L'esperienza di Guido Acquaviva, funzionario al Tribunale penale internazionale delle Nazioni Unite per l'ex Jugoslavia: «C'è ancora molta strada da fare, ma è importante che i principi della Dichiarazione Universale siano messi in pratica, anche processando quanti sono sospettati di aver violato i diritti umani»


Redazione

09/12/2008

di Cristina CONTI

Lasciare il proprio Paese e andare all’estero a lavorare per il rispetto dei diritti umani. Per qualcuno una scelta di vita. Come Guido Acquaviva, funzionario al Tribunale penale internazionale delle Nazioni Unite per l’ex Jugoslavia, che si trova a L’Aja (Olanda).

«Il mio lavoro – racconta – consiste nell’assistere i giudici durante i processi, facendo ricerche di carattere giuridico sui crimini di guerra e su altre questioni legali. Inoltre partecipo alla gestione di questo tipo di processi, assai complicati a causa della mole di materiale probatorio, del numero dei testimoni, della necessità di tradurre tutto in varie lingue, della provenienza differente – in termini di cultura e diritto – di giudici, procuratori, avvocati della difesa e imputati».

Laureato in giurisprudenza in Italia, dove ha fatto anche un dottorato in relazioni internazionali, ha avuto la possibilità di fare un master negli Stati Uniti, dopo l’esperienza di obiettore di coscienza alla Caritas Ambrosiana, e ha lavorato per un periodo in un importante studio legale milanese.

«Ho poi fatto una domanda tramite il Ministero degli Esteri e l’agenzia Onu (Undesa) per un posto di Associate export: sulla base del mio curriculum hanno scelto di mandarmi all’Aja – aggiunge -. Una volta entrato al Tribunale, quasi sei anni fa, mi sono appassionato alla materia, che a dire il vero non conoscevo molto all’inizio. Quello che mi piace di più è comunque la convinzione di fare qualcosa di utile nello sviluppo del diritto internazionale e della creazione di una giurisdizione universale per il rispetto dei diritti umani».

Conflitti armati, pulizie etniche e torture continuano anche oggi, nonostante il progresso e l’innovazione tecnologica. Per questo la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo è ancora attuale: «In una società multiculturale come la nostra, i diritti umani sono senza dubbio essenziali, ma questo è banale. Ciò che non è banale mi sembra sia la necessità di creare procedure certe e giuste perché i diritti umani siano rispettati. Non si deve pensare che, a partire da principi condivisi, sia possibile una sola risposta, valida per sempre. Quello che è necessario è un continuo cammino per trovare risposte sensate, le quali – dobbiamo esserne consapevoli – non risolveranno la questione, ma faranno sorgere altre domande, questioni, dubbi, incertezze».

Il cammino dei diritti umani, insomma, è un percorso in salita: «Certo, c’è ancora molta strada da fare, ma è importante che i principi della Dichiarazione Universale siano oggi messi in pratica, anche (ma non solo) processando alcuni di coloro che sono sospettati di aver commesso gravi violazioni dei diritti umani. È essenziale che questo tipo di processi sia “giusto” e che rispetti, al tempo stesso, gli interessi delle vittime e i diritti fondamentali dell’imputato», conclude Acquaviva.

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