E sulla decisione dei medici e dei familiari di non praticarle trasfusioni dopo l'emorragia che l'ha colpita, il cardinale Tettamanzi ha detto che la decisione spetta «non al Vescovo, ma al medico, in scienza e coscienza, nel suo rapporto con la paziente e la famiglia»


Redazione

14/10/2008

Domenica 12 ottobre l’arcivescovo di Milano cardinale Dionigi Tettamanzi ha risposto alle domande dei giornalisti sull’evoluzione delle condizioni di salute di Eluana Englaro, la donna di 37 anni in coma da oltre 16 a causa di un incidente stradale. Lo ha fatto parlando a margine delle Celebrazione Eucaristica da lui presieduta a Valgreghentino, a pochi chilometri da Lecco, dove Eluana è ricoverata presso la clinica Beato Talamoni gestita dalle Suore Misericordine.

«Sento il bisogno che ci sia sempre più profondo rispetto per i sentimenti e per le situazioni di fatica e di apprensione, di sofferenza, di dramma che riguardano famiglie e persone», ha spiegato il cardinale Tettamanzi. «Sento poi il bisogno che ci sia più silenzio. Ho l’impressione che la curiosità e l’esposizione mediatica forse ci distolgono dai problemi più profondi che siamo chiamati ad affrontare. E poi – rivolgendomi ai credenti – penso che questo sia un momento nel quale dobbiamo pregare di più. Preghiamo Dio che è fonte della vita e fonte della speranza, Dio che è il padrone della nostra esistenza, al quale dobbiamo affidarci con spirito filiale e coraggioso. Quanto sta capitando in queste ore può insegnarci la necessità di entrare in noi stessi e di riflettere sui veri valori dell’esistenza. Tutto ciò che diventa curiosità, trambusto, tutto questo ci distoglie dalla verità più profonda che è la verità di noi stessi, del nostro vivere, del nostro soffrire, del nostro morire, una verità che emerge soltanto quando si ha il coraggio del silenzio e della preghiera».

All’osservazione dei giornalisti che gli facevano notare come la famiglia di Eluana avesse deciso di non praticarle trasfusioni dopo l’emorragia che l’ha colpita, l’Arcivescovo di Milano ha risposto: «Penso che questo è un campo dove non il vescovo interviene ma interviene il medico in scienza e coscienza, e tutto questo nel rapporto tipico che il medico ha con il malato e la sua famiglia».

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