I futuri scenari di politica estera nella regione dopo il voto presidenziale negli Usa
Redazione
06/11/2008
a cura di Daniele ROCCHI
L’esito del voto Usa avrà forti ripercussioni in Medio Oriente, dove gli interessi americani sono notevoli. L’amministrazione Bush ha, infatti, speso molte energie in questa regione, occupandosi del conflitto israelo-palestinese, ammassando truppe in Afghanistan e in Iraq, minacciando un conflitto con l’Iran, preannunciando anche cambiamenti politici e di regime in altri Paesi dell’area.
Con Riccardo Redaelli, docente di geopolitica all’Università Cattolica di Milano, direttore del Middle East Program e del Central-South Asia Program del Landau Network-Centro Volta di Como (Lncv) e ricercatore associato all’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) di Milano, abbiamo cercato di delineare il possibile scenario futuro in questa zona calda del mondo.
«Va subito detto – avverte – che in queste elezioni si è parlato poco di politica estera, soprattutto perché la crisi economica e finanziaria che ha travolto il dollaro e le Borse ha condizionato molto la campagna elettorale. Inoltre, sulla scorta delle passate elezioni, si è visto che quando un’amministrazione prende il potere i cambiamenti rispetto alla precedente sono meno sensibili. Credo per questo che non ci saranno enormi variazioni».
Che intende dire?
Rispetto a McCain – legato a una concezione unipolare delle relazioni statunitensi -, Obama sembra aver compreso che il mondo sta andando verso un multipolarismo, diciamo asimmetrico, con gli Usa quale potenza di riferimento, ma con tante altre potenze. Questo può essere un elemento di novità, anche se su temi sensibili come Israele e Palestina non vedo grandi cambiamenti di rotta, specialmente nel rapporto con i regimi arabi o mediorientali alleati degli Usa. Mi pare, comunque, che ci possano essere due elementi di novità: il primo riguarda Iraq e Afghanistan, il secondo l’Iran.
Partiamo dall’Iraq e dall’Afghanistan…
Ormai la realtà irachena è decisa non solo a Washington, ma anche a Baghdad ed è condizionata dagli eventi. Rispetto agli anni passati c’è stato un netto miglioramento nella sicurezza, ma sul piano politico l’Iraq resta sempre un rebus; non c’è stata una vera pacificazione e i nodi politici sono ancora irrisolti e penso, in particolare, al federalismo e alla legge sul petrolio. Credo che Obama accentuerà un certo disimpegno, se le condizioni sul terreno lo permetteranno, e chiederà maggiore responsabilizzazione al comando militare e politico iracheno. Sull’Afghanistan, al contrario, punterà su un aumento delle truppe, e rispetto ai repubblicani che sostengono il governo Karzaj (che, bisogna dirlo, è estremamente deludente), forse ascolterà di più gli alleati europei, che chiedono non solo più truppe, ma anche un’azione politica e sociale sul campo, con più riguardo alle necessità della popolazione.
E sull’Iran?
Obama ha detto di essere pronto a relazioni con l’Iran. In realtà la storia degli ultimi decenni ha dimostrato che a Washington, quando si parla di Iran, si mettono in gioco tensioni che condizionano fortemente l’azione del presidente. Quindi i tentativi per aprire all’Iran troveranno fortissime opposizioni. Va detto che la politica Bush verso questo Paese si è risolta in un boomerang disastroso, poiché l’Iran, rispetto a 8 anni fa, è molto più forte geopoliticamente, più aggressivo e arrogante, anche se non vicino alla bomba atomica, per la quale mancano ancora molti anni, ma gestisce e controlla la tecnologia nucleare molto meglio che in passato. La realtà è che a Washington nessuno sa più cosa fare con l’Iran. L’opzione militare sembra impraticabile ed è avversata dai comandi militari, quella diplomatica non sembra arrivare a niente. Obama potrebbe portare avanti un discorso diverso, anche se le resistenze a livello di gruppi di pressione rendono tutto più difficile.
Obama potrebbe indurre Teheran a rinunciare all’opzione nucleare in cambio di una normalizzazione di rapporti con Usa e Europa o magari di un ingresso nel Wto?
Questo non basterebbe. Quello che l’Iran vuole è proprio la garanzia della sopravvivenza del proprio regime che Washington non ha mai voluto dare e il riconoscimento del ruolo geopolitico regionale iraniano, del quale il presidente Ahmadinejad è molto consapevole.
Altro nodo complicato da sciogliere è il conflitto israelo-palestinese. Quali sono le posizioni in gioco?
Su Israele a Palestina le cose sono così avvelenate, incancrenite, il conflitto è così radicato che un presidente non può dare una grande svolta, a meno che Obama non ci possa sorprendere con un’azione molto forte. Tuttavia le voci e i sospetti sulla sua vicinanza all’Islam lo rendono, forse, la persona meno indicata per affrontare questa crisi. Obama dovrà dimostrare in concreto di essere molto vicino a Israele e fermo con la parte araba e palestinese, proprio per non prestare il fianco ad accuse di questo tipo. Credo invece che potrà, ma solo con il permesso israeliano, tentare di aprire maggiormente alla Siria. Tutto dipenderà da chi vincerà le prossime elezioni in Israele, anche perché Washington che agisce contro il Governo israeliano è difficilmente ipotizzabile.