a realizzare la comunità europea, il francese Robert Schuman, l’italiano Alcide De Gasperi e il tedesco Konrad Adenauer. Da subito il cammino europeo è stato seguito con grande attenzione dalla Chiesa cattolica, anche per promuovere la realizzazione della pace tra i popoli europei. L’attenzione è poi proseguita e si è estesa ai diversi ambiti della politica europea. Molte decisioni legislative provengono dalle varie istituzioni europee. La Comece ha come obiettivi l’analisi del processo politico dell’Ue e della legislazione europea nei suoi diversi risvolti, soprattutto rispetto alla visione di uomo e di società e ai problemi che concernono le comunità ecclesiali.
Rispetto al progetto dei fondatori che valutazione dare oggi all’Ue?
Non intendo addentrarmi in una valutazione politica, non è di mia pertinenza, ma ricordo solo due fatti che possono aiutarci a comprendere. Il progetto di unificazione nasce dopo il secondo conflitto mondiale, costato 60 milioni di vite umane, con 6 milioni di ebrei sterminati dai nazisti. Il secondo fatto è la caduta del Muro di Berlino: sono passati esattamente 20 anni. Non solo in Europa è stata garantita la pace, ma è avvenuta anche la fine della divisione del continente senza alcuna guerra. Ciò che era stato deciso a Yalta sembrava intoccabile, immodificabile. Invece, grazie anche a Giovanni Paolo II che ha sostenuto con forza il cammino di unificazione europea, l’ingiusta spartizione dell’Europa è stata cancellata. Così i due polmoni (Occidente e Oriente) possono respirare insieme. Ora l’Ue conta circa mezzo miliardo di cittadini e 27 Stati membri.
Allora guardiamo al futuro: quale previsione si può fare?
Con la firma dei vari Trattati, necessari per camminare insieme sulla via della pace e dello sviluppo, si è forse pensato che anche l’unificazione culturale e politica avvenisse quasi automaticamente. Invece solo nel 1993, con il Trattato di Maastricht, l’Ue intende sviluppare di più l’unità politica, correndo però il grande rischio di delegare la politica a commissioni, a commissari, a funzionari. Quindi l’incertezza dell’inizio continua, anche se molti passi sono stati fatti. Ma non dimentichiamo che già all’inizio i fondatori non volevano una Europa delle banche e della finanza, ma dei popoli. Credo che le istituzioni europee, quelle dei vari Paesi membri e i media, non abbiano aiutato l’opinione pubblica a superare le paure, a vincere le resistenze, ad allontanare le diffidenze. Oggi il rischio di una certa paralisi esiste.
In un contesto così come vede l’impegno dei credenti?
Occorre una strategia dei cristiani europei per lavorare insieme e per far valere senza timori un progetto europeo ispirato dalla dottrina sociale della Chiesa. Per questo occorre una forza morale assai più grande, capace di contrastare i troppi ripiegamenti su di sé. Anche la recente crisi finanziaria attesta che la dimensione morale appare troppo trascurata: l’attività economica e finanziaria non può sostenersi nel vuoto etico e giuridico. Occorre poi una strategia dei cristiani europei in vista di una Ue che riconosca e pratichi il principio di sussidiarietà. Difficilmente sarà considerata come la casa degli europei se nei vari organismi dell’Ue non si afferma il primato della società civile. Senza questo primato, da rispettare e da far valere, vi è il rischio che le popolazioni europee vedano il Parlamento europeo come una sorta di superparlamento che si pronuncia in continuazione su tutto, nell’intento di forzare le società civili, assai diverse tra loro, per appiattirle ed omologarle. Allora il futuro dell’Ue risulterà non solo incerto, ma fortemente a rischio.
Infatti c’è un vento di indifferenza e anche di ostilità verso l’Ue. L’Europa è ancora una speranza?
Il processo di integrazione europea merita di essere apprezzato, nonostante le lacune che sono evidenti. Sì, ritengo che l’Ue meriti di essere sostenuta come progetto di speranza per i popoli e i cittadini europei. Occorre favorire sia il ricupero dell’identità fondativa sia la convivenza delle diverse tradizioni culturali. Senza questo impegno, si offre l’impressione che l’Europa sia in mano ai tecnocrati e ai burocrati: anche solo l’impressione è già di per se molto negativa. Se l’entusiasmo per l’Ue è diminuito, non per questo deve venir meno la concretezza della ragione e della volontà per ridarle slancio, specialmente da parte di un Paese come l’Italia che è tra i soci fondatori. Dobbiamo reagire all’idea che l’Europa stia perdendo fiducia nel proprio avvenire. «L’idea che guida la Comece per la prossime elezioni è questa: fare dell’Europa la nostra casa, anzi cercare di costruire insieme una migliore casa europea. Questa immagine è di Giovanni Paolo II, strenuo sostenitore dell’unità europea. Molto è stato fatto per la costruzione di questa casa comune: sarebbe assurdo non riconoscerlo e colpevole lasciare andare in rovina ciò che è stato realizzato finora. Occorre però dare un’anima a questa Unione, che consiste nella dignità della persona umana secondo la visione cristiana-umanista e nel rispetto delle varie tradizioni culturali che costituiscono il continente europeo». Lo sostiene monsignor Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio, che rappresenta l’episcopato italiano nella Comece. E in questa intervista dice con chiarezza l’importanza della tornata elettorale per il futuro del continente.Perché la Chiesa segue con attenzione il cammino dell’Europa?Fin dall’inizio furono alcuni politici cattolici a pensare e a realizzare la comunità europea, il francese Robert Schuman, l’italiano Alcide De Gasperi e il tedesco Konrad Adenauer. Da subito il cammino europeo è stato seguito con grande attenzione dalla Chiesa cattolica, anche per promuovere la realizzazione della pace tra i popoli europei. L’attenzione è poi proseguita e si è estesa ai diversi ambiti della politica europea. Molte decisioni legislative provengono dalle varie istituzioni europee. La Comece ha come obiettivi l’analisi del processo politico dell’Ue e della legislazione europea nei suoi diversi risvolti, soprattutto rispetto alla visione di uomo e di società e ai problemi che concernono le comunità ecclesiali.Rispetto al progetto dei fondatori che valutazione dare oggi all’Ue?Non intendo addentrarmi in una valutazione politica, non è di mia pertinenza, ma ricordo solo due fatti che possono aiutarci a comprendere. Il progetto di unificazione nasce dopo il secondo conflitto mondiale, costato 60 milioni di vite umane, con 6 milioni di ebrei sterminati dai nazisti. Il secondo fatto è la caduta del Muro di Berlino: sono passati esattamente 20 anni. Non solo in Europa è stata garantita la pace, ma è avvenuta anche la fine della divisione del continente senza alcuna guerra. Ciò che era stato deciso a Yalta sembrava intoccabile, immodificabile. Invece, grazie anche a Giovanni Paolo II che ha sostenuto con forza il cammino di unificazione europea, l’ingiusta spartizione dell’Europa è stata cancellata. Così i due polmoni (Occidente e Oriente) possono respirare insieme. Ora l’Ue conta circa mezzo miliardo di cittadini e 27 Stati membri.Allora guardiamo al futuro: quale previsione si può fare?Con la firma dei vari Trattati, necessari per camminare insieme sulla via della pace e dello sviluppo, si è forse pensato che anche l’unificazione culturale e politica avvenisse quasi automaticamente. Invece solo nel 1993, con il Trattato di Maastricht, l’Ue intende sviluppare di più l’unità politica, correndo però il grande rischio di delegare la politica a commissioni, a commissari, a funzionari. Quindi l’incertezza dell’inizio continua, anche se molti passi sono stati fatti. Ma non dimentichiamo che già all’inizio i fondatori non volevano una Europa delle banche e della finanza, ma dei popoli. Credo che le istituzioni europee, quelle dei vari Paesi membri e i media, non abbiano aiutato l’opinione pubblica a superare le paure, a vincere le resistenze, ad allontanare le diffidenze. Oggi il rischio di una certa paralisi esiste.In un contesto così come vede l’impegno dei credenti?Occorre una strategia dei cristiani europei per lavorare insieme e per far valere senza timori un progetto europeo ispirato dalla dottrina sociale della Chiesa. Per questo occorre una forza morale assai più grande, capace di contrastare i troppi ripiegamenti su di sé. Anche la recente crisi finanziaria attesta che la dimensione morale appare troppo trascurata: l’attività economica e finanziaria non può sostenersi nel vuoto etico e giuridico. Occorre poi una strategia dei cristiani europei in vista di una Ue che riconosca e pratichi il principio di sussidiarietà. Difficilmente sarà considerata come la casa degli europei se nei vari organismi dell’Ue non si afferma il primato della società civile. Senza questo primato, da rispettare e da far valere, vi è il rischio che le popolazioni europee vedano il Parlamento europeo come una sorta di superparlamento che si pronuncia in continuazione su tutto, nell’intento di forzare le società civili, assai diverse tra loro, per appiattirle ed omologarle. Allora il futuro dell’Ue risulterà non solo incerto, ma fortemente a rischio.Infatti c’è un vento di indifferenza e anche di ostilità verso l’Ue. L’Europa è ancora una speranza?Il processo di integrazione europea merita di essere apprezzato, nonostante le lacune che sono evidenti. Sì, ritengo che l’Ue meriti di essere sostenuta come progetto di speranza per i popoli e i cittadini europei. Occorre favorire sia il ricupero dell’identità fondativa sia la convivenza delle diverse tradizioni culturali. Senza questo impegno, si offre l’impressione che l’Europa sia in mano ai tecnocrati e ai burocrati: anche solo l’impressione è già di per se molto negativa. Se l’entusiasmo per l’Ue è diminuito, non per questo deve venir meno la concretezza della ragione e della volontà per ridarle slancio, specialmente da parte di un Paese come l’Italia che è tra i soci fondatori. Dobbiamo reagire all’idea che l’Europa stia perdendo fiducia nel proprio avvenire.