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Redazione

«La vita va amata, custodita e servita lungo l’intero arco della sua esistenza, dal concepimento al suo termine naturale». Il tema della salute è affrontato dal cardinale Tettamanzi nella terza tappa del Percorso pastorale. «L’esperienza ci insegna che la famiglia quando incontra la realtà dolorosa della malattia viene messa duramente alla prova. È costretta a cambiare ritmi di vita e ad assumere nuove e gravi responsabilità. Muta la qualità delle relazioni, al suo interno anzitutto, e verso l’esterno – sottolinea -. La famiglia in forza della sua soggettività sociale ha il diritto e il dovere, certo di portare il proprio necessario contributo, ma insieme anche di esigere dalla società delle autentiche politiche della salute, che pongano al primo posto il benessere della persona nel suo contesto familiare, non dunque politiche prigioniere di una prospettiva individualistica e con la preoccupazione prima del profitto. Ancora più radicale poi è l’esigenza da parte della famiglia che le responsabilità gestionali e professionali siano vissute con competenza, onestà e seria coscienza morale, e dunque nel rispetto pieno della dignità personale del malato e del sofferente, una dignità che proprio in questa situazione si fa più splendida ed esigente. Dove il lavoro, come quello in ambito sanitario, chiede più fortemente i tratti del servizio nella carità, i cristiani, a qualsiasi livello si trovino ad operare per la salute delle persone, siano sempre testimoni esemplari di gratuità e dedizione». La stagione della sofferenza richiede più vicinanza: «Le famiglie e le istituzioni non vanno lasciate sole: ciascuno è chiamato a compiere bene il proprio lavoro, con attenzione, onestà, rispetto e generosità, sia nelle strutture sanitarie come negli spazi raccolti delle pareti domestiche, tra vicini di casa, parenti, amici, affinché nessuno si senta abbandonato e imprigionato nella solitudine. Vorrei insistere nel porre in luce l’esempio e la gratitudine che dobbiamo nutrire per il contributo di quanti – singolarmente, come famiglie, e nelle più diverse forme associate -, mettono a disposizione tempo, risorse e soprattutto amore per prendersi cura degli ammalati. Sappiamo anche che in prima fila nella cura della sofferenza vi sono medici, infermieri ed altri operatori sanitari, che – credenti e non credenti – meritano stima, apprezzamento e riconoscenza per la professionalità, la dedizione, l’impegno con cui affrontano situazioni molto delicate. Tuttavia la famiglia rimane sempre il luogo primario in cui la sofferenza viene ospitata e accompagnata con amore delicato e forte». (p.n.)

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