Le elezioni negli Stati Uniti sono un test anche per la situazione socioculturale. Un sacerdote d'origine africana, giornalista ed esperto di schiavismo, riflette sulle prospettive elettorali e sull'integrazione razziale negli Usa
Redazione
19/09/2008
a cura di Gianni BORSA
«Le prossime elezioni americane, dove si fronteggiano McCain e Obama, costituiranno un test anche per quanto riguarda la situazione socio-culturale negli Stati Uniti. Non dimentichiamo che è un fatto di portata storica, al di là di ogni pregiudizio o rivendicazione, che un nero sia candidato alla Casa Bianca».
Joseph B. Ballong Wen Mewuda è uno tra gli studiosi più noti a livello internazionale sul tema dello schiavismo, tanto da essere il punto di riferimento del progetto Unesco denominato “La route de l’esclave”. Originario del Togo, sacerdote, docente universitario, giornalista (coordina i programmi di Radio Vaticana in lingua francese per l’Africa), riflette da tempo sull’integrazione razziale negli Usa e sulla religiosità nel “nuovo mondo”.
Professore, partiamo da Obama. Riuscirà a vincere la competizione elettorale all’inizio di novembre e a insediarsi alla guida della superpotenza americana?
Io non so come terminerà la corsa verso la Casa Bianca. Sottolineo però che la presenza tra i due contendenti di una persona proveniente dalla comunità nera è già un fatto unico, di estrema rilevanza. Ricordiamoci che la marcia per conquistare i diritti civili da parte degli africani-americani è stata lunghissima e dolorosa; non dimentichiamo inoltre che, pochi decenni fa, risuonavano le parole di Martin Luther King dello splendido discorso Ho un sogno…
Ma Barack Obama non è un nero qualunque…
Certo, prima di lanciarsi in politica era già un docente affermato, ha potuto studiare, inserirsi nella vita politica. Ma è stato poi capace di competere per la nomination democratica e di vincere la sfida con un’altra persona di grande carisma, Hillary Clinton, a sua volta personaggio di spessore, molto nota grazie ai mass media, sostenuta dall’establishment del partito. Resta ora aperta la sfida elettorale con il candidato repubblicano, altro uomo di valore: aggiungo che nel voto statunitense peserà il sentire popolare sulla questione dell’uguaglianza effettiva tra i bianchi e tutte le altre minoranze presenti nel Paese.
La questione razziale, dunque, non è sepolta?
La società americana è aperta e ricca di opportunità, consente spesso a chi ha i numeri di farsi valere, di raggiungere importanti obiettivi sociali, professionali. Pensi a quanti neri di successo abbiamo conosciuto negli ultimi anni: cito solo Colin Powell, Condoleezza Rice, ma anche le sorelle Venus e Serena Williams nello sport. Eppure in questa stessa America i pregiudizi verso le minoranze non mancano, soprattutto in una certa parte della popolazione. Occorre aggiungere che c’è tanta strada da compiere per una reale uguaglianza tra le persone, per esempio nel campo del lavoro, della formazione scolastica, dei livelli sociali. Chi abita in un ghetto e frequenta la scuola di un quartiere povero nella periferia di qualche metropoli non ha le stesse chances di chi viene da una famiglia ricca che può permettersi studi di qualità o le migliori cure per la salute.
Lei è uno studioso dello schiavismo. Ritiene che la situazione odierna sia ancora influenzata dalla tratta che portò con la forza, nei secoli scorsi, generazioni di africani nelle Americhe?
Gli Stati Uniti hanno già fatto i conti con il passato, ma è altrettanto vero che taluni problemi o caratteristiche della società americana sono giunti fino ai nostri giorni.
Per esempio?
Penso alla lotta per la conquista dei diritti civili. In fin dei conti la coraggiosa testimonianza di Rosa Parks (nel 1955 la donna si rifiutò di cedere il posto su un pullman a un bianco, innescando il boicottaggio dei bus a Montgomery; divenne in seguito un simbolo per la comunità nera, ndr) è un fatto relativamente recente. Citerei poi la questione religiosa: per una certa fase della storia americana, l’Islam fu inteso come la religione della popolazione di origine africana, per segnare la differenza con il cristianesimo, ritenuta la fede dei padroni bianchi. In questo senso non possiamo trascurare la vicenda di Malcom X. Oggi invece l’Islam americano è ben altra cosa, è per lo più tollerante e integrato nella società e non è una minaccia per gli Usa.
A proposito di religione, cosa succede negli States su questo versante?
Negli Usa la religiosità è una componente essenziale della vita: l’americano medio deve avere una religione, sia essa cristiana, giudaica, islamica, buddista. Ogni persona sente di dover appartenere a una Chiesa o, magari come accade di frequente, a una setta. Comunque la fede non è un fatto privato. La religione si dichiara praticandola: ciò che non sempre avviene in Europa. E devo riconoscere che c’è una discreta vivacità delle comunità credenti. La più numerosa è di sicuro quella cristiana, nelle diverse espressioni cattolica, protestante, metodista… Aggiungo che oggi si assiste a un interessante avvicinamento tra le religioni tradizionali africane e il cristianesimo. L’America, come dicevo, riserva sempre tante novità.