Il sociologo Michele Colasanto: «I giovani sono una ricchezza, ma vanno accompagnati. Altrimenti la precarietà li può deprimere»
Redazione
05/02/2008
di Pino NARDI
Sono il motore dell’economia. Eppure spesso sono messi ai margini o mantenuti nella precarietà. L’apporto dei giovani nel mondo del lavoro è il tema scelto per la XXVII Giornata della solidarietà che si terrà domenica 10 febbraio. Il giorno prima se ne discuterà nel tradizionale convegno della vigilia. Ne parliamo con il sociologo dell’Università Cattolica Michele Colasanto.
Qual è l’apporto dei giovani nel mondo del lavoro?
Di per sé sono una ricchezza, una forza propulsiva, una spinta; ci aiutano a guardare al futuro, portano la loro vitalità. Non dimentichiamo che i Paesi emergenti, ma anche quelli in grande sviluppo, hanno come risorsa primaria una fortissima componente demografica giovanile, da cui fra l’altro esce una classe dirigente manageriale, anche politica. Invece noi europei siamo un po’ gerontocratici, in particolare nel nostro Paese.
Cosa possono fare le imprese per favorire l’inserimento giovanile?
Le imprese hanno bisogno di persone che capiscano la società oltre a sapere di questioni tecniche. Intanto li deve valorizzare, creando le condizioni per cui la transizione tra scuola e lavoro non sia difficile. Oggi uno dei problemi non è trovare un lavoro, ma trovarlo con percorsi di avvicinamento molto faticosi. Per paradosso colpisce i giovani più istruiti, quelli meno preparati hanno strade meno faticose all’inizio, ma hanno problemi più avanti.
Negli ultimi anni il lavoro dei giovani è all’insegna della precarietà che pesa sul progetto di vita…
La precarietà c’è e fa problema. Ma i giovani non sono tutti uguali. Abbiamo quelli seriali, che passano la propria vita consumando. Poi quelli delle periferie, svantaggiati, deprivati e guardati con poca attenzione dagli adulti, senza figure di riferimento, con conseguenze di devianza e droga. Però poi ci sono anche i giovani che guardano al futuro con occhi molto limpidi, sono carichi di speranza, hanno consapevolezza di una serie di risorse, posseggono una forte componente altruistica. La precarietà può deprimere tutto questo. Ma con una precisazione: non è che di per sé sempre, e soprattutto agli inizi, viene vissuta negativamente.
Quindi è un fenomeno dalle diverse facce…
Esatto. C’è anche una precarietà scelta: a volte usciti dall’università vogliono continuare a studiare e si scelgono un lavoro part-time. Ci sono i giovani che vogliono capire, non hanno ancora maturato scelte definitive, desiderano vivere un periodo di moratoria. Altri invece sono consapevoli che la flessibilità può aiutare ad accumulare competenze e professioni da spendere nel lavoro definitivo. Poi c’è la precarietà imposta, non scelta. Ci sono giovani distanti dal mondo del lavoro per scelte formative che andrebbero verificate con le opportunità reali. La precarietà cresce con i rapporti di lavoro atipici. E si avverte poi la difficoltà di non avere un mutuo e di non potere costruire un progetto familiare. Però non si possono utilizzare categorie generali. Può essere invece la via normale per entrare nel mondo del lavoro e poi restarci.
Che fare dunque?
Il punto è l’accompagnamento, gli strumenti di sostegno, abbiamo politiche attive che in realtà non sono attive. Servizi per l’impiego in difficoltà, anche se a Milano e in Lombardia sicuramente meglio che non in altre parti del Paese. Le politiche pubbliche non brillano, eppure qualche buona riforma va fatta. La scuola torni a interessarsi del lavoro e alcuni percorsi formativi, come l’istruzione tecnica e la formazione professionale regionale, siano valorizzati. Ma questo significa rilanciare la cultura scientifica e tecnica, che apprezzi anche il lavoro manuale non solo quello intellettuale.
Quale ruolo può giocare la comunità cristiana?
La società civile deve riassumersi le proprie responsabilità educative: famiglia, scuola, aggregazioni. C’è bisogno di una ripresa di iniziativa dell’associazionismo cattolico, Acli e strutture parrocchiali. Nel sindacato l’Alai Cisl, che raccoglie lavoratori con contratto atipico, ha organizzato club giovani per aggregare i giovani indirizzandoli nella ricerca del lavoro. Credo sia importante cercare di aiutarli a essere protagonisti del proprio destino.