Recentemente attribuito al ventenne Buonarroti, questo Cristo in Croce oggi esposto al Castello Sforzesco è un vero capolavoro, nonostante le dimensioni "contenute". In mostra fino al 3 maggio.

Luca FRIGERIO
Redazione

«L’autore? Se non è Michelangelo è Dio». Federico Zeri, finissimo conoscitore d’arte, non lesinava elogi, quando era convinto di trovarsi di fronte a un capolavoro. Ma davanti a quel piccolo, inedito crocefisso ligneo, il suo entusiasmo si fece addirittura incontenibile: fu lui, infatti, alcuni anni fa, ad attribuirlo per primo al genio del Buonarrotti. Fra gli addetti ai lavori qualcuno all’inizio mugugnò, la maggior parte fece spallucce. Oggi, dopo che quell’opera apparentemente modesta, emersa all’improvviso dal mercato antiquario, è stata analizzata, studiata, accarezzata, più nessuno sembra metterne in dubbio la paternità michelangiolesca. A Milano il ritrovato Crocefisso di Michelangelo Buonarroti sarà esposto fino al prossimo 3 maggio, accanto a un altro capolavoro del maestro toscano, l’intensa, estrema Pietà Rondanini conservata presso le Civiche raccolte del Castello Sforzesco. Un evento davvero da non perdere, suggestivo nei suoi molteplici rimandi, evocativo nel confronto dialettico fra le due opere: così diverse, eppure così intimamente legate. «L’autore? Se non è Michelangelo è Dio». Federico Zeri, finissimo conoscitore d’arte, non lesinava elogi, quando era convinto di trovarsi di fronte a un capolavoro. Ma davanti a quel piccolo, inedito crocefisso ligneo, il suo entusiasmo si fece addirittura incontenibile: fu lui, infatti, alcuni anni fa, ad attribuirlo per primo al genio del Buonarrotti. Fra gli addetti ai lavori qualcuno all’inizio mugugnò, la maggior parte fece spallucce. Oggi, dopo che quell’opera apparentemente modesta, emersa all’improvviso dal mercato antiquario, è stata analizzata, studiata, accarezzata, più nessuno sembra metterne in dubbio la paternità michelangiolesca. A Milano il ritrovato Crocefisso di Michelangelo Buonarroti sarà esposto fino al prossimo 3 maggio, accanto a un altro capolavoro del maestro toscano, l’intensa, estrema Pietà Rondanini conservata presso le Civiche raccolte del Castello Sforzesco. Un evento davvero da non perdere, suggestivo nei suoi molteplici rimandi, evocativo nel confronto dialettico fra le due opere: così diverse, eppure così intimamente legate. Un’opera giovanile «Chinato il capo, rese lo spirito». È a queste precise parole dell’evangelista Giovanni che Michelangelo dà forma: il momento esatto del trapasso, quando tutto si compie, di cui lui stesso, il più amato fra i discepoli, fu testimone sotto la Croce. Il corpo di Cristo ancora vibrante nello spasmo della morte, la muscolatura tesa nell’ultimo sussulto dell’atroce agonia, mentre il volto già si distende nella carezza del Padre. Mani inchiodate al legno, spalancate dall’alto del Golgota ad abbracciare l’umanità intera, infine redenta. Gli storici dell’arte ci spiegano che il giovane Buonarroti – perchè di un’opera giovanile, di un’artista neppure ventenne, si tratta – raggiunse tale eccellenza nel modellato anatomico studiando dal vero i cadaveri di quanti morivano nell’ospedale conventuale di Santo Spirito a Firenze, per la cui chiesa aveva già realizzato (o realizzerà?) un Crocefisso imponente e maestoso. Gli studiosi dell’età rinascimentale ci ricordano come il poco più che adolescente Michelangelo sia rimasto impressionato dalla predicazione veemente di fra’ Gerolamo Savonarola, che proprio la Passione e Morte di Cristo era solito porre al centro delle sue pubbliche meditazioni. I restauratori ci svelano che il blocco di legno scolpito dal fiorentino scultore era in realtà composto da parti diverse, e che la testa di Gesù risulta ulteriormente piegata nell’abbandono della morte per l’inserimento di un minuscolo cuneo sapientemente collocato… Michelangelo teologo Tutto vero, tutto giusto. Eppure per comprendere la vera bellezza di un’opera di tal fatta (quaranta centimetri appena d’altezza: un Crocefisso pensato per essere appeso in una cella monastica, più che in una basilica…), non basta ammirarne la maestria dell’autore o comprenderne l’orizzonte culturale. Perchè solo una fede profondamente interiorizzata, solo una religiosità autenticamente vissuta, unite a uno straordinario talento, possono generare simili capolavori: Michelangelo il genio della Sistina, Michelangelo il teologo con pennello e scalpello. Nella Sala degli Scarlioni del Castello Sforzesco, così, due "vertici" dell’arte e della storia michelangiolesca si fondono oggi mirabilmente ed eccezionalmente nei loro apparenti contrasti: il raccolto messaggio del piccolo Crocefisso e l’imponente espressività della Pietà Rondanini; il brunito calore del legno "cesellato" e la candida ruvidezza del marmo sbozzato; l’orgogliosa fierezza del compiuto in faccia al dubbio sospeso dell’incompiuto; la rivendicazione di chi prepotentemente s’affaccia nella grande arte fino al testamento di chi l’arte l’ha fatta grande. Immensa.

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