Un quadro frammentato, con maggioranza relativa al Kadima di Tzipi Livni e la destra conservatrice e radicale che forma virtualmente una coalizione autosufficiente, ma di scarsa compattezza.�Difficile formare�un governo di unità nazionale

Daniele ROCCHI
Redazione

«Un sistema politico bloccato, polarizzato, in cui manca una leadership capace di sintesi complessiva». Secondo Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente, è questo il quadro politico israeliano dopo il voto del 10 febbraio, che ha visto l’affermazione della destra con il Likud e una tenuta del centrosinistra con Kadima di Tzipi Livni partito di maggioranza relativa.
I risultati definitivi hanno assegnato a Kadima 28 seggi, contro i 27 del Likud capeggiato da Netanyahu e i 15 di Israel Beitenu, formazione della destra radicale laica di Avi Lieberman, che scalza al terzo posto i laburisti di Ehud Barak (13 seggi, un vero e proprio tracollo) insieme alla sinistra sionista Meretz (3 seggi). A completare il quadro gli 11 deputati della destra religiosa Shas, seguiti a distanza dalle altre formazioni religiose fino alle liste arabe, che racimolano in totale 7 seggi.
«La Livni – spiega Cingoli – ha saputo far passare il messaggio che l’unico voto utile era quello su di lei, la sola che poteva contrastare e battere, come poi è avvenuto, il Likud di Netanyahu e quindi ha risucchiato voti al Labour e al Meretz». Tuttavia, in termini di coalizione, «Netanyahu parte più forte, perché i risultati gli danno una maggioranza di 64/65 seggi». Una maggioranza difficile da tenere compatta, poiché «il partito sefardita religioso, Shas, ha già detto che ogni voto dato al partito di Lieberman è un voto dato al diavolo. Lieberman di contro, con i numeri raggiunti, può avere una chiave di controllo di questa virtuale coalizione di destra, senza dimenticare che una metà circa del Likud è composto da elementi di estrema destra. Tutto questo mentre gli Usa aprono a Siria e Iran. Netanyahu, che ben conosce il peso dell’alleanza con gli Usa, è per questo preoccupato». Una grande incertezza, dunque, in cui «l’unico elemento possibile è quello dell’iniziativa degli Usa e internazionale che tuttavia non si potrà sostituire alle parti politiche». «Un sistema politico bloccato, polarizzato, in cui manca una leadership capace di sintesi complessiva». Secondo Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente, è questo il quadro politico israeliano dopo il voto del 10 febbraio, che ha visto l’affermazione della destra con il Likud e una tenuta del centrosinistra con Kadima di Tzipi Livni partito di maggioranza relativa.I risultati definitivi hanno assegnato a Kadima 28 seggi, contro i 27 del Likud capeggiato da Netanyahu e i 15 di Israel Beitenu, formazione della destra radicale laica di Avi Lieberman, che scalza al terzo posto i laburisti di Ehud Barak (13 seggi, un vero e proprio tracollo) insieme alla sinistra sionista Meretz (3 seggi). A completare il quadro gli 11 deputati della destra religiosa Shas, seguiti a distanza dalle altre formazioni religiose fino alle liste arabe, che racimolano in totale 7 seggi.«La Livni – spiega Cingoli – ha saputo far passare il messaggio che l’unico voto utile era quello su di lei, la sola che poteva contrastare e battere, come poi è avvenuto, il Likud di Netanyahu e quindi ha risucchiato voti al Labour e al Meretz». Tuttavia, in termini di coalizione, «Netanyahu parte più forte, perché i risultati gli danno una maggioranza di 64/65 seggi». Una maggioranza difficile da tenere compatta, poiché «il partito sefardita religioso, Shas, ha già detto che ogni voto dato al partito di Lieberman è un voto dato al diavolo. Lieberman di contro, con i numeri raggiunti, può avere una chiave di controllo di questa virtuale coalizione di destra, senza dimenticare che una metà circa del Likud è composto da elementi di estrema destra. Tutto questo mentre gli Usa aprono a Siria e Iran. Netanyahu, che ben conosce il peso dell’alleanza con gli Usa, è per questo preoccupato». Una grande incertezza, dunque, in cui «l’unico elemento possibile è quello dell’iniziativa degli Usa e internazionale che tuttavia non si potrà sostituire alle parti politiche». Problemi aggravati Parla di «voto che ha frammentato il quadro politico e aggravato i problemi», Riccardo Redaelli, direttore del programma Medio Oriente del Landau Network-Centro Volta. «Ciò che colpisce – dichiara – è la caduta dei laburisti, con lo spostamento a destra di tutto l’asse, vista la crescita del Likud con il suo leader Netanyahu fortemente populista e l’affermazione della destra radicale laica di Avi Lieberman».Questo spostamento politico verso destra si spiega anche «con una maggiore accentuazione delle tematiche di sicurezza che enfatizza la percezione di isolamento e di paura che spinge tradizionalmente la politica israeliana a puntare sulla forza per la difesa della sicurezza rendendo problematico ogni discorso di dialogo e di accordo». In questo senso la guerra di Gaza è stata, per alcuni analisti, «cinicamente elettorale» in quanto, per Redaelli, «la Livni aveva bisogno di mostrare di essere dura con i palestinesi e quindi di essere un’alternativa credibile a Netanyahu. E che sia stata dura non c’è dubbio».«Lieberman, dal canto suo, ha avuto un grande successo, ma non so se sia politicamente spendibile – aggiunge Redaelli -. Mi sembra una forza imbarazzante anche per Netanyahu. Le indicazioni portano a un governo di unità nazionale che non è facile da fare, vista la distanza tra Livni e Netanyahu. Si rischia una paralisi. Un governo di destra estrema sarebbe imbarazzante per Israele, poiché metterebbe in difficoltà i Paesi arabi moderati e anche Obama». Il punto di vista palestinese «Il nostro problema è l’occupazione. Per noi non cambierà niente. Abbiamo visto tanti leader politici alternarsi al governo dello Stato ebraico, da Ben Gurion a oggi, e per i palestinesi le cose non sono cambiate, anzi sono peggiorate». Mostra disincanto padre Manuel Musallam, parroco di Gaza, davanti ai risultati del voto: «Cosa ha fatto Olmert? Cosa ha fatto Sharon? Cosa ha fatto Netanyahu? Cosa ha fatto Peres? Da tutti sempre la stessa spirale di forza. Non c’è stato nessuno che ha cercato seriamente di fare la pace con i palestinesi. Ogni volta che si vedono al potere persone più estremiste o fanatiche, queste distruggono tutto, come è accaduto a Gaza. Ora chi pagherà per tutta la distruzione e morte nella Striscia? Intorno a noi tutto cambia meno che la Palestina. Cosa dovremmo mai aspettarci adesso?».Per il sociologo palestinese Bernard Sabella, docente all’Università di Betlemme, «questa svolta a destra non farà altro che emarginare ancor più la componente araba della popolazione israeliana. È importante – sostiene – che il centro lavori insieme alle sinistre e alle liste arabe per sfidare la destra e la sua visione di Stato». Infatti «le destre rafforzeranno la presenza ebraica in Cisgiordania e Gerusalemme Est, quindi più colonie nei territori palestinesi, negando di fatto la creazione di uno Stato palestinese. Il rischio – conclude – è di avere davanti altri quattro anni di negoziati inutili».

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