Dal Word Water Forum svoltosi nei giorni scorsi a Istanbul, nella discussione tra opposte ideologie non è scaturita alcuna sintesi, né una posizione maggioritaria
Riccardo MORO
Redazione
La “questione acqua” è estremamente delicata, e a ragione viene considerata una delle emergenze del pianeta, dato che ancora oggi un miliardo e cento milioni di persone non hanno accesso facile all’acqua potabile. Di fronte a tale situazione, tuttavia, si risponde in modo disordinato e scoordinato, senza disporre di strumenti efficaci per programmare interventi che consentano di gestire la risorsa acqua in modo adeguato. Né fa eccezione il quinto World Water Forum che si è tenuto a Istanbul (Turchia) dal 16 al 22 marzo, promosso da soggetti diversi proprio per parlare di tali problematiche: si tratta però di un meeting, e non di un’istituzione capace di prendere posizione in merito.
Eppure, sono molteplici gli ambiti interessati da tale questione. Se da un lato vi è l’esigenza di rendere universale e facile l’accesso all’acqua potabile, d’altra parte non si può ignorare la gestione delle acque sporche, ossia di servizi igienici e fogne. Si calcola che 2 miliardi e 600 milioni di persone non dispongano di servizi igienici, né fognari, con gravi conseguenze sulle condizioni salute: si rischia di bere acque sporche e tuttora, nel Sud del modo, la diarrea, causata dall’utilizzo di acqua non pulita, è la principale causa di morte.
Ancora, la “questione acqua” richiama la gestione dei bacini per l’irrigazione e la produzione di energia, come pure l’impatto ambientale: talora la scelta di costruire dighe di grandi dimensioni, ad esempio, ha conseguenze ambientali tutt’altro che indifferenti e comporta modifiche climatiche. È evidente, perciò, che tale problema va affrontato con una programmazione intersettoriale. Il Forum avrebbe dovuto considerare tutti questi ambiti. La “questione acqua” è estremamente delicata, e a ragione viene considerata una delle emergenze del pianeta, dato che ancora oggi un miliardo e cento milioni di persone non hanno accesso facile all’acqua potabile. Di fronte a tale situazione, tuttavia, si risponde in modo disordinato e scoordinato, senza disporre di strumenti efficaci per programmare interventi che consentano di gestire la risorsa acqua in modo adeguato. Né fa eccezione il quinto World Water Forum che si è tenuto a Istanbul (Turchia) dal 16 al 22 marzo, promosso da soggetti diversi proprio per parlare di tali problematiche: si tratta però di un meeting, e non di un’istituzione capace di prendere posizione in merito.Eppure, sono molteplici gli ambiti interessati da tale questione. Se da un lato vi è l’esigenza di rendere universale e facile l’accesso all’acqua potabile, d’altra parte non si può ignorare la gestione delle acque sporche, ossia di servizi igienici e fogne. Si calcola che 2 miliardi e 600 milioni di persone non dispongano di servizi igienici, né fognari, con gravi conseguenze sulle condizioni salute: si rischia di bere acque sporche e tuttora, nel Sud del modo, la diarrea, causata dall’utilizzo di acqua non pulita, è la principale causa di morte.Ancora, la “questione acqua” richiama la gestione dei bacini per l’irrigazione e la produzione di energia, come pure l’impatto ambientale: talora la scelta di costruire dighe di grandi dimensioni, ad esempio, ha conseguenze ambientali tutt’altro che indifferenti e comporta modifiche climatiche. È evidente, perciò, che tale problema va affrontato con una programmazione intersettoriale. Il Forum avrebbe dovuto considerare tutti questi ambiti. Diritto e bisogno In realtà, un argomento trattato è stato quello della commercializzazione, che fa leva sulla contrapposizione tra diritto e bisogno. Per i sostenitori del diritto all’acqua, è noto, essa è una risorsa pubblica, che non può essere monopolizzata da nessuno e dev’essere messa a disposizione gratuitamente, pagando i relativi costi attingendo al gettito del prelievo fiscale. Mentre chi sostiene che l’acqua, come tutte le risorse scarse, dev’essere un bene disponibile per la commercializzazione, la ritiene un bisogno, e non un diritto: perciò dev’essere erogata dietro pagamento di un prezzo. Il dibattito che emerge tra queste due posizioni è spesso fuorviante e rischia di essere ideologico: dal forum ci si aspettava che potesse uscire una posizione maggiormente unitaria, ma ciò non è avvenuto. In realtà l’acqua dovrebbe essere un bene della comunità, pertanto la medesima comunità dovrebbe decidere la vita migliore per metterla a disposizione di tutti. Di sicuro, nessuno può pensare di sottrarre tale risorsa, facendo pagare il prezzo più alto ai poveri.Da ultimo, di fronte a un’esigenza forte di intervento, la molteplicità di sedi in cui si discute di acqua senza poteri decisionali è esasperante e deludente, addirittura imbarazzante. Spesso c’è la tentazione di lasciar spazio a chi sostiene le privatizzazioni, che però possono essere molto pesanti per i più poveri. Viceversa, sarebbe opportuno sostenere un’iniziativa come il Global framework for action, proposto da governi, Unicef, soggetti della società civile e dalla campagna “end water poverty”, che chiede la creazione di una sede mondiale e di tavoli nazionali per programmare investimenti volti a dare acqua potabile e servizi igienici a tutti. Questa può essere una strada da privilegiare e favorire, e può essere la soluzione per fare un po’ di sintesi tra tanti tavoli che, però, non giungono a una sintesi.