L'incontro al Quirinale tra Benedetto XVI e Giorgio Napolitano: il Papa rileva il problema educativo, il presidente sostiene una laicità rispettosa del fatto religioso
Redazione
07/10/2008
di Marco DOLDI
Due colli, due mondi nella stessa città. A Roma «il Quirinale e il Vaticano non sono colli che si ignorano o si fronteggiano astiosamente; sono piuttosto luoghi che simboleggiano il vicendevole rispetto della sovranità dello Stato e della Chiesa, pronti a cooperare insieme per promuovere e servire il bene integrale della persona umana e il pacifico svolgimento della convivenza sociale». Sono le parole che Benedetto XVI ha rivolto al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nel corso della visita ufficiale di sabato scorso.
Dopo anni difficili – quelli seguenti alla breccia di Porta Pia e precedenti ai Patti Laternanesi del 1929 -, da tempo a Roma lo Stato Italiano e la Sede Apostolica convivono pacificamente e collaborano fruttuosamente. È realtà verificabile quotidianamente a diversi livelli, e alla quale anche altri Stati possono guardare per trarne utili insegnamenti.
La visita ha avuto luogo nel giorno in cui la liturgia della Chiesa italiana celebra con particolare solennità la figura e l’insegnamento di San Francesco: a lui ha fatto esplicito riferimento Benedetto XVI, perché in questo Santo, la cui figura attrae credenti e non credenti, è possibile scorgere l’immagine di quella che è la perenne missione della Chiesa, pure nel suo rapporto con la società civile.
«La Chiesa – ha detto il Papa – nell’epoca attuale di profonde e spesso sofferte mutazioni, continua a proporre a tutti il messaggio di salvezza del Vangelo e si impegna a contribuire all’edificazione di una società fondata sulla verità e la libertà, sul rispetto della vita e della dignità umana, sulla giustizia e sulla solidarietà sociale».
La Chiesa non si propone mire di potere, né pretende privilegi o aspira a posizioni di vantaggio economico e sociale. Suo solo scopo è servire l’uomo, ispirandosi, come norma suprema di condotta, alle parole e all’esempio di Gesù Cristo che «passò beneficando e risanando tutti» (At 10,38).
Oggi «fare del bene» – beneficare tutti – è anche costruire il giusto ordine sociale, compito che la Chiesa realizza, specialmente, attraverso i fedeli laici. La Chiesa contribuisce all’edificazione della società in maniera pluriforme, essendo un corpo con molte membra, una realtà al tempo stesso spirituale e visibile, nella quale i membri hanno vocazioni, compiti e ruoli diversificati.
Nell’ambito sociale la Chiesa avverte una forte responsabilità nei confronti delle nuove generazioni: «Con urgenza – ha detto Benedetto XVI – emerge oggi il problema dell’educazione, chiave indispensabile per consentire l’accesso a un futuro ispirato ai perenni valori dell’umanesimo cristiano».
La formazione dei giovani è, pertanto, impresa nella quale anche la Chiesa si sente coinvolta, insieme con la famiglia e la scuola. Essa infatti è ben consapevole dell’importanza che l’educazione riveste nell’apprendimento della libertà autentica, presupposto necessario per un positivo servizio al bene comune: «Solo un serio impegno educativo permetterà di costruire una società solidale, realmente animata dal senso della legalità».
Il Papa ha rinnovato l’auspicio che «le comunità cristiane e le molteplici realtà ecclesiali italiane sappiano formare le persone, in modo speciale i giovani, anche come cittadini responsabili ed impegnati nella vita civile». Pastori e fedeli offrono da sempre un importante contributo per costruire il bene comune del Paese, prestando particolare attenzione verso i poveri e gli emarginati, i giovani in cerca di occupazione e chi è senza lavoro, le famiglie e gli anziani che con fatica e impegno hanno costruito il nostro presente e meritano per questo la gratitudine di tutti.
L’intervento della Chiesa – Pastori e fedeli – nel mondo sociale è offerto a tutti con spirito di disponibilità. «Non vi è ragione – ha spiegato Benedetto XVI – di temere una prevaricazione ai danni della libertà da parte della Chiesa e dei suoi membri». Al riguardo, il Papa ha fatto un’importante precisazione: quando i membri della Chiesa riflettono e agiscono in materia sociale, lo fanno in conformità con la propria coscienza illuminata dal Vangelo; ora, a essi, come a ogni persona, va riconosciuta la libertà di non tradire la propria coscienza.
Il Presidente della Repubblica, nell’accogliere il Papa, ha rivolto un discorso in cui appare la convergenza dello Stato in tante questioni comuni anche alla Chiesa. Il comune impegno per il bene comune non offusca in alcun modo «la distinzione tra il politico e il religioso». Al contrario, ha detto Giorgio Napolitano, «conforta la convinzione – da tempo affermatasi in Italia – che il senso della laicità dello Stato, quale si coglie anche nel dettato della nostra Costituzione, abbraccia il riconoscimento della dimensione sociale e pubblica del fatto religioso, implica non solo rispetto della ricerca che muove l’universo dei credenti e ciascuno di essi, ma dialogo». Un dialogo fondato sull’esercizio non dogmatico della ragione, sulla sua naturale attitudine a interrogarsi e ad aprirsi.