Parla don Claudio Burgio, da dieci anni impegnato al fianco dei minori e da quattro collaboratore di don Rigoldi al Beccaria: «I ragazzi, anche quelli tranquilli, non hanno desideri, e questo preoccupa. Vittima e bullo sono esiti opposti di un percorso di nichilismo»


Redazione

11/06/2008

di Luisa BOVE

Negli ultimi mesi i quotidiani hanno affrontato spesso il tema del bullismo, descrivendo episodi più o meno criminosi di cui si sono resi protagonisti i ragazzi, a scuola, in strada o in ambito privato. Ma che cosa sta succedendo? «La risonanza mediatica ha ampliato il fenomeno, ma non possiamo comunque chiudere gli occhi di fronte a un disagio giovanile sempre più vasto e complesso», dice don Claudio Burgio.

Il suo è un osservatorio particolare, perché da dieci anni si occupa di minori e da quattro collabora con don Gino Rigoldi al carcere Beccaria. Quando era ancora in parrocchia ha fondato con alcune famiglie l’associazione “Kayros”, che oggi conta sei comunità per minori, compresa una casa-famiglia.

Ma per il sacerdote ambrosiano «èimportante far capire che non tutto è bullismo, perché la propensione ai conflitti (tra pari o con il mondo adulto) nell’età dell’adolescenza è normale, se non addirittura sana per permettere la crescita dell’identità personale».

E quindi?
Fenomeni di bullismo effettivamente esistono, perché è molto radicata l’idea del potere, la cultura dell’illegalità e la banda. L’autoaffermazione di un gruppo su un territorio passa anche da atti di bullismo. La cultura del disprezzo dell’altro e del dominio a tutti i costi porta i minori a commettere anche reati, che spesso sconfinano in rapina ed estorsione. Nei veri atti di bullismo c’è un accanimento reiterato e continuo sulla stessa persona o sullo stesso gruppo di ragazzi. Si innescano queste dinamiche là dove si individua il debole o il gruppo da sconfiggere per dominare il “territorio” e questo avviene anche nel mondo della scuola. Spesso, poi, dietro a questi episodi c’è anche la droga.

Oggi si nota tra i ragazzi un uso più frequente della violenza…
La violenza è il tratto che sta dietro anche a molti reati e così i ragazzi approdano al Beccaria. Il bullismo c’è sempre stato, ma quanto sta emergendo è la violenza diffusa: l’aggressività connota sempre più il mondo delle relazioni, i rapporti interpersonali, anche tra gli adulti. Dobbiamo però tener conto che tanti di questi ragazzi, che a volte arrivano al Beccaria, hanno vissuto dinamiche familiari spesso improntate alla violenza, al sopruso, al tradimento della fiducia. Per questo è chiaro che tendono a mettere in atto gli stessi comportamenti.

Cosa si nasconde dietro a certi loro modi di fare?
Innanzitutto il desiderio di essere riconosciuti. Ma concordo molto anche con il filosofo Umberto Galimberti, che ha scritto il libro L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani. Dobbiamo prendere atto che c’è un nichilismo di ritorno, un’assenza valoriale. La mancanza di desideri e progetti nella vita, se da una parte porta alla noia, che è l’esito più depressivo, dall’altra conduce a situazioni di aggressività e di violenza, ma sempre come tentativo di uscire dal vuoto, dall’anonimato. Molti ragazzi al Beccaria, quando finiscono sui giornali, sono felici e più l’azione è descritta in maniera violenta e forte, più si “sentono qualcuno”.

Che fare per sconfiggere il bullismo?
Vanno educati i desideri. Questi nell’uomo ci sono, anche in epoche come la nostra, ma si tratta di risvegliarli e di orientarli. I ragazzi di oggi, anche quelli più tranquilli, non hanno desideri, e questo preoccupa. Noi parliamo sempre del bullo, ma la vittima vive la stessa situazione di vuoto. Secondo me vittima e bullo sono gli esiti opposti di un percorso di nichilismo.

E come intervenire sui ragazzi quando hanno già compiuto un atto di bullismo?
Io non ho soluzioni, ma l’importante è far passare il concetto che dietro all’intervento non ci sia un’idea punitiva, ma educativa. Nella situazione contingente tocca poi all’adulto, con la sua creatività, trovare le modalità; io non credo a formule, perché ogni persona ha la sua storia e la sua originalità. L’importante è avere questo criterio: ogni soluzione non sia orientata alla punizione e neanche al risarcimento, ma abbia sempre lo scopo di far scoprire al ragazzo altre vie per vivere. Per questo sono più favorevole ad azioni improntate al servizio dei più deboli che non alla pulizia di un bagno. Ai ragazzi farei incontrare l’altro, il diverso, il debole, magari attraverso il servizio alle mense dei poveri, ma in modo guidato, altrimenti risulta sempre un risarcimento danni che non riesce a formare la coscienza.

Gli adulti a volte sembrano assenti, oppure difendono i figli a tutti i costi…
È ormai dimostrato che non bastano più solo i genitori. Noi incolpiamo sempre la famiglia, ma io tengo a dire che al Beccaria ci sono ragazzi con ottime famiglie. In questo momento il carcere è affollato di italiani che appartengono a famiglie normali, con genitori che vanno in crisi. E non si può dire che non siano stati bravi genitori. Questo significa che bisogna unire le forze e stabilire una sorta di rete e di patto educativo. Smettiamo tutti di accusare e incolpare una parte o un’altra, per mettere insieme le risorse. Vedo bene i gruppi di auto-aiuto per genitori che vengono organizzati dalle scuole e dalle parrocchie. Sicuramente oggi un genitore soffre di solitudine, quindi occorre aiutarsi tutti, ognuno secondo la propria prospettiva, mettendo in rete competenze e azioni, perché non si può più educare da soli.

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