Parla monsignor Giovanni Barbareschi, protagonista della Resistenza come cappellano delle Fiamme Verdi e componente del gruppo de "Il Ribelle" e dell'Oscar
Silvio MENGOTTO
Redazione
Monsignor Giovanni Barbareschi, classe 1922, è sacerdote della diocesi di Milano, partecipò alla Resistenza come cappellano delle Fiamme Verdi e alla diffusione del giornale Il Ribelle: tra il 1944 e 1945 uscirono 26 numeri, la tiratura era di 15 mila copie. Fu tra i fondatori del gruppo Oscar (Opera scoutistica cattolica aiuto ricercati) con il quale si organizzarono più di duemila espatri clandestini e si stamparono oltre tremila documenti falsi.
Come è stata la sua adolescenza?
Tormentata, ma anche tutta un’avventura alla ricerca della verità e della libertà. Riflettendo mi sono accorto che non cercavo la verità, volevo conquistarla, possederla, farla mia, volevo che fosse la conclusione di un mio ragionamento. Cercavo l’evidenza e invece la verità è e sarà sempre un mistero. L’evidenza rimarrà sempre alla superficie della verità. Più tardi mi sono incontrato con quella frase di San Paolo nella lettera ai Galati: «In libertate vocati estis», ogni uomo è chiamato a realizzare la sua libertà. Mi sono innamorato della libertà: è stata la parola di Dio a me, il volto che Dio mi ha rivelato. Mi sono convinto che la distinzione tra atei e credenti è culturale. La terminologia più universale e umana è quella che troviamo nella Bibbia: uomo schiavo o uomo libero. Ho raggiunto la certezza che il primo atto di fede che l’essere umano deve compiere non è in Dio, ma è nella sua libertà, nella sua capacità di diventare una persona libera.
Perché atto di fede?
Atto di fede, perché la libertà della persona non si può dimostrare. La mia libertà è una piccola isola in un oceano di condizionamenti, ma io – e con me ogni uomo – posso nascere come persona libera solo in quella piccola isola. Quando mi sono venuto a trovare in una situazione storica in cui la libertà era negata, le persone venivano imprigionate e perseguitate per la loro appartenenza a una razza o per le loro idee, è stato logico per me mettermi dalla parte di coloro che difendevano la libertà, la mia e quella di ogni uomo. Con alcuni amici ci siamo ribellati a questa situazione. In una prima fase ci siamo preoccupati di salvare militari italiani che non volevano aderire alla Repubblica di Salò, militari inglesi e americani fuggiti dai campi di concentramento. In una seconda fase ci siamo preoccupati di salvare ebrei ricercati solo perché ebrei. Salvare comprendeva il procurare loro documenti falsi e aiutare la loro fuga in territorio svizzero.
La società che sognavate è quella di oggi?
No. Oggi sembra che fare politica sia prevalentemente nell’interesse personale, dei propri amici e non nell’interesse del bene comune. Oggi è assordante il silenzio dei quadri dirigenti del mondo cattolico. Al modo attuale di intendere e di fare politica dobbiamo avere il coraggio di ribellarci. Mi sembra fondamentale una domanda: ci siamo liberati o piuttosto abbiamo abbattuto un faraone e abbiamo assistito alla comparsa di altri faraoni? Perché il fascismo non è solo una dottrina o un partito, una camicia nera o un saluto romano. Il fascismo è un modo di vivere nel quale ci si arrende e ci si piega per amore di un quieto vivere o di una carriera. Il fascismo è una mentalità nella quale la verità non è amata e servita perché verità, ma è falsata, ridotta, tradita, resa strumento per i propri fini personali o del proprio gruppo o partito. È una mentalità nella quale teniamo più all’apparenza che all’essere, amiamo ripetere frasi imparate a memoria, non personalmente assimilate, e gridarle tutti insieme, quasi volendo sostituire l’appoggio del mancato giudizio critico con l’emotività di un’adesione psicologica e fanatica. A fare di noi persone libere non saranno mai gli altri, non le strutture e neppure le ideologie. Il motto stampato sul giornale era: «Non esistono liberatori, ma uomini che si liberano».
Cosa direbbe ai giovani oggi?
Continuando il discorso delle Beatitudini: “Beato colui che sa resistere”. Anche se resistere oggi è più difficile perché non siamo di fronte a mitra puntati, ma coinvolti in un clima di subdola persuasione, di fascinosa imposizione mediatica, che è come una mano rivestita di un guanto di velluto, ma che lo stesso tende a toglierti la libertà. Questo invito a una resistenza è rivolto ai giovani, a chi crede possibile e vuole diventare un uomo libero, senza trovare nelle difficili situazioni esterne il rifugio o la scusa alla propria pigrizia. Termino con le parole della preghiera di noi ribelli per amore: “Dio che sei verità e libertà, facci liberi e intensi: alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà. Quanto più s’addensa e incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti. Ascolta la preghiera di noi ribelli per amore”. Monsignor Giovanni Barbareschi, classe 1922, è sacerdote della diocesi di Milano, partecipò alla Resistenza come cappellano delle Fiamme Verdi e alla diffusione del giornale Il Ribelle: tra il 1944 e 1945 uscirono 26 numeri, la tiratura era di 15 mila copie. Fu tra i fondatori del gruppo Oscar (Opera scoutistica cattolica aiuto ricercati) con il quale si organizzarono più di duemila espatri clandestini e si stamparono oltre tremila documenti falsi.Come è stata la sua adolescenza?Tormentata, ma anche tutta un’avventura alla ricerca della verità e della libertà. Riflettendo mi sono accorto che non cercavo la verità, volevo conquistarla, possederla, farla mia, volevo che fosse la conclusione di un mio ragionamento. Cercavo l’evidenza e invece la verità è e sarà sempre un mistero. L’evidenza rimarrà sempre alla superficie della verità. Più tardi mi sono incontrato con quella frase di San Paolo nella lettera ai Galati: «In libertate vocati estis», ogni uomo è chiamato a realizzare la sua libertà. Mi sono innamorato della libertà: è stata la parola di Dio a me, il volto che Dio mi ha rivelato. Mi sono convinto che la distinzione tra atei e credenti è culturale. La terminologia più universale e umana è quella che troviamo nella Bibbia: uomo schiavo o uomo libero. Ho raggiunto la certezza che il primo atto di fede che l’essere umano deve compiere non è in Dio, ma è nella sua libertà, nella sua capacità di diventare una persona libera.Perché atto di fede?Atto di fede, perché la libertà della persona non si può dimostrare. La mia libertà è una piccola isola in un oceano di condizionamenti, ma io – e con me ogni uomo – posso nascere come persona libera solo in quella piccola isola. Quando mi sono venuto a trovare in una situazione storica in cui la libertà era negata, le persone venivano imprigionate e perseguitate per la loro appartenenza a una razza o per le loro idee, è stato logico per me mettermi dalla parte di coloro che difendevano la libertà, la mia e quella di ogni uomo. Con alcuni amici ci siamo ribellati a questa situazione. In una prima fase ci siamo preoccupati di salvare militari italiani che non volevano aderire alla Repubblica di Salò, militari inglesi e americani fuggiti dai campi di concentramento. In una seconda fase ci siamo preoccupati di salvare ebrei ricercati solo perché ebrei. Salvare comprendeva il procurare loro documenti falsi e aiutare la loro fuga in territorio svizzero.La società che sognavate è quella di oggi?No. Oggi sembra che fare politica sia prevalentemente nell’interesse personale, dei propri amici e non nell’interesse del bene comune. Oggi è assordante il silenzio dei quadri dirigenti del mondo cattolico. Al modo attuale di intendere e di fare politica dobbiamo avere il coraggio di ribellarci. Mi sembra fondamentale una domanda: ci siamo liberati o piuttosto abbiamo abbattuto un faraone e abbiamo assistito alla comparsa di altri faraoni? Perché il fascismo non è solo una dottrina o un partito, una camicia nera o un saluto romano. Il fascismo è un modo di vivere nel quale ci si arrende e ci si piega per amore di un quieto vivere o di una carriera. Il fascismo è una mentalità nella quale la verità non è amata e servita perché verità, ma è falsata, ridotta, tradita, resa strumento per i propri fini personali o del proprio gruppo o partito. È una mentalità nella quale teniamo più all’apparenza che all’essere, amiamo ripetere frasi imparate a memoria, non personalmente assimilate, e gridarle tutti insieme, quasi volendo sostituire l’appoggio del mancato giudizio critico con l’emotività di un’adesione psicologica e fanatica. A fare di noi persone libere non saranno mai gli altri, non le strutture e neppure le ideologie. Il motto stampato sul giornale era: «Non esistono liberatori, ma uomini che si liberano».Cosa direbbe ai giovani oggi?Continuando il discorso delle Beatitudini: “Beato colui che sa resistere”. Anche se resistere oggi è più difficile perché non siamo di fronte a mitra puntati, ma coinvolti in un clima di subdola persuasione, di fascinosa imposizione mediatica, che è come una mano rivestita di un guanto di velluto, ma che lo stesso tende a toglierti la libertà. Questo invito a una resistenza è rivolto ai giovani, a chi crede possibile e vuole diventare un uomo libero, senza trovare nelle difficili situazioni esterne il rifugio o la scusa alla propria pigrizia. Termino con le parole della preghiera di noi ribelli per amore: “Dio che sei verità e libertà, facci liberi e intensi: alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà. Quanto più s’addensa e incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti. Ascolta la preghiera di noi ribelli per amore”.