Come vivono il Natale le persone che sono malate, che sono fuggite dalla guerra per cercare un futuro o che hanno perso il loro lavoro


Redazione

23/12/2008

di Pino NARDI

A Natale vince la speranza. Nonostante la vita riservi sofferenze, problemi e angosce, la nascita del Bambino è più forte: sa lenire e dona serenità.

La malattia, per esempio, condiziona molto l’esistenza. Eppure c’è chi non si perde d’animo. Come Francesco, 77 anni, milanese, agricoltore, afflitto da una forma epilettica, che da una trentina d’anni entra ed esce dagli ospedali. Come vivrà la Festa? «Sarà un Natale di speranza, tranquillo, un momento di gioia e di serenità – dice -. Frequento la parrocchia e l’Ac. Quando sono a casa qualche volta leggo le letture a Messa».

Una fede semplice e solida, di chi ne ha viste tante: «Ho sempre lavorato – racconta Francesco -, la malattia non mi ha mai fermato. Ho avuto anche fortuna, Dio mi ha sempre aiutato in diversi momenti. L’ultimo quando, dopo un attacco, ho perso i sensi: invece di parcheggiare in garage sono andato diritto e mi sono ribaltato con il fuoristrada. Non mi sono fatto niente, Dio mi ha salvato anche in quel caso».

Tra le corsie c’è una mamma accanto al figlio 16enne, da sei anni alle prese con la malattia: «Siamo cristiani praticanti. A casa nostra il Natale ha sempre avuto un significato particolare e questo momento di sofferenza lo rafforza: siamo in ospedale e non stiamo pensando ai regali, per il momento sono accantonati. Si dovrà provvedere almeno per la sorellina di 8 anni: anche lei sta imparando a sue spese che, quando ci sono le difficoltà, si combattono. Dovremmo riuscire ad andare a casa, mio figlio vuole vivere il Natale tutti insieme. Lo speriamo davvero».

Aleci ha 60 anni, 4 figli, vive in Italia dal settembre 1999. È una rifugiata politica, nata nel Burundi, ma fuggita dal Congo. Lei è tutsi e ha sposato un congolese. La sua epopea inizia nel 1996, quando esplode la guerra nella regione. Oggi lavora in uno dei centri di accoglienza per rifugiati politici del Comune di Milano, gestiti dalla Farsi Prossimo: «Come cristiana, quando si crede, c’è sempre speranza. Per me e per i miei figli è importante innanzitutto non essere perseguitati, avere la vita, la libertà e un futuro di felicità. Nel Natale li ritrovo, perché sappiamo che il Signore ci ama e con lui c’è sempre speranza. Tuttavia è pesante quando non si ha più la propria casa o la famiglia accanto, vivendo fuori dal proprio Paese».

Questo è anche un Natale di crisi. Soprattutto per chi ha perso il posto di lavoro. Cesare, 43 anni, sposato, tre figli piccoli, è impiegato tecnico in cassa integrazione. Vive a Lozza, paese in provincia di Varese, di cui è anche vicesindaco: «Il 19 dicembre 2007 la nostra ditta ha chiuso: un “regalino” di Natale. È il secondo che passo in questa situazione, l’anno scorso un po’ peggio perché non ci pagavano da tre mesi. Ora un po’ meglio: ci sono i soldi della cassa integrazione».

In questa situazione è facile farsi prendere dallo sconforto, ma la fede aiuta: «Mia moglie ha sempre apprezzato il fatto che sono riuscito a tenere la famiglia serena, senza tensioni e preoccupazioni, perché mi sono affidato alla Provvidenza. E cos’altro posso fare? Ho visto altri colleghi che vivono molto male. Siamo una famiglia cristiana che frequenta la parrocchia – racconta Cesare -. Ci riteniamo più fortunati degli altri, perché con la fede c’è la speranza». Come vivrà il Natale? «Lo viviamo in famiglia serenamente, pregando e affidandoci al Signore. Non manca niente dell’essenziale. I figli hanno capito la situazione e si devono accontentare del poco. È educativo anche per loro».

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