In vista delle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo, da che parte stanno i cristiani? Con l'Ue integrata, solidale e aperta auspicata da Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo II fino a Benedetto XVI, oppure con i detrattori? «I credenti dovrebbero affermare il loro coinvolgimento e portare senza vergogna il loro contributo all'interno delle opportunità democratiche disponibili»

Gianni BORSA
Redazione

Mancano poco meno di due settimane al voto per il rinnovo del Palamento europeo, occasione importante per riflettere sul futuro dell’Ue. La costruzione della casa comune europea procede secondo il disegno dei padri fondatori? Questo progetto sta mantenendo il fascino e, soprattutto, le promesse (pace, democrazia, sviluppo, difesa dei diritti e delle libertà fondamentali) che erano all’origine del percorso di integrazione nel secondo dopoguerra?
Le risposte si differenziano, ovviamente, a secondo dei punti di vista dai quali si giudica l’Ue di oggi, così come il cammino compiuto a livello comunitario nell’ultimo mezzo secolo. Allo stesso modo ci si orienta rispetto al futuro dell’Europa dei 27, confermando posizioni euroentusiaste da una parte ed euroscettiche dall’altra, con una vasta gamma di gradazioni comprese fra i due poli estremi.
Ma i cristiani da che parte stanno? Con l’Europa integrata, solidale e aperta auspicata da Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo II fino a Benedetto XVI, oppure preferiscono schierarsi dalla parte dei detrattori dell’Ue? L’edificio comunitario è una realizzazione politica: dai più ritenuta essenziale e irrinunciabile nell’era globale, ma di certo migliorabile, sotto vari punti di vista. L’Europa non è un dogma; semmai una necessità. All’interno delle sue istituzioni si affrontano mille problemi concreti che riguardano i cittadini Ue e si cerca di operare anche oltre le frontiere comuni: basti citare i temi dell’energia, delle migrazioni, dei cambiamenti climatici, della recessione economica, della sicurezza e della pace… Mancano poco meno di due settimane al voto per il rinnovo del Palamento europeo, occasione importante per riflettere sul futuro dell’Ue. La costruzione della casa comune europea procede secondo il disegno dei padri fondatori? Questo progetto sta mantenendo il fascino e, soprattutto, le promesse (pace, democrazia, sviluppo, difesa dei diritti e delle libertà fondamentali) che erano all’origine del percorso di integrazione nel secondo dopoguerra?Le risposte si differenziano, ovviamente, a secondo dei punti di vista dai quali si giudica l’Ue di oggi, così come il cammino compiuto a livello comunitario nell’ultimo mezzo secolo. Allo stesso modo ci si orienta rispetto al futuro dell’Europa dei 27, confermando posizioni euroentusiaste da una parte ed euroscettiche dall’altra, con una vasta gamma di gradazioni comprese fra i due poli estremi.Ma i cristiani da che parte stanno? Con l’Europa integrata, solidale e aperta auspicata da Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo II fino a Benedetto XVI, oppure preferiscono schierarsi dalla parte dei detrattori dell’Ue? L’edificio comunitario è una realizzazione politica: dai più ritenuta essenziale e irrinunciabile nell’era globale, ma di certo migliorabile, sotto vari punti di vista. L’Europa non è un dogma; semmai una necessità. All’interno delle sue istituzioni si affrontano mille problemi concreti che riguardano i cittadini Ue e si cerca di operare anche oltre le frontiere comuni: basti citare i temi dell’energia, delle migrazioni, dei cambiamenti climatici, della recessione economica, della sicurezza e della pace… Necessario un passo avanti Tali politiche (leggi, progetti, stanziamenti di bilancio, azioni “sul campo”) appaiono talvolta ispirate da valori alti e da propositi assolutamente condivisibili; in altri casi sembrano marciare nella direzione di un positivismo senza anima, di un economicismo senza cuore e di un relativismo senza radici. «Ma non si faranno svanire tali tendenze ignorandole o semplicemente criticandole dall’esterno. C’è bisogno di un impegno critico dall’interno». Il suggerimento viene da monsignor Diarmuid Martin, arcivescovo di Dublino, in una riflessione tenuta nel marzo scorso in relazione al futuro referendum che l’Irlanda dovrà affrontare per ratificare il Trattato di Lisbona, cui l’isola verde aveva detto no nel giugno 2008.Il messaggio di Martin appare come una delle interpretazioni più coerenti della Ecclesia in Europa, documento magisteriale firmato da Karol Wojtyla nel 2003 e dei successivi interventi dello stesso Papa e del suo successore. «I cristiani dovrebbero affermare il loro coinvolgimento nell’Europa e portare senza vergogna il loro contributo all’interno delle opportunità democratiche disponibili». Il vescovo di Dublino aggiunge: «Dal canto suo un’Europa veramente pluralista non dovrebbe sentirsi minacciata dal messaggio cristiano, che è un messaggio su un Dio che ama, un messaggio capace di illuminare e arricchire il progetto europeo».Allo stesso modo Giovanni Paolo II aveva affermato (Ecclesia in Europa, n. 117) la necessità dell’«apporto di comunità credenti» e «della presenza di cristiani adeguatamente formati e competenti» per concorrere alla costruzione europea. Monsignor Martin, non trascurando il mancato riferimento dell’eredità cristiana nello stesso Trattato di Lisbona, specifica: «Nell’attuale situazione il modo migliore di opporsi a coloro che minimizzerebbero il significato del contributo cristiano all’Europa non sia lamentarsi o gridare per l’assenza di questo riferimento, ma testimoniare il significato per l’Europa odierna di quei valori perenni che sono sempre stati alla radice del contributo cristiano».L’Ue del futuro ha dunque bisogno di un passo avanti dei cristiani, non certo di un loro passo indietro. – La mappa dell’emicicloAc: partecipare è scegliereComece: diritto e responsabilità«L’Europa è ancora una speranza»Caritas, uno sguardo “sociale” sull’EuropaFaccia a Faccia con l’Europa –

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