Redazione

20/01/2008

Aprire il dialogo su questi temi è l’obiettivo che il card. Tettamanzi si è posto con la Lettera. Il canale privilegiato sono parrocchie e parroci. Un modo per attivarlo può essere la consegna discreta e diretta del testo a chi è in queste situazioni. Biagio e Marina Savarè, sposati da 18 anni, 3 figli, abitano a Milano. Da anni seguono il cammino di chi vive la separazione o il divorzio, partecipano agli incontri dell’associazione "Famiglie separate cristiane", in rappresentanza della diocesi sono membri dell’apposita Commissione regionale per la Pastorale, che dallo scorso anno opera come collegamento tra le diocesi Lombarde. Hanno commentato con un gruppo di loro la Lettera per "Milano Sette".

Con chi avete fatto questa condivisione della Lettera?
Abbiamo pensato di invitare a casa nostra alcuni amici separati che potessero rappresentare diverse sensibilità ed esperienze ecclesiali.

Qual è stata la prima reazione?
Da parte di tutti è stato espresso apprezzamento dell’iniziativa del Cardinale per la volontà di aprire un dialogo. È stato anche detto che sarebbe importante capire da subito in che modo questo dialogo potrà concretamente proseguire: il desiderio è che dopo la Lettera ci possa essere un seguito. È stato apprezzato il tono franco, semplice e diretto. A proposito della possibilità di accedere al sacramento dell’Eucaristia, nonostante la volontà di spiegare la norma e il desiderio di offrire percorsi nel cuore della fede cristiana, chi sa di essere escluso dalla comunione eucaristica fatica a non sentirsi un credente di serie B.

E riguardo ai contenuti?
È emersa la disponibilità ad accogliere la Parola di Gesù, anche quando è impegnativa perché espressa da chi ha vissuto in prima persona l’esperienza dell’abbandono. Più difficile comprendere il fondamento delle norme della Chiesa. Il loro desiderio è di un forte riferimento alla Parola e di vedere approfondito il passaggio dell’Arcivescovo relativo ad "accogliere l’appello dell’amore misericordioso di Dio che guarisce con la proposta di una vita nuova". L’esperienza dell’abbandono e della sofferenza può essere un passaggio decisivo per la vita di fede. Uno dei presenti ha raccontato dell’incontro con amici che gli hanno parlato di Gesù nel momento dell’abbandono: è stato per lui l’inizio di un nuovo rapporto con Dio, più consapevole e profondo.

Quali sono i punti di maggiore attenzione?
Alcuni hanno notato l’utilizzo frequente del termine "divorziati". Un termine legale che oggi non riesce più a sintetizzare con sufficiente chiarezza le situazioni più comuni, in particolare quella dei separati che hanno già formato una nuova unione e qualche volta una nuova famiglia, senza accedere al divorzio. Apprezzato il ringraziamento dell’Arcivescovo a "mamme e papà che, rimasti soli, fanno crescere ed educano i propri figli". Importante il riferimento alla sofferenza di un padre o di una madre privati della possibilità di vedere i loro figli. Costoro vivono in grande solitudine la loro condizione di "separati" non solo dal coniuge, ma anche dai figli. È stato apprezzato il riconoscimento della testimonianza di chi sceglie di restare fedele per sempre al patto coniugale, pur essendo abbandonato dal coniuge. Una scelta che è un luminoso riconoscimento dell’autentico valore del matrimonio e una testimonianza che la Chiesa dovrebbe valorizzare.

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